FRANCESCO GOZZO
  • Home
  • Libri
    • Il Viaggio dell'Endeavour >
      • Odissea per TRAPPIST-1
      • Il Culto dell'Endeavour
    • Cronache di Nova: Ryan Carter >
      • Il Segreto di Silver City
      • Omicidio nel Quartiere del Dragone
    • SIGMA: Difesa Planetaria >
      • Xenomelia
  • Racconti
    • Fantascienza >
      • Il Costruttore di Mondi
      • Il Motore Immobile
      • Il Piano Astrale
      • L'ultimo padiglione
      • La Città Cupola
      • La Colonia Madre
      • La Sonda di Bracewell
      • Progetto Odissea
      • Punto di Non Ritorno
      • Reperto 2X4K Umano in Criostasi
      • Ritorno al Grande Mare
      • Xenomelia
    • Fantasy >
      • Animali Veloci e Cacciatori Lenti
      • Faida nel Deserto
      • L'attacco del mastodonte
      • La Cripta del Simbionte
      • La Tribù del Falco
      • Lastelor
      • Xargoth L'Immortale
    • Fiabe & Favole >
      • Per Bambini >
        • Alice e il pesce dorato
        • Rametto il Folletto
        • Sir Percival il Pesce
        • Sir Percival il Pesce e la Dama del Lago
        • Taito della Foresta Blu
      • Per Adulti >
        • Gulden Draak
        • Luppolo Mannaro
        • Wyatt - Operazione Zuppa di Pesce
    • Horror >
      • La preda che si credeva il cacciatore
    • Humor Nero >
      • Taigeto
    • Science Fantasy >
      • Marit
    • Supereroi >
      • Missione Sottomarina
      • Unità Contenimento Disastri
  • Patreon
  • Chi Sono
    • Concorsi Letterari
    • Domande Comuni
  • Contatti

gulden draak

Genere:   fiaba,   fantasy,   avventura,   azione,   comico.

Questo è un video in cui spiego dall'inizio alla fine il processo creativo.
​Parlo anche delle decisioni di trama quindi il video spoilera il racconto, guardatelo dopo averlo letto!
Nel sottobosco c’erano una moltitudine di rami secchi che, se calpestati, avrebbero allertato la sua preda. Jari si acquattò dietro ai cespugli e solo un lievissimo fruscio accompagnava il suo incedere, indistinguibile da quello prodotto dalle foglie che stormivano al vento. Il profumo della resina di pino permeava l’aria unendosi a quello del legno in putrefazione e della pioggia che aveva smesso da poco di battere sulla foresta lasciando una patina umida sui tronchi. Man mano che si spostava sottovento iniziò a percepire anche l’odore pungente del cervo. Strinse il legno dell’arco nella mano e accarezzò le penne della freccia già incoccata. Sentì lo stomaco brontolare, passò la lingua sulle labbra e già gli sembrò di sentire il gusto di una buona bistecca grigliata. Fece un altro passo e lo vide: era un giovane maschio. Aveva un piccolo palco con non più di due ramificazioni e stava in piedi su terreno rialzato brucando le foglie dei rami più bassi.

Jari sollevò l’arco e tese la corda.

L’animale smise di ruminare e sollevò le orecchie, forse per lo scricchiolio delle fibre che andavano in tensione, forse per un sesto senso, ma era ormai troppo tardi.

La freccia partì fendendo l’aria con un sibilo e centrò il bersaglio.

Jari sfoderò un ghigno soddisfatto, si sollevò in tutta la sua statura sovrastando l’arbusto dietro al quale si era nascosto e stiracchiò braccia e schiena. I piedi gli dolevano per l’inseguimento ma ormai mancava solo di riportare la preda al villaggio e avrebbe potuto permettersi dei nuovi stivali e quell’anello d’oro con cui fantasticava di domandare a Lena di sposarlo. Aveva colpito con precisione millimetrica per cui l’animale non fece troppa strada prima di arrendersi all’inevitabile e Jari se lo caricò in groppa tendendo i possenti muscoli di torace e spalle. I piedi rinnovarono la loro richiesta d’aiuto ma Jari non ci fece caso e si avviò verso il villaggio con un largo sorriso.

Quando arrivò al limitare della foresta iniziò a sentire lo sciabordare delle onde che s’infrangevano sugli scogli misto ai secchi colpi dei martelli sul legno e al vociare degli uomini. Scese in strada avviandosi verso casa e passò sotto a diversi striscioni colorati che, legati su altrettanti pali in prossimità del palco che era stato eretto in mezzo alla piazza si dipartivano a raggera finendo annodati alla taverna, al negozio del pane, alla bottega del fabbro, al municipio, alla chiesa e alle abitazioni. Vide cesti pieni di albicocche, pesche e fragole appoggiati vicino a damigiane di vino rosso come il sangue. Il profumo di pane, focacce e torte appena sfornate era così forte da rivaleggiare con quello selvatico del cervo che portava sulla schiena. Quanto sarebbe stata buona una bistecca con miele e confettura d’arancia! Strinse le mani sulle zampe pelose dell’animale aggiustando la presa. In quel momento vide il cesto in cui erano raccolti una moltitudine di strisce di carta e aggrottò la fronte. Non vedeva l’ora che quella barbara pratica venisse abolita: il drago non si vedeva da cent’anni!

Arrivato a casa iniziò a macellare il cervo, avrebbe avuto a malapena il tempo di scuoiarlo e vendere la carne al macellaio prima dell’inizio della festa, non c’era molto tempo se voleva procurarsi dei begli stivali e l’anello. E si… magari anche farsi un bagno.

Lavorò veloce e, dopo aver portato la carne al macellaio e aver fatto del suo meglio per puzzare meno del cervo che aveva catturato, sentiva già il mormorio teso della folla che proveniva dalla piazza, le persone sussurravano tra loro a bassa voce e le famiglie si attorniavano ai figli.

Si avviò a grandi falcate facendo tintinnare il denaro che aveva in tasca fino a raggiungere l’emporio d’abbigliamento in pelle d’animale. Entrò e andò dritto allo scaffale degli stivali, ve n’erano di ogni forma e dimensione. Si sfilò quelli logori che stava indossando e la suola quasi si staccò tanto era divenuta sottile, poi iniziò a prendere uno per uno quelli esposti per confrontarne le dimensioni. Era necessario sceglierne uno che andasse bene sia per presentarsi a Lena che per andare a caccia.

«Ho sentito che hai abbattuto un cervo», disse il proprietario avvicinandoglisi alle spalle.

«Avrai la pelle quanto prima».

«Bene, ti darò quaranta corone».

«È un esemplare giovane, ha una pelle molto morbida e lucida».

«quarantacinque corone, allora».

«Devo ricordarti che senza di me non vedresti altra pelle oltre a quella delle poche vacche del villaggio?»,

«Ok, ok…», disse lui alzando le mai. «Facciamo cinquanta corone!».

«Meglio».

«Non so come fai ad addentrarti in quel bosco maledetto».

«Non c’è niente di strano nel bosco…».

«Niente di strano finchè non ti trovi tra le fauci del drago…».

«Il drago non si vede da cent’anni».

«Il drago non si vede da cent’anni, in città! Chissà che non sia nascosto da qualche parte nella foresta o sulle montagne».

«Ho visto molte bestie durante le battute, alcune strambe te lo concedo. Ma di un drago, nemmeno l’ombra…».

«Chiedilo ai tuoi avi».

«Quando sarò sotto terra».

«E gli anziani?», il venditore inarcò un sopracciglio. «Pensi che siano tutti stupidi?».

«Stupidi no. Pazzi e codardi… sicuramente».

«Il tempo ci dirà chi tra voi è il pazzo», fece spallucce. «Ma finchè non verrai divorato, continua a portarmi le pelli».

«Finchè tu continui a pagarmele bene».

Prese un paio di stivali in robusto cuoio conciato con una striscia in pelle di pitone sopra alla caviglia le cui squame rilucevano di giallo, ocra e arancione.

«Ottima scelta», disse il negoziante.

«Domani ti porto la pelle del cervo», disse Jari avviandosi all’uscita. «Scalami il prezzo da ciò che le pagherai».

«Sarà fatto!».

«Non ho dubbi…».

All’esterno si era radunata una piccola folla ma il podio sul palco era ancora vuoto. Il cesto di vimini con le strisce di carta era stato approntato lì di fianco. Jari entrò dal gioielliere e una campanella suonò in risposta all’apertura dell’uscio. In una frazione di secondo un ometto che misurava metà della sua altezza saltò fuori dal bancone.

«Ho sentito che hai preso un cervo!».

«Le notizie girano in fretta».

«Sei qui per quello che penso?».

«Si».

L’ometto ridacchiò e prese un cofanetto in legno laccato di viola da sotto il bancone.

«Il tuo tempismo però non è tra i migliori».

«Sai com’è… il cervo non voleva saperne di seguirmi fin dal macellaio di sua spontanea volontà».

«Spero userai una miglior diplomazia con la ragazza».

«Farò del mio meglio…».

«Ti dirà di si, ci scommetto», disse lui armeggiando con la chiave. «Fosse anche solo per sottrarsi all’estrazione dal prossimo anno».

«Non capisco come si possa continuare con questa tradizione…».

«Vaglielo tu a dire al drago…».

«Non c’è nessun drago».

«Vagli a dire anche questo».

«Giro per questi boschi…».

«Giri per questi boschi perché sei pazzo».

«Giro per questi boschi da vent’anni e non ne ho mai visto l’ombra».

«Merito della strega. Ergo per cui: l’estrazione».

«Si… ma cosa succede alle ragazze?».

«A loro non lo so», disse lui estraendo un anello d’oro dal cofanetto. «Ma so cosa non succede a noi…».

Jari ammirò la lucentezza del ninnolo poi squadrò l’ometto con un sopracciglio inarcato.

«Non veniamo mangiati dal drago!».

«Non c’è nessun drago!», Jari esalò un pesante sospiro, poi scosse la testa. «Dai qua».

L’anello era più pesante di quanto sembrasse ed era completamente d’oro. Avrebbe voluto poterci aggiungere un diamante o degli zaffiri che richiamassero il colore degli occhi di Lena ma anche se il suo ultimo successo gli aveva fruttato parecchie corone, non erano sufficienti.

«Il prezzo è sempre lo stesso».

Jari annuì e prese le monete che aveva in tasca, dovette lasciarle quasi tutte sul bancone ma ne valeva la pena. Uscì dal negozio e tornò alla piazza principale. Il capovillaggio aveva preso posto al podio e aveva in mano una delle striscioline di carta.

«Lena Lindell», pronunciò.

Jari percepì come un blocco di ghiaccio scivolargli lungo la schiena.

«No!», urlò scattando avanti.

Scrutò la moltitudine di persone accalcate davanti al palco alla ricerca di Lena ma non la vide, si fece largo a spintoni tra la gente scagliando lontano i malcapitati che si trovava davanti alla ricerca di una chioma castana dalle lunghe trecce. A un tratto la folla stessa si mosse come fosse mare smosso da un’onda anomala.

Lena era sola nello spazio che si era venuto a creare, Jari riusciva a vederla da sopra le teste degli altri villici: tremava, si torceva le mani e aveva gli occhi sgranati.

Un’altra donna la raggiunse con incedere deciso. Austera nel suo abito nero il cui strascico aleggiava pochi centimetri sopra al selciato. La folla era muta, nemmeno i passeri osavano cantare in sua presenza e le onde del mare giungevano come attutite. Un’aura di potere si irradiava dalla strega come una pressione invisibile. Jari sentiva le dita intorpidite, dovette concentrarsi come mai aveva fatto prima per costringere le gambe a compiere un passo in avanti. Il sapore ferroso del sangue gli inondò la bocca.

L’incantatrice accarezzò una guancia della ragazza, indugiando sul suo mento e ruotandole il viso per poi schiuderle la bocca come fosse un cavallo che stava comprando.

«Così bella…».

Senza proferire un’altra parola si voltò facendo segno a Lena di seguirla. Salirono su una carrozza trainata da quattro stalloni dal manto corvino e veloce com’era apparsa, si dileguò.

La pressione venne rilasciata all’istante e Jari inalò un profondo respiro. La testa pulsava e dovette appoggiarsi alle ginocchia per riprendere fiato.

«Cazzo…».

Sputò sul selciato della saliva rossa e scosse il capo strabuzzando gli occhi.

«Cazzo!».

Le altre ragazze sospiravano, ridevano risate isteriche e portavano le mani sul volto piangendo. Un urlo alle sue spalle lo fece voltare: il guardiano del faro era in ginocchio con le mani tra i capelli. Jari prese il vecchio per un braccio e lo accompagnò lontano dalla folla.

«La riporterò qui», disse.

«Il patto…», farfugliò lui. «Non puoi rompere il patto!».

«Al diavolo il patto!».

«La strega…».

«Si fotta la strega!».

«Il drago…».

Jari cacciò un urlo rauco.

«Non c’è nessuno stramaledettissimo drago!».

Voltò le spalle al guardiano del faro e raggiunse la sua abitazione, una volta dentro si accorse di avere ancora in mano gli stivali dalla pelle di pitone. Tolse i calzari logori e li gettò a terra, poi infilò il suo nuovo acquisto. Prese arco, faretra e pugnale. Raccolse gallette e frutta secca sufficienti per diversi giorni e si ficcò in bocca diverse strisce di carne secca macinando il maiale salato con forti morsi per togliersi il sapore del suo stesso sangue, poi lanciò tutte quelle che gli rimanevano nello zaino. Ingollò una bottiglia di birra chiara e prese la borraccia più grande che aveva.


Spalancò la porta di casa e tornò in piazza dove aveva visto per l’ultima volta la carrozza della strega. Gli altri villici alzavano calici pieni di vino e mangiavano salame, focaccia croccante e marmellata di mirtilli.
Jari non ne fece loro una colpa, erano solo altre vittime di quella tradizione, ma carcò di scacciarli dalla mente. Doveva trovare la concentrazione della caccia. Pensò alla strega come al cervo. Pian piano il villaggio scomparve, le voci festanti si fecero più ovattate, rimaneva solo il selciato dove le ruote avevano lasciato dei sottili solchi. Li seguì fin oltre lo steccato, sulla strada che portava verso la città più vicina. Camminò per una ventina di minuti e a un tratto le tracce s’interruppero.

Jari aggrottò la fronte. Si chinò grattandosi la barba. Succedeva così tutto d’un tratto, senza preavviso: un momento prima c’erano dei solchi, talmente freschi che la terra smossa non aveva ancora fatto in tempo a seccarsi al sole, il momento dopo nulla, nemmeno un segno.

Come se fosse svanita.

Come se avesse spiccato il volo… in aria non ve n’era traccia ma era anche vero che aveva almeno un’ora di vantaggio… sbuffò e si grattò la testa. Non aveva idea di quali fossero i poteri della strega né di dove avesse scelto di vivere. Fece mente locale: sulla destra c’era il mare, nascosto da una bassa collina, a sinistra la foresta e le alte montagne dove soleva andare a caccia.

«Se vivesse sulla costa i pescatori se ne sarebbero accorti…», ragionò a voce alta picchiettando a terra con un’estremità dell’arco. Il garrito di un gabbiano gli fece voltare la testa in alto: gli uccelli lo sorvolavano insensibili al suo dilemma. «Si, fatevi beffe di me…». Proprio quando stava per cedere all’autocommiserazione, vederli passare da una vetta all’altra gli fece balenare un’idea che gli portò un nuovo sorriso sulle labbra e s’incamminò nella foresta.

Impiegò il resto della giornata per raggiungere la cima della montagna più vicina e a quel punto, arrampicandosi su un frassino, fu in grado di scrutare tutto il territorio circostante: oltre alla strada da dove era venuto riusciva a vedere il mare e facendo scorrere lo sguardo sull’orizzonte scrutò il profilo dei monti alla ricerca di non sapeva nemmeno cosa.

Il sole si stava ormai adagiando all’interno di un versante della catena quando scorse una costruzione in pietra che poteva somigliare a un castello. Era sul cucuzzolo della montagna più alta e tanto distante che a malapena era in grado di distinguerla tra gli alberi e le nuvole.

Era ciò di più vicino a una pista che potesse desiderare quindi decise che valeva la pena fare un tentativo. Impiegò due interi giorni per arrivare alle radici della montagna che aveva individuato e tutto il terzo giorno per inerpicarsi sulle scoscese pareti. Era l’imbrunire quando raggiunse quello che si rivelò essere un immenso santuario circondato da un portico con colonne doriche. Gli ultimi raggi solari dipingevano di sfumature arancioni il marmo altrimenti bianco. La carrozza della strega era situata nei pressi dell’entrata e i cavalli, senza briglie, pascolavano lì vicino.

D’un tratto un movimento tra le colonne attirò la sua attenzione ma nell’oscurità del fianco del tempio non giungeva sufficiente luce da cogliere i dettagli della sagoma. Istintivamente si portò sotto vento e compì un arco senza lasciare la protezione della foresta. Passando di tronco in tronco riuscì ad avvicinarsi di parecchi metri, tanto da trovarsi a un tiro di freccia dal porticato. Iniziò a sentire un odore silvestre man mano che si avvicinava, ma diverso da quelli a cui era abituato: aveva un che di sulfurico.

La sagoma si mosse ancora e con un movimento sinuoso il drago uscì dal colonnato. I raggi del sole brillarono di un colore rosso scuro riflettendosi sulle scaglie dorate della bestia. La testa, sorretta da un lungo collo arrivava in alto oltre il tempio, le zampe erano spesse quanto le colonne e l’apertura alare avrebbe superato in lunghezza una nave.

Jari rimase impietrito, gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Ringraziò il suo istinto per trovarsi sottovento. Non osò muovere un muscolo per il terrore di far scricchiolare un ramo e quasi soffocò pur di non tirare il fiato.

Il drago inarcò il dorso, scosse le ali e ruggì, poi affondò il muso in un cumulo di carcasse di pecora. Jari rimase fisso a osservarlo: ad ogni movimento della mandibola lo scrocchiare delle ossa spezzate gli risuonava nel profondo.

Rabbrividì, come avrebbe potuto oltrepassare una tale creatura?

Quando riuscì a distaccare lo sguardo dal sangue che colava sul mento, notò che un cristallo era conficcato in profondità nel cranio del drago.

L’ombra di un sospetto gli attraversò la mente e più che una strategia, gli sovvenne un’idea. Un’idea che valeva la pena testare. Si morse un labbro: se si fosse sbagliato gli sarebbe costato la vita ma dopotutto, era probabile gli costasse la vita anche se avesse avuto ragione.

Scosse la testa, inspirò un respiro profondo e lo esalò.

«Non c’è ragione di esitare…».

Mise il cipiglio più feroce di cui era capace e si schiaffeggiò due volte.

«Dai!».

Incoccò una freccia e saltò fuori dal nascondiglio.

«Hey!», il suo grido risuonò come uno squittio.

Il drago si voltò, i corpi delle capre incastrati tra i denti come impalati si dissanguavano.

Iniziarono a tremargli le ginocchia.

I possenti muscoli si contrassero sotto alle squame dorate mentre il drago gli si portava davanti.

Jari deglutì e tese l’arco.

La bestia portò in alto la testa, inspirò l’aria e una luce come di una torcia sembrò sprigionarsi dalla bocca e tra le scaglie del petto mentre la temperatura aumentava.

I cavalli nitrirono.

Jari puntò in alto e scoccò.

La freccia roteò nell’aria in direzione della testa e, prima che il drago potesse sputare fuoco, infranse il cristallo mandandolo in mille pezzi che riflessero gli ultimi raggi solari come un arcobaleno.

La bestia roteò gli occhi e sputò una fiammata verso l’alto concludendola tossendo e mandando fumate nere come fosse un camino intasato.

«Poffare!», esclamò con voce cavernosa. «Devo aver desinato pesante stamani!».

Jari cercò di rimanere il più immobile possibile senza palesare i suoi tremori.

«Cos’è ‘sto sapor ferrigno che mi scorre in bocca», continuò il drago sputacchiando. «Carni crude d’ovini puzzolenti?! Son forse impazzito o impigrito a tal punto da non operar giusta cottura?!».

Jari inarcò un sopracciglio e rimase a osservarlo pulirsi le fauci usando un ramo a mo’ di stuzzicadenti.

«Chi tu sie, che mi risvegliasti da codesto incanto?».

«Jari», balbettò lui.

«Jari Lungo Tiro, sarai noto da ora! Il distruttore di cristalli! Jari della Freccia a cui nulla sfugge! Jari Balbuzie dalle ginocchia tremanti!».

Jari sbattè gli occhi.

«Dunque, non mi mangerai?».

«Mangiarti?! Perché dovrei mai?!».

Jari scrollò le spalle.

«La carne degli umani fa schifo!».

«Non saprei dire…».

«Credi a me! Nemmeno alla griglia con abbondante marinatura mangerei uno del tuo popolo».

«Questa è una buona notizia…», mormorò Jari.

«Mangiarti! Ah! Che assurdità!», il drago mandò un suono gutturale rassomigliante a una frana. «No Jari dagli Stivali di Pitone, scalatore di montagne, io non ti mangerò. Io ti aiuterò, giacché abbiamo un nemico in comune…».

Jari esitò un momento ma giudicò di potersi fidare del drago.

«Qual è il tuo nome?».

«Gultarinagakarasi dei Tre Fiumi», disse lui ingrossando il petto. «Ma fui noto anche come Maestro dei Cinque Picchi ed Eremita dei Sei Cammini».

«Credo ti chiamerò Gultar».

«Più colloquiale di quanto son solito preferire», disse il drago con una smorfia. «Ma dal momento che mi salvasti dal maleficio… te ne accordo l’onore».

Jari abbozzò un mezzo sorriso poi si diresse all’entrata del tempio seguito dai tonfi dei passi del drago che scuotevano il terreno. I cavalli si erano sparpagliati ma non erano scappati, anch’essi avevano dei cristalli inseriti nel cranio. Il sole era ormai oltre l’orizzonte e il profilo delle montagne si stagliava rossiccio su un cielo nero. Jari si voltò verso il tempio il cui ingresso era un passaggio buio dal quale filtrava una luce verdastra, quasi velenosa. Mosse passi talmente pesanti che non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di farli senza un drago alle sue spalle. Oltrepassò le colonne attraversando portico, poi s’addentrò nelle ombre.

All’interno gli si rivelò una sala illuminata da torce verdi che davano al marmo un’aspetto malsano. Seduta su un trono d’oro in fondo alla navata vi era la strega, nel suo abito nero con lo strascico svolazzante che lasciava intravedere le gambe.

«Sei venuto fin qui per lei», disse la strega. «Meriti almeno di vederla, prima di morire».

A un suo gesto le torce divamparono rendendo visibile tutto ciò che era nascosto nell’oscurità. Jari scorse lo sguardo dagli occhi verdi della strega alla sua pelle perfetta, le labbra rosse, i capelli corvini al resto della sala: arazzi e librerie ingombravano le pareti, enormi tomi erano aperti sui tavoli e ovunque erano ammassati mortai, imbuti, fiasche. Un sistema di alambicchi era collegato a dei tubicini che andavano a un tavolo di legno su cui giaceva immobile Lena.

Jari ebbe un sussulto.

I tubicini terminavano in aghi ipodermici che penetravano la ragazza in prossimità delle giunture: caviglie, ginocchia, bacino, polsi, gomiti, spalle e collo. Un liquido azzurrino veniva distillato e condensato in una boccetta posta alla fine del sistema alchemico.

«È viva», disse la strega. «Per il momento».

Una ruga solcava il viso della ragazza che aveva perso lo splendore della sua carnagione e appariva debole ed esausta nel sonno in cui era costretta.

«Lena!», urlò.

«Non può sentirti».

«Cosa le hai fatto?!».

«Nulla che non fosse concordato».

«Dove sono tutte le altre ragazze?».

«In un certo senso, le hai davanti a te!», disse con una vibrazione estatica nella voce sollevando entrambe le braccia e lasciando che le ampie maniche delle vesti le scivolassero verso le spalle. Il vestito le stringeva i fianchi mettendo in mostra le curve delle anche e dei seni. Scosse la chioma di riccioli bruni. «Cosa dici, li dimostro duemilatrecento anni?».

«Le hai sacrificate per questo?», ringhiò Jari stringendo la presa sul legno dell’arco ma senza riuscire a muoversi. «Come dormi la notte?».

«Divinamente», disse lei avanzando. «Tu sei quel cacciatore della piazza, quello che si è mosso».

Jari sentì la pressione accentuarsi e il sapore del sangue in bocca.

«La tua domanda era banale», disse la strega girandogli intorno. «Ma sarebbe stato ingiusto aspettarmi di meglio…», lo squadrò dall’alto in basso. «Però io ho una domanda migliore», gli accarezzò una guancia e fece scivolare la mano fin sul petto. «Come hai superato il mio drago?».

In quel momento Gultar infilò il capo attraverso l’entrata mandandoli entrambi a gambe all’aria, poi inspirò e scaricò una roboante fiammata contro la strega illuminando a giorno l’intera cripta. La vetreria di distillazione esplose e la strega fece appena in tempo ad alzare una barriera magica per evitare di essere ridotta in cenere.

Jari si ritrovò a terra e sgranò gli occhi rendendosi conto di potersi muovere. Recuperò l’arco che era caduto poco distante, incoccò una freccia e tirò.

La strega ebbe una frazione di secondo per accorgersi di quanto stava succedendo, il dardo la colse in pieno nel costato penetrando per metà della sua lunghezza e nell’istante in cui la barriera magica venne meno, il fuoco del drago completò il lavoro.

Della stega non rimase che uno scheletro carbonizzato.

Jari si gettò sul tavolo in legno ed estrasse tutti gli aghi uno dopo l’altro liberando la fanciulla che iniziò a battere le palpebre e muovere le dita. Si tolse il mantello e l’avvolse per coprirla e tenerla al caldo, poi la prese in braccio e la portò fuori nella notte.

Esausti, dormirono protetti da un’ala del drago.

Quando le prime luci dell’alba accarezzarono loro le palpebre, un buon odore d’abbacchio gli fece gemere lo stomaco. Jari si mise in piedi e aiutò Lena ad alzarsi, la ragazza era ancora traballante ma riuscì a stare dritta, la fronte contava più rughe di quante Jari ricordasse e le guance erano scavate.

«Grazie», disse lei parlando per la prima volta.

Jari l’abbracciò stando attento a non stringerla troppo e le esili braccia di lei gli circondarono le spalle. Poi ricordò che aveva ancora l’anello in tasca, non sapeva se fosse il momento giusto ma non voleva più aspettare.

«Avevo intenzione di darti questo», disse prendendolo dalla tasca. «Vuoi sposarmi?».

Il poco sangue che scorreva nelle vene della ragazza si concentrò sulle gote.

«Come mai ci hai messo tanto?», disse lei porgendogli la mano.

«Cercavo gli stivali giusti».

Lena scosse la testa con un sorriso.

Jari infilò l’anello sull’anulare poi la baciò, aveva le labbra secche e screpolate ma non gli importò.

«Ah ma che dolce visione nel primo sole!», disse Gultar trotterellando in loro direzione. «Bando alle smancerie! È il momento di desinar come più m’aggrada».

Il drago aveva approntato una griglia e aveva preparato dell’abbacchio arrosto con salsa di more che di meglio non avevano mai mangiato. Le porzioni erano draconiche e Jari mangiò fin quasi a far scoppiare i bottoni delle brache e concluse leccandosi tutte e dieci le dita.

Salirono sulla carrozza senza cavalli che, privi del controllo della strega, si erano allontanati a pascolare e Gultar ne afferrò il tettuccio di metallo con le possenti zampe trasportandoli in volo. Jari non potè trattenere un ghigno nel pensare alle facce che avrebbero fatto al villaggio vedendoli arrivare a quel modo.

Fecero un ingresso trionfale e una volta spiegato l’inganno della strega, i cittadini accettarono Gultar come uno di loro e di buon grado dal momento che la cucina del drago era più che sopraffina e che si adattò a tal punto alla vita del villaggio da mettere su una birreria iniziando a produrre una sua creazione a cui diede il nome di Gulden Draak: una birra dal sapore draconico!

Jari, dal canto suo,  riuscì finalmente a sposare Lena e convinse Gultar a portarli in groppa per tutto il continente come viaggio di nozze.
​
Fu così che il villaggio conobbe una nuova era di tranquillità, prosperità e, grazie al drago, ubriachezza molesta!
Iscriviti alla newsletter
seguimi sui social
SUPPORTAMI SU PATREON
Picture

  • Home
  • Libri
    • Il Viaggio dell'Endeavour >
      • Odissea per TRAPPIST-1
      • Il Culto dell'Endeavour
    • Cronache di Nova: Ryan Carter >
      • Il Segreto di Silver City
      • Omicidio nel Quartiere del Dragone
    • SIGMA: Difesa Planetaria >
      • Xenomelia
  • Racconti
    • Fantascienza >
      • Il Costruttore di Mondi
      • Il Motore Immobile
      • Il Piano Astrale
      • L'ultimo padiglione
      • La Città Cupola
      • La Colonia Madre
      • La Sonda di Bracewell
      • Progetto Odissea
      • Punto di Non Ritorno
      • Reperto 2X4K Umano in Criostasi
      • Ritorno al Grande Mare
      • Xenomelia
    • Fantasy >
      • Animali Veloci e Cacciatori Lenti
      • Faida nel Deserto
      • L'attacco del mastodonte
      • La Cripta del Simbionte
      • La Tribù del Falco
      • Lastelor
      • Xargoth L'Immortale
    • Fiabe & Favole >
      • Per Bambini >
        • Alice e il pesce dorato
        • Rametto il Folletto
        • Sir Percival il Pesce
        • Sir Percival il Pesce e la Dama del Lago
        • Taito della Foresta Blu
      • Per Adulti >
        • Gulden Draak
        • Luppolo Mannaro
        • Wyatt - Operazione Zuppa di Pesce
    • Horror >
      • La preda che si credeva il cacciatore
    • Humor Nero >
      • Taigeto
    • Science Fantasy >
      • Marit
    • Supereroi >
      • Missione Sottomarina
      • Unità Contenimento Disastri
  • Patreon
  • Chi Sono
    • Concorsi Letterari
    • Domande Comuni
  • Contatti