FRANCESCO GOZZO
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Wyatt - Operazione Zuppa di Pesce

Genere:   fiaba,   fantasy,   azione,   comico.

Questo è un video in cui spiego dall'inizio alla fine il processo creativo.
​Parlo anche delle decisioni di trama quindi il video spoilera il racconto, guardatelo dopo averlo letto!
Wyatt affrettò il passo per raggiungere la passerella della nave. Stavano imbarcando le ultime casse e già il Capitano urlava di fare in fretta che dovevano partire per l’America prima che cambiasse la marea. Raggiunse la pedana correndo e salì non visto. Un momento dopo i marinai slegarono gli ormeggi, spiegarono le vele e la nave si mosse lentamente uscendo dal porto di Londra. Wyatt si trovò un posticino confortevole in cambusa dove slegò il suo bagaglio e si mise comodo. Il viaggio sarebbe durato tanti giorni, forse settimane ed era fondamentale essere comodi e in prossimità del cibo. Se fosse stato attento e fosse rimasto nascosto, nessuno si sarebbe accorto di lui e sarebbe potuto scendere indisturbato una volta raggiunta New York.

I giorni passarono tra il lento sciabordare della nave e il gagliardo garrito dei gabbiani. Wyatt si trovava bene nella piccola tana che si era costruito e aveva tutto il cibo di cui necessitava grazie alla dispensa che i marinai avevano rifornito. Tuttavia, la noia era divenuta insopportabile… non aveva niente da fare tutto il giorno e non sapeva quanto ancora sarebbe durato il viaggio. Quindi iniziò a uscire dal suo nido nella cambusa per esplorare la nave.

Il ponte era bellissimo, le assi di legno erano tirate a lucido e vi si riflettevano i raggi di un caldo sole primaverile. Wyatt amava spenderci un po’ di tempo ogni giorno chiacchierando con i gabbiani che si appollaiavano di tanto in tanto per riposare le ali. Purtroppo però era troppo frequentato dall’equipaggio della nave. Una moltitudine di uomini andava avanti e indietro tutto il giorno per cui a volte preferiva salirci di notte quando quasi tutti dormivano e, anche se il vento era un po’ freddo, poteva sdraiarsi in pace con Frannie, la gabbianella con cui aveva stretto più amicizia, a osservare a luna e le stelle. Tutt’altra cosa era il ponte sottocoperta dove i marinai dormivano o passavano il tempo libero chiacchierando e giocando a carte. Erano sempre distratti per cui Wyatt poteva girare con più libertà godendosi il calore delle coperte e divertendosi a spiare le carte che tenevano in mano cercando di indovinare chi avrebbe vinto le partite.

Un giorno, però, tornò alla sua tana e la trovò distrutta. Tutti i suoi effetti personali erano stati calpestati. Wyatt si sentì mancare. Il bastone che era appartenuto a suo padre era stato spezzato e la foto di famiglia strappata e così tutti gli altri ricordi che portava con sé, anche il cibo che aveva messo da parte era stato pestato.

«Eccoti ratto maledetto!», sentì esclamare una voce roca alle sue spalle. «Muori!».

Si girò appena in tempo per vedere un omone irsuto calare una padella dritta sulla sua testa. La botta gli fece vedere le stelle e lo tramortì per un momento ma Wyatt aveva la testa dura quindi si riprese in fretta.

«Sei un osso duro eh?», disse l’omone attaccando nuovamente.

Wyatt scattò di lato e questa volta la pentola prese soltanto la sua coda. Wyatt urlò per il dolore e saltò fuori dalla cambusa mettendosi a correre per tutto il ponte sottocoperta.

«L’ho visto! L’ho visto!», urlò l’uomo irsuto ai suoi compari. «È fuggito sottocoperta, si nasconde tra i letti!».

Wyatt corse da un letto all’altro mentre i marinai lo rincorrevano bastoni alla mano pestandoli a terra nel tentativo di colpirlo. Gli girava ancora la testa per il colpo che gli era stato inferto con la padella ma riuscì lo stesso a sfuggire agli inseguitori infilandosi sotto i tavoli e le credenze ma questi non demordevano e ribaltavano tutto ciò che non fosse fisso alla nave nel tentativo di raggiungerlo. Con tavoli che saltavano e mobili mezzi rovesciati Wyatt faticava a trovare altri nascondigli e evitare tutte le bastonate. Saltò quindi su un letto passando attraverso gli inseguitori, tra braccia e gambe aggrovigliate e tornò alle scale salendole un balzo per gradino fino a raggiungere il ponte mettendosi a correre tra i marinai. I suoi inseguitori si scontrarono con i colleghi al lavoro e come birilli caddero a terra facendo una gran confusione.

«Frannie», urlò arrampicandosi sul cassero di poppa cercando la gabbianella.

In un battito d’ali lei scese dal pennone di mezza, il suo posto preferito per appollaiarsi, e fu al suo fianco.

«Che confusione!», esclamò. «Serve un’ala?».

«Me lo daresti un passaggio fino al castello di prua?».

«Certo!», rispose lei. «Aggrappati alle zampe!».

Wyatt saltò e si aggrappò alle zampe della gabbianella mentre questa spiccava il volo compiendo un ampio arco sull’oceano. Trattenne il respiro, si sentì lo stomaco salire in gola mentre sorvolava l’acqua e prima ancora di rendersene conto si trovava sull’angolo opposto della nave.

«Buona fortuna!», disse lei riprendendo il volo.

«Grazie Frannie!», esclamò Wyatt scattando verso le scale.

Approfittando del disordine causato dalla folla di marinai che si scontravano l’uno contro l’altro discese le scale non visto fino alla stiva, il piano più basso della nave dove erano immagazzinate una sull’altra le enormi casse in cui erano contenute le ricchezze che il mercantile stava trasportando in America. Questo era il piano della nave in cui era più facile nascondersi anche se non potendo guadare cosa c’era nelle casse era anche il più noioso. Wyatt si rifugiò nell’anfratto più stretto che riuscì a trovare e attese, ascoltando il vociare dei marinai che lo cercavano. Pian piano il dolore alla testa divenne un sordo pulsare, le palpebre gli si abbassarono e scivolò in un sonno profondo.

Quando si svegliò, gli uomini avevano smesso di gridare, sembrava mattina a giudicare dalla luce che entrava dagli oblò. Dopo una notte di sonno, non avendolo trovato, i marinai dovevano averlo dato per morto e abbandonato la ricerca. Si arrampicò su una cassa e raggiunse uno degli oblò e si sdraiò sul legno dello scafo la cui curvatura sembrava fatta su misura per lui e poteva sentire il vento fresco soffiargli di fianco. Si tastò il cranio e scoprì che la padellata gli aveva lasciato un enorme bernoccolo che doleva al tatto e aveva la coda tutta graffiata per essere stata schiacciata.

Sbuffò…

Non capiva come mai se la fossero presa così tanto con lui… dopotutto mangiava pochissimo in confronto a loro e la sua presenza non avrebbe cambiato il fatto che c’era cibo sufficiente per tutti… certo, si era imbarcato all’ultimo momento e non aveva dato una mano per i preparativi del viaggio ma non era certo qualcosa che giustificasse un’aggressione del genere! E poi avevano distrutto tutte le sue cose! Era intento a crogiolarsi nelle lamentele quando a un tratto sentì uno spruzzo d’acqua colpirlo sul fianco.

«Ehi topino», lo chiamò una voce melodiosa dall’oceano.

Si voltò strabuzzando gli occhi nel vedere una sirena che nuotava mantenendo la velocità della nave senza sforzo.

«Il mio nome è Maja, posso sapere il tuo?», chiese la sirena.

«Mi chiamo Wyatt», rispose spalancando la bocca.

«Piacere di conoscerti Wyatt», disse la ragazza. «Ho davvero un grande problema e pensavo che un coraggioso topino come te potrebbe essere in grado di aiutarmi».

Wyatt si sentiva tutto fuorché coraggioso in quel momento, dopo aver passato la giornata precedente a scappare e prendere padelle in testa, però la sirena l’aveva incuriosito.

«Non so se posso aiutarti», disse. «Però puoi iniziare a dirmi qual è il problema».

«Quei marinai hanno catturato un pesce mio amico», disse Maja togliendosi una lacrima dagli occhi. «È un pesciolino giallo molto ingordo e non riesce a fare a meno di mangiare tutte le esche che gli umani usano per pescare e di conseguenza rischia sempre di esser preso all’amo!».

«Lo mangeranno?!», esclamò Wyatt inorridito.

«Sì… e io non posso fare niente per salvarlo perché non posso salire sulle barca… potrebbero iniziare a cucinarlo proprio ora!».

«È terribile!».

«Saresti così coraggioso da andare a salvarlo?».

Wyatt si morse un labbro.

«Ma cosa posso fare io?», disse tutto sconsolato. «Sono solo un piccolo topolino».

«Mio caro Wyatt, anche la creatura più piccola può cambiare il corso del futuro», disse la sirena con un sorriso radiante. «Se equipaggiata a dovere!».

Detto questo, Maja mosse le mani intonando una cantilena in una lingua che Wyatt non riconobbe, lievi spruzzi di tutti i colori dell’arcobaleno iniziarono a esplodere come fuochi d’artificio e tra le mani della sirena si materializzò un piccolo scrigno.

«Qui troverai tutto ciò di cui hai bisogno», disse lanciando lo scrigno all’interno della nave attraverso l’oblò di fianco a quello dove Wyatt stava riposando. «So che troverai il modo!».

«Come…?», iniziò a chiedere Wyatt ma Maja era già sparita sotto le onde.

Si alzò e discese lo scatolone da dove era salito. Trovare lo scrigno non fu difficile ma fu impegnativo farlo rotolare per metterlo dritto. Era grande la metà di lui! Si chiese cosa diavolo potesse esserci dentro… la sirena sembra essere sicura che avrebbe accettato la missione che voleva affidargli ma Wyatt era molto scettico al riguardo e dubitava che qualunque cosa ci fosse nella scatola avrebbe potuto cambiare qualcosa…

«Però dare un occhio male non fa…», mormorò tra sé e sé afferrando il coperchio e spalancando lo scrigno.

Quello che vide gli fece spalancare la bocca e sgranare gli occhi.

Equipaggiamento tattico militare!

Forse, dopotutto, Maja aveva ragione.

Wyatt infilò i calzoni mimetici e gli anfibi, allacciò il cinturone con la fondina e il coltellaccio, indossò la giacca che conteneva una serie di coltelli da lancio. Si sistemò il cappello in testa, infilò la pistola nella fondina e imbracciò il fucile mitragliatore. Quei fottuti umani si sarebbero pentiti di averlo colpito e soprattutto di aver rotto tutte le sue cose.

Era ora di salvare un pesce ingordo e spaccare un po’ di culi!

«Che l’operazione Zuppa di Pesce abbia inizio!», disse digrignando i denti e avviandosi verso la cucina con passo sicuro.

Il cuoco aveva approntato un calderone sul fuoco e l’acqua stava bollendo, poteva vedere la sua schiena irsuta dall’altra parte della cucina mentre agitava il coltello sminuzzando una serie di verdure. Al suo fianco stava la padella con cui l’aveva colpito in testa. Wyatt si guardò in giro e individuò un pesce giallo mezzo tramortito sul tavolo. Si arrampicò lungo una delle gambe di legno per giungere sulla superfice. Passò tra vari tipi di verdure e barattoli di spezie fino a raggiungere il suo obiettivo.

«Sveglia pesce ingordo», disse schiaffeggiandolo.

«Blurp!», il pesce emise una serie di bolle. «E tu chi saresti?!».

«Mi manda Maja», disse Wyatt. «Sono qui per salvarti».

«Basta che fai in fretta… mi manca l’acqua!».

D’un tratto Wyatt divenne consapevole del silenzio che li circondava, si sentiva solo il ribollire dell’acqua ma era svanito il battere del coltello sul tagliere. Quando alzò lo sguardo vide che il cuoco irsuto lo stava guardando con occhi spiritati.

«Tu!», sbraitò mostrando i denti anneriti.

«Io», disse Wyatt puntando l’AK-47 miniaturizzato.

L’omone gli scagliò contro il coltellaccio. Wyatt schivò e questo si piantò in profondità nel legno del tavolo mancando il pesce ingordo per pochi centimetri. Wyatt urlò aprendo il fuoco in una sventagliata di colpi che riempì il cuoco di piombo e nonostante i proiettili fossero minuscoli fecero schizzare sangue ovunque.

«Seguimi se vuoi vivere», disse al pesce.

«Come?!», protestò questo dibattendo le pinne.

Wyatt sbuffò. Strappò un pezzo di spago da un salame lì vicino e legò il pesce per la pinna caudale. La porta si spalancò e i marinai si riversarono nella stanza. Wyatt iniziò a smitragliare come un pazzo scaricando loro addosso tutto il caricatore. Quando ebbe finito non c’era più anima viva tra loro e la porta. Lanciò a terra l’AK-47 ed estrasse la pistola, una classica colt da sei colpi. Afferrò il cordino di spago e saltò dal tavolo trascinando il pesce dietro di sé.

«Ouch!», esclamò questo quando atterrò di faccia.

Non sarebbe mai riuscito a lanciare il pesce oltre uno degli oblò per cui decise di andare sul ponte della nave. Corse fino a raggiungere le scale e le salì, tirandosi dietro il pesce che saliva i gradini un piccolo balzo alla volta.

«Il ratto!», urlarono i marinai. Avevano preso le spade.

«Non si porta una spada a un duello alla pistola», disse Wyatt iniziando a sparare.

I marinai caddero uno dopo l’altro tutto intorno a lui senza riuscire ad avvicinarsi. Quando gli si parò davanti il Capitano, il grilletto scattò senza esplodere alcun colpo.

«Hai finito le munizioni, ratto», disse l’uomo roteando la spada. «È giunta la tua ora!».

«Non così in fretta», disse Wyatt con un ghigno selvaggio ed estrasse il coltellaccio dalla cintura.

Quando il Capitano gli si gettò addosso con un affondo Wyatt deviò la lama da un lato e saltò in quello opposto compiendo una rotazione completa colpendolo a una gamba.

«Maledetto», urlò questi agitando la spada e tempestandolo di colpi.

Wyatt però era troppo veloce, schivava e saltava, gli girava intorno evitando ogni fendente. Poi, approfittando di un momento in cui si trovava di spalle, estrasse uno dei coltelli da lancio e ruotando su sé stesso lo scagliò prima che il Capitano potesse reagire, infilzandogli la mano che teneva la spada. L’arma cadde a terra e l’uomo cadde in ginocchio urlando e tenendosi in grembo la mano ferita.

Wyatt gli puntò il coltellaccio al collo.

«Sono disposto a risparmiarti la vita in cambio di quella del pesce e di un passaggio sicuro per l’America», disse.

Il capitano lo guardò con un feroce cipiglio.

«Hai combattuto con valore», disse. «Accetto le tue condizioni».

«Molto bene», disse Wyatt rinfoderando il coltellaccio.

Andò a recuperare il pesce ingordo e lo trascinò fino al bordo della nave. In quel momento Maja sbucò dalle onde.

«Attento alle tue spalle!», urlò la sirena.

​Wyatt si girò appena in tempo per vedere il Capitano che, impugnata la spada con la mano sinistra, si stava lanciando alla carica. Rapido come il fulmine estrasse il coltellaccio e ruotò su sé stesso schivando l’affondo e colpendo allo stesso momento l’uomo alla caviglia. Il Capitano si sbilanciò e finì fuoribordo con un urlo rauco. Sparì tra le onde e nessuno ebbe più sue notizie.

«Grazie Maja», disse Wyatt calciando il pesce ingordo oltre il fianco della nave. «Ho recuperato il tuo amico».

«Ero sicura che ci saresti riuscito!», disse lei con un sorriso sgargiante. «Grazie!».

Wyatt sorrise di rimando

«Sono io che devo ringraziarti», disse. «Per aver creduto in me quando nemmeno io credevo in me stesso. Dammi un momento che prendo il forziere e ti restituisco anche l’equipaggiamento tattico».

«Non ce n’è bisogno», disse Maja facendogli un occhiolino. «È stato un regalo».

«Allora ti ringrazio anche per questo», disse Wyatt. «Immagino non ci rivedremo tanto presto».

«Non ne sarei così sicura», rispose la sirena agitando una mano in segno di saluto e sparendo tra le onde.

Wyatt rimase qualche minuto a sorridere alle onde. Maja, non l’avrebbe mai dimenticata. Poi uno sbatter d’ali lo riscosse dai suoi pensieri.

«Diamine», esclamò Frannie. «Che casino hai combinato sulla nave?».

​Wyatt ridacchiò suo malgrado. Si, era successo un gran casino, ma per il resto del viaggio nessuno lo disturbò più e sia lui che la gabbianella poterono mangiare ciò che volevano dalla dispensa.
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