FRANCESCO GOZZO
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xenomelia

Genere:   fantascienza,   horror,   investigativo.

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«Posso praticamente disegnare una linea», disse l’uomo sollevando l’orlo sinistro dei pantaloni e iniziando a tirare con foga quando rimasero bloccati appena sotto il ginocchio. Quando si rassegnò al fatto che non sarebbero saliti oltre, adottò l’approccio inverso e portò le mani alla cintura.

Si bloccò all’improvviso come realizzando solo in quel momento che si stava togliendo i pantaloni.

«Posso?», chiese con la cintura mezza slacciata.

Daniel Berg aveva le sopracciglia inarcate. Non era consuetudine che i pazienti si spogliassero durante una seduta… ma d'altronde, il Signor Campbell non era un paziente comune. Soffriva di una patologia estremamente rara e se questo era importante per lui…

«Prego», disse facendogli cenno di continuare.

Il Signor Campbell calò i pantaloni.

«Ha un pennarello?», chiese con la cintola alle caviglie.

Il Dottor Berg scrutò la scrivania, individuò una Tratto Pen e la porse al paziente. Rimase a guardarlo con la testa leggermente piegata di lato mentre questo si rimetteva a sedere e disegnava con dovizia un cerchio nero attorno alla coscia. Quando ebbe finito, il Signor Campbell alzò lo sguardo, soddisfatto di sé.

«Da qui in giù questa gamba non appartiene al mio corpo e la vorrei amputare!», il petto gli si alzava e abbassava e il respiro era pesante. «Sono stanco di aspettare!».

Berg unì le mani e portò le dita alle labbra. La xenomelia era una patologia su cui la scienza non aveva ancora fatto luce ed esistevano solo congetture riguardo la sua origine. Quello che era sicuro era che, nei soggetti malati, esisteva una differenza tra il corpo fisico e l’immagine mentale del corpo. Questo portava a una disforia dell’integrità corporea per cui i pazienti non riconoscevano come parte del proprio corpo uno o più arti. A quanto pareva, pensò Berg osservando la gamba del Signor Campbell, questa percezione poteva essere talmente precisa da poter letteralmente disegnare una linea di demarcazione. Tuttavia, in questo caso era ancora troppo presto per autorizzare l’amputazione.

Dopo aver concluso la seduta congedò il paziente. Aveva concluso la giornata per cui si alzò e distese le braccia e il collo, i quali scrocchiarono lamentando la posizione statica che era costretto a mantenere per la maggior parte della giornata.

Fece un passo. Un passo con una gamba che percepiva come sua.

Cercò per l’ennesima volta di immedesimarsi nel Signor Campbell: quanto doveva essere difficile vivere con un arto che non si avvertiva come proprio? Anzi, con un arto che si percepiva come un corpo estraneo attaccato al proprio corpo. Non c’era da stupirsi che i pazienti xenomelici desiderassero l’amputazione dell’arto in questione…

Andò alla cassettiera, prese un bicchiere e la bottiglia di rum che teneva nascosta nel primo scomparto. Campbell era un ex-alcolista e non voleva che vedesse liquori durante le sedute di psicoterapia, sarebbe stato sconveniente oltre che poco professionale. Ma un drink a fine giornata ogni tanto era necessario, pensò versandosi due dita e inspirando il complesso bouquet del rum, con sentori di vaniglia e frutta secca.

Il Signor Campbell era stato in terapia da lui per anni prima di rivelare il suo desiderio di amputazione. Non era certo strano. I pazienti affetti da xenomelia erano sempre molto restii a rivelare i loro desideri, si rendevano bene conto di quanto folle potesse suonare alle orecchie di chiunque altro. Ma, sebbene la patologia fosse estremamente rara, colpendo meno di una persona su centomila in tutto il mondo, Berg ne aveva già sentito parlare. I pazienti che ne soffrivano erano talmente pochi che spulciando la letteratura scientifica aveva trovato solo undici articoli che ne parlavano, il più vasto dei quali contava solo quindici pazienti: un campione estremamente ridotto.

Bevve un sorso.

Dopo essersi informato a dovere aveva capito come mai il Signor Campbell avesse iniziato a bere in primo luogo: questa patologia si manifestava fin dall’infanzia e passare decenni della propria vita con il desiderio segreto di amputarsi la gamba sinistra doveva essere stato logorante.

Andò alla finestra sorseggiando il rum mentre guardava le nuvole tingersi di rosso ai caldi raggi del sole calante. Non poteva fare a meno di essere affascinato da quella misteriosa patologia. I pazienti che ne erano affetti erano talmente pochi che ogni caso in più che veniva scoperto poteva fornire informazioni molto importanti.

Sperava solo di riuscire a chiudere l’iter legale del Signor Campbell prima che il paziente facesse qualcosa di stupido… era noto che a volte cercavano di amputarsi gli arti da soli o massacrarli a tal punto da rendere l’amputazione l’unica alternativa. Un paziente aveva detto di aver avuto intenzione di fingere un incidente in bicicletta nei pressi di un passaggio a livello per fare in modo che fosse il treno a compiere il lavoro, mentre un altro aveva congelato la gamba con del ghiaccio secco e i medici non avevano potuto fare altro che tagliarla.

Tuttavia, sintomi simili a quelli della xenomelia potevano essere dati transitoriamente da altre patologie, come la schizofrenia, quindi era necessario che la diagnosi fosse accurata prima di procedere legalmente all’amputazione. Dopotutto si trattava di tagliar via un arto perfettamente sano, il che sollevava diversi problemi etici: trattare un paziente causandogli una disabilità fisica non era certo l’obiettivo finale della scienza medica. Tuttavia, finché non si fosse scoperto come intervenire sul cervello, non c’era altra soluzione possibile. Un’amputazione chirurgica in condizioni di sicurezza era comunque preferibile al lasciare che i pazienti si autodanneggiassero gli arti indesiderati rischiando di perdere la vita. Tuttavia, l’iter legale era lungo e non tutti avevano la pazienza necessaria.

A un tratto ebbe un flash.

Campbell aveva accennato a un posto durante una seduta… Fortunatamente l’aveva annotato. Appoggiò il bicchiere sulla scrivania e prese il diario iniziando a sfogliarne le pagine andando a ritroso nel tempo. Trovò un indirizzo tra gli appunti di una seduta datata due mesi prima.

Che potesse essere un luogo dove operavano illegalmente gli xenomelici?

Se così fosse stato, doveva fermarli. Per di più avrebbe potuto trovare una grande quantità di pazienti, forse a sufficienza per uno studio approfondito. Decise di andare quella sera stessa.

Tracannò l’ultimo goccio di rum e rimise la bottiglia nel cassetto. Uscì dallo studio, prese l’ascensore per raggiungere la macchina e dopo essersi fermato per mangiare un panino si diresse all’indirizzo che aveva scoperto. Dovette recarsi in periferia nei pressi di una zona industriale e parcheggiò a due isolati di distanza per dare meno nell’occhio.

I capannoni industriali sembravano in disuso e l’accesso non era bloccato. L’edera stava pian piano prendendo il sopravvento sulle costruzioni aggrovigliandosi intorno alle recinzioni. Superò una cancellata bianca con la vernice mezza scrostata che lasciava intravedere il ferro ossidato e oltrepassò un piazzale in cui l’erba cresceva rigogliosa tra le fenditure delle piastrelle in cemento grigio. Il sole era calato portando i suoi raggi sull’emisfero opposto e i lampioni erano spenti per la maggior parte. Intorno a lui tutto era visibile solo come una sovrapposizione di ombre. A un certo punto scorse una luce posta davanti a un portone e, ai suoi lati…

Due guardie armate di mitra!

Si era aspettato di tutto ma non degli uomini con armi d’assalto… sembravano indossare una specie di uniforme che non riconobbe, che fossero mercenari? I pensieri iniziarono a correre: poteva aver scoperto un traffico di organi illegali? Poteva essere la copertura perfetta per attirare i pazienti xenomelici con la scusa dell’amputazione e poi ucciderli per prelevare organi da vendere al mercato nero!

Decise che doveva indagare.

Andò sul retro dell’edificio strisciando contro le pareti e trovò quello che stava cercando: una porta secondaria. Finora tutto era stato lasciato aperto quindi c’era la possibilità…

Girò la maniglia e la porta si aprì con un leggero cigolio.

Gli si gelò il sangue nelle vene e si rifugiò dietro un angolo nell’ombra, in attesa, ma nessuno venne a controllare, quindi si fece coraggio e uscì dal suo nascondiglio, entrò e si richiuse la porta alle spalle.

Venne circondato dall’oscurità più totale.

Aspettò qualche minuto, cercando di fare in modo che gli occhi si abituassero al buio, ma non ci fu niente da fare. Allora procedette a tentoni con le mani avanti. Sentì una parete, era fredda e leggermente umida, la seguì a piccoli passi finché i piedi toccarono un rialzamento. Dovevano essere delle scale. Salì un gradino dopo l’altro stando attento a non cadere e quando si trovò un paio di piani più in alto cercò a tentoni una porta e, trovata la maniglia, l’aprì. Entrò in un ampio corridoio. L’illuminazione era bassa e arrivava da una stanza più avanti ma almeno permetteva di vedere. Seguì la fonte della luce cercando di non fare rumore e giunse in una sala che aveva un lato interamente occupato da un basso parapetto in muratura e un’ampia vetrata. La luce proveniva da oltre il vetro.

Berg vi si avvicinò per guardare oltre e scoprì che non c’era il pavimento. Sia il piano inferiore che quello superiore rispetto a dove si trovava erano stati uniti in un unico, ampio spazio. L’azienda che aveva sede in quell’edificio doveva essersi avvalsa di macchinari enormi e quella dove si trovava poteva essere stata una postazione di supervisione dei lavori. Sotto, il pavimento era stato sgombrato e diversi uomini armati di fucili, pistole e asce erano radunati intorno a quello che sembrava un altare in pietra dove stava steso un uomo.

Il Signor Campbell!

Era senza pantaloni e sembrava fosse stato sedato. Sulla coscia sinistra si poteva ancora vedere il cerchio nero che si era fatto poche ore prima nel suo studio. Berg imprecò sottovoce, non si era reso conto che il paziente fosse arrivato a un tale punto di rottura da rivolgersi a dei malviventi per eseguire l’amputazione. Vero che non era mai stato un tipo paziente, ma rivolgersi a gente armata di mitragliatori e asce? Che raptus di follia poteva averlo posseduto? L’altare, Berg non avrebbe saputo come altro descrivere il “letto” su cui era steso Campbell, era macchiato di sangue, come anche il pavimento. I tentativi di lavarlo non erano riusciti a rimuovere completamente gli aloni rossicci. Solo un macellaio poteva pensare di eseguire un’amputazione con delle asce.

Un brivido gli percorse la schiena.

Prese il telefono e chiamò la polizia, ma dubitava che sarebbero arrivati in tempo per salvare il Signor Campbell e non poteva fare nulla per fermarli. Rimase a osservare la scena come rapito, in attesa dell’inevitabile, sentendosi impotente. I due uomini con le asce si avvicinarono all’altare, uno da una parte e uno dall’altra.

Sollevarono le scuri.

Gli altri portarono il calcio dei mitragliatori alla spalla e presero le distanze.

La prima ascia calò con forza aprendosi un varco nella carne e spezzando il femore. L’uomo ebbe appena il tempo di ritirare l’arma quando la seconda si abbatté con precisione nello stesso punto. Il secondo colpo fu sufficiente a tranciare di netto l’arto poco sopra alla linea del Tratto Pen.

Il sangue schizzò imbrattando l’intero altare e i due uomini.

Berg iniziò a sentirsi male, si tappò la bocca con una mano e represse i conati di vomito mentre osservava il fluido rosso colare a terra. I due uomini con le asce si affrettarono ad allontanarsi trascinando per le braccia il corpo mutilato del Signor Campbell senza tanti complimenti, il quale si lasciava dietro una striscia di sangue allo stesso modo in cui avrebbe potuto fare una lumaca con la bava.

Una serie di lunghe propaggini che terminavano in aguzzi spuntoni ossei esplose dal moncherino agitandosi in tutte le direzioni. Muovendosi come le zampe di un ragno, le propaggini colpirono alla cieca infilzando uno degli armati e impalandolo al pavimento. Gli altri iniziarono a sparare.

Berg osservò a bocca spalancata il moncherino che mutava e fremeva sotto la selva di colpi dei mitra. Il sangue schizzava ovunque sulle pareti ma le propaggini non accennavano a fermarsi e sferzavano l’aria come impazzite. Gli uomini erano costretti a stare rasenti ai muri per non rischiare di essere falciati o impalati. La carne del moncherino roteava e il rumore di ossa spezzate risuonò nell’aria. Una parvenza di bocca apparve sul lato opposto rispetto al piede, dove la carne era stata maciullata dalle asce. Frammenti seghettati del femore spuntavano come denti e l’abominio cercò di alzarsi sulle zampe.

Berg non riuscì più a trattenersi e vomitò il panino sul pavimento.

La creatura deforme non fece più di due passi prima di crollare a terra emettendo uno stridio raccapricciante, crivellata dai proiettili. Il silenzio improvviso dopo la sparatoria era assordante, l’aria odorava di polvere da sparo. Berg si asciugò la bocca su una manica e tornò ad affacciarsi alla vetrata. I soldati si avvicinarono alla bestia assicurandosi che fosse morta e accorsero a prestare soccorso all’uomo che era stato impalato mentre altri portavano via il Signor Campbell che era ancora privo di sensi.

«Fermo!», giunse un grido alle sue spalle.

Berg era talmente sconvolto da non essersi accorto degli uomini che gli stavano arrivando alle spalle. Due soldati gli stavano puntando contro i mitra. Si lasciò sfuggire un gridolino e alzò le mani.

«Non sparatemi!», implorò.

Un terzo uomo si fece avanti, aveva i capelli brizzolati e un sorriso obliquo. Indossava un giubbotto antiproiettile ma non aveva la stessa divisa degli altri. impugnava una pistola nella mano destra, la sinistra, al contrario, era una protesi meccanica. Invece di puntargli contro l’arma, la rimise nella fondina.

«Abbassate le armi», disse ai soldati. «È il Dottor Berg, aveva in cura il Signor Campbell».

Berg aprì e chiuse la bocca diverse volte senza riuscire a pronunciare parola. Ora che vedeva i militari da vicino notò che tutti avevano degli arti meccanici, chi una gamba, chi un braccio.

«Il suo paziente starà bene», disse l’uomo brizzolato. «Abbiamo risolto il problema con l’alieno, come ha potuto vedere…».

Berg non batté ciglio nel sentire nominare l’alieno. Da quando aveva visto il moncherino animarsi e trasformarsi in quella creatura aberrante tutto era diventato così surreale, come se stesse vivendo un sogno, come se nulla di tutto ciò fosse reale.

«Era… nella sua gamba?», riuscì infine a chiedere.

«Non esattamente, Dottor Berg. L’alieno era la sua gamba», disse l’uomo mettendo enfasi sulla parola “era”.

Berg strabuzzò gli occhi per l’ennesima volta.

«Come…?», chiese facendo gesti incoerenti con le mani.

«I Kasiiji sono una razza infida», spiegò l’uomo brizzolato. «Giungono sotto forma di larve e dopo aver anestetizzato l’ospite ne divorano una parte del corpo per poi sostituirsi ad essa. Si nutrono e crescono a spese dell’ospite, spesso per tutta la durata della sua vita. Ogni tanto c’è chi si rende conto che qualcosa non va ma vengono scambiati per pazienti affetti da xenomelia».

«Ma…», disse Berg balbettando. «E…».

«E noi li combattiamo, Dottor Berg, loro e molti altri», disse l’uomo con un sorriso beffardo porgendogli una mano. «Benvenuto nelle Forze Speciali di Difesa Planetaria della NATO!».
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