Rikard fermò il furgone e tirò il freno a mano. Si era inoltrato nella riserva di un paio di chilometri ed era notte fonda, gli alberi lo circondavano. Spense i fari e girò le chiavi, il motore smise di rombare e tutto si fece buio per un momento. Poi le luci nell’abitacolo si accesero fornendo quel poco di luce che gli serviva per accendere una piccola lanterna e prendere l’attrezzatura. Scese dal furgone e appoggiò la lanterna sul sedile mentre metteva il fucile in spalla e prendeva il sacco con le trappole. Inspirò l’aria profumata di resina ricca dell’odore della pioggia recente e guardò il vano posteriore del furgone. Con un po’ di fortuna, quella notte l’avrebbe riempito e avrebbe fatto un bel po’ di soldi.
Quando fu pronto spense la lanterna e chiuse la portiera. Attese qualche secondo affinché gli occhi si abituassero alla scarsa illuminazione fornita dalla solitaria falce di luna che si stagliava nel cielo e si mise in cammino. Il rumore del furgone poteva aver spaventato gli animali quindi occorreva allontanarsene un po’ prima di piazzare le trappole e iniziare la caccia. Ovviamente non era legale cacciare nella riserva, per questo motivo doveva sempre fare tutto velocemente nel caso avesse sparato qualche colpo, i ranger non impiegavano mai tanto tempo per arrivare. Tuttavia, era sempre riuscito a caricare sul furgone gli animali morti e andarsene senza essere beccato.
Le sue prede abituali erano cervi, cerbiatti e cinghiali. A venderne carne e pelle si poteva fare un bel gruzzolo! Quando gli capitava di avvistare un lupo non esitava a sparare, anche la pelle di quelle bestiacce si poteva vendere bene e poi meno lupi c’erano, più prede rimanevano per lui. I lupi non erano altro che concorrenti che mangiavano i suoi potenziali guadagni.
Dopo qualche minuto di cammino, appoggiò il sacco con le trappole a terra e iniziò a disseminare le tagliole, coprendole con qualche foglia per renderle pressoché invisibili, poi andò in perlustrazione nel bosco. Passarono un paio d’ore senza che riuscisse ad avvistare un singolo animale, imprecò tra sé e sé: si prospettava una caccia magra quella notte. Poi un fruscio di qualcosa che si muoveva tra i cespugli attirò la sua attenzione. Proveniva da una collinetta a un centinaio di metri di distanza ma nel silenzio assoluto della notte i suoni viaggiavano lontano. Fece due passi in quella direzione.
Crack!
Pestò un ramo.
«Merda», sussurrò.
La silhouette di una testa si sollevò stagliandosi contro il cielo notturno in lontananza. Un lupo. Rikard sogghignò portando il fucile alla spalla. L’animale non pareva averlo visto e ruotava la testa cercando l’origine del suono.
Sparò.
Il colpo risuonò come un tuono nella notte. Il lupo emise un guaito e sparì. Rickard si incamminò con un sorriso obliquo, non era gran che come bottino ma almeno si era assicurato una preda. Poi si bloccò. La testa del lupo tornò ad apparire sopra la boscaglia. Guardava dritto nella sua direzione. Rikard si stropicciò gli occhi, era sicuro di averlo colpito… Il lupo avanzò.
In posizione eretta.
Rikard fece un salto indietro, si stropicciò ancora gli occhi, ma aveva visto bene. L’animale scostò un arbusto con una delle zampe anteriori rivelando lunghi artigli e spessi muscoli, il pelo argentato riflesse la luce della luna.
Si lanciò alla carica.
Rikard gridò e sparò di nuovo. Il lupo continuò a correre come niente fosse. Dimostrando un sangue freddo che non sapeva di possedere, il cacciatore rimase fermo e prese nuovamente la mira. Sparò un altro colpo mirando alle gambe.
Il lupo incespicò e cadde.
A questo punto, Rikard si diede alla fuga senza preoccuparsi di controllare se la bestia si stesse rialzando o meno. Sentì un ululato di rabbia, poi le falcate ripresero, pesanti sul terreno cosparso di foglie ma veloci. Poteva sentire il sordo ringhiare della creatura alle sue spalle e si sentì pervadere da un terrore primordiale. I suoi piedi presero il volo, non aveva mai corso così velocemente in vita sua. Si stava avvicinando al furgone, una volta lì avrebbe potuto…
Clang!
I denti della tagliola gli penetrarono nel polpaccio fino all’osso.
Rikard cadde a terra sbattendo la testa sul terriccio umido. Rintronato, cercò di rialzarsi per continuare a correre ma la gamba ferita cedette sotto il suo peso. La tagliola era ancora attaccata al polpaccio e i denti delle lame grattavano contro la tibia provocandogli fitte lancinanti. Con le lacrime agli occhi si mise a sedere. Lo strano lupo deforme lo stava osservano a meno di due metri di distanza digrignando i denti. A Rikard si congelò il sangue nelle vene.
La bestia era enorme, camminava avanti e indietro su zampe poderose notevolmente più lunghe di quelle di un lupo che terminavano con artigli lunghi come coltelli. I suoi movimenti erano sgraziati ma dotati di una reattiva fluidità. La pelliccia irsuta era lunga e brizzolata e la testa era massiccia, provvista di fauci dai denti affilati da cui scivolava un rivolo di bava collosa. Non mostrava segno di essere stata colpita da tre colpi di fucile.
Rikard si guardò intorno. L’arma era a terra alla sua sinistra. Nonostante la tagliola attaccata alla gamba, in preda a una scarica di adrenalina riuscì a compiere un balzo e afferrarla.
Ma la belva fu fulminea.
In un battito di ciglia gli fu addosso. Con una zampa gli graffiò il viso tenendogli la testa schiacciata per terra mentre gli azzannava il braccio con cui impugnava il fucile fin quasi a staccarglielo. Rikard, con in bocca il sapore terroso delle foglie cadute, svenne, sicuro che sarebbe stato divorato.
Si svegliò di soprassalto in un letto morbido, con lenzuola pulite. La luce era accecante. Si guardò intorno cercando di capire cosa fosse successo. Non riconobbe la stanza, c’erano delle sbarre lungo tutto un lato.
La gamba e il braccio gli dolevano da morire ma erano entrambe fasciate.
«Ah ci siamo svegliati!», disse un uomo massiccio aprendo la porta fatta di sbarre con un piatto in mano. Dentro c’era del riso in bianco.
L’uomo indossava la divisa da ranger. Rikard imprecò mentalmente, era sicuramente stato arrestato, ecco perché le sbarre. Il ranger doveva aver sentito gli spari… Almeno l’aveva salvato da quella creatura infernale.
«Tieni, mangia», disse il ranger porgendogli il piatto. «Devi essere in forze per il processo mio buon cacciatore di frodo».
Rikard fece una smorfia ma ringraziò di essere ancora vivo.
«Ranger», disse senza riuscire a trattenersi prima di prendere il piatto. «C’era una strana belva, mi ha addentato il braccio e…».
«Mi dispiace per il braccio», disse l’omone con un ghigno beffardo accarezzandosi la barba brizzolata. «Ma proprio non volevi capire che non era il caso di sparare».
Poi, vedendo che l’altro era rimasto a bocca aperta, prese una cucchiaiata di riso, gli infilò il cucchiaio in bocca e la richiuse spingendo in alto il mento.
«Mangia», disse.
Rikard tolse il cucchiaio di bocca.
Masticò.
Quando fu pronto spense la lanterna e chiuse la portiera. Attese qualche secondo affinché gli occhi si abituassero alla scarsa illuminazione fornita dalla solitaria falce di luna che si stagliava nel cielo e si mise in cammino. Il rumore del furgone poteva aver spaventato gli animali quindi occorreva allontanarsene un po’ prima di piazzare le trappole e iniziare la caccia. Ovviamente non era legale cacciare nella riserva, per questo motivo doveva sempre fare tutto velocemente nel caso avesse sparato qualche colpo, i ranger non impiegavano mai tanto tempo per arrivare. Tuttavia, era sempre riuscito a caricare sul furgone gli animali morti e andarsene senza essere beccato.
Le sue prede abituali erano cervi, cerbiatti e cinghiali. A venderne carne e pelle si poteva fare un bel gruzzolo! Quando gli capitava di avvistare un lupo non esitava a sparare, anche la pelle di quelle bestiacce si poteva vendere bene e poi meno lupi c’erano, più prede rimanevano per lui. I lupi non erano altro che concorrenti che mangiavano i suoi potenziali guadagni.
Dopo qualche minuto di cammino, appoggiò il sacco con le trappole a terra e iniziò a disseminare le tagliole, coprendole con qualche foglia per renderle pressoché invisibili, poi andò in perlustrazione nel bosco. Passarono un paio d’ore senza che riuscisse ad avvistare un singolo animale, imprecò tra sé e sé: si prospettava una caccia magra quella notte. Poi un fruscio di qualcosa che si muoveva tra i cespugli attirò la sua attenzione. Proveniva da una collinetta a un centinaio di metri di distanza ma nel silenzio assoluto della notte i suoni viaggiavano lontano. Fece due passi in quella direzione.
Crack!
Pestò un ramo.
«Merda», sussurrò.
La silhouette di una testa si sollevò stagliandosi contro il cielo notturno in lontananza. Un lupo. Rikard sogghignò portando il fucile alla spalla. L’animale non pareva averlo visto e ruotava la testa cercando l’origine del suono.
Sparò.
Il colpo risuonò come un tuono nella notte. Il lupo emise un guaito e sparì. Rickard si incamminò con un sorriso obliquo, non era gran che come bottino ma almeno si era assicurato una preda. Poi si bloccò. La testa del lupo tornò ad apparire sopra la boscaglia. Guardava dritto nella sua direzione. Rikard si stropicciò gli occhi, era sicuro di averlo colpito… Il lupo avanzò.
In posizione eretta.
Rikard fece un salto indietro, si stropicciò ancora gli occhi, ma aveva visto bene. L’animale scostò un arbusto con una delle zampe anteriori rivelando lunghi artigli e spessi muscoli, il pelo argentato riflesse la luce della luna.
Si lanciò alla carica.
Rikard gridò e sparò di nuovo. Il lupo continuò a correre come niente fosse. Dimostrando un sangue freddo che non sapeva di possedere, il cacciatore rimase fermo e prese nuovamente la mira. Sparò un altro colpo mirando alle gambe.
Il lupo incespicò e cadde.
A questo punto, Rikard si diede alla fuga senza preoccuparsi di controllare se la bestia si stesse rialzando o meno. Sentì un ululato di rabbia, poi le falcate ripresero, pesanti sul terreno cosparso di foglie ma veloci. Poteva sentire il sordo ringhiare della creatura alle sue spalle e si sentì pervadere da un terrore primordiale. I suoi piedi presero il volo, non aveva mai corso così velocemente in vita sua. Si stava avvicinando al furgone, una volta lì avrebbe potuto…
Clang!
I denti della tagliola gli penetrarono nel polpaccio fino all’osso.
Rikard cadde a terra sbattendo la testa sul terriccio umido. Rintronato, cercò di rialzarsi per continuare a correre ma la gamba ferita cedette sotto il suo peso. La tagliola era ancora attaccata al polpaccio e i denti delle lame grattavano contro la tibia provocandogli fitte lancinanti. Con le lacrime agli occhi si mise a sedere. Lo strano lupo deforme lo stava osservano a meno di due metri di distanza digrignando i denti. A Rikard si congelò il sangue nelle vene.
La bestia era enorme, camminava avanti e indietro su zampe poderose notevolmente più lunghe di quelle di un lupo che terminavano con artigli lunghi come coltelli. I suoi movimenti erano sgraziati ma dotati di una reattiva fluidità. La pelliccia irsuta era lunga e brizzolata e la testa era massiccia, provvista di fauci dai denti affilati da cui scivolava un rivolo di bava collosa. Non mostrava segno di essere stata colpita da tre colpi di fucile.
Rikard si guardò intorno. L’arma era a terra alla sua sinistra. Nonostante la tagliola attaccata alla gamba, in preda a una scarica di adrenalina riuscì a compiere un balzo e afferrarla.
Ma la belva fu fulminea.
In un battito di ciglia gli fu addosso. Con una zampa gli graffiò il viso tenendogli la testa schiacciata per terra mentre gli azzannava il braccio con cui impugnava il fucile fin quasi a staccarglielo. Rikard, con in bocca il sapore terroso delle foglie cadute, svenne, sicuro che sarebbe stato divorato.
Si svegliò di soprassalto in un letto morbido, con lenzuola pulite. La luce era accecante. Si guardò intorno cercando di capire cosa fosse successo. Non riconobbe la stanza, c’erano delle sbarre lungo tutto un lato.
La gamba e il braccio gli dolevano da morire ma erano entrambe fasciate.
«Ah ci siamo svegliati!», disse un uomo massiccio aprendo la porta fatta di sbarre con un piatto in mano. Dentro c’era del riso in bianco.
L’uomo indossava la divisa da ranger. Rikard imprecò mentalmente, era sicuramente stato arrestato, ecco perché le sbarre. Il ranger doveva aver sentito gli spari… Almeno l’aveva salvato da quella creatura infernale.
«Tieni, mangia», disse il ranger porgendogli il piatto. «Devi essere in forze per il processo mio buon cacciatore di frodo».
Rikard fece una smorfia ma ringraziò di essere ancora vivo.
«Ranger», disse senza riuscire a trattenersi prima di prendere il piatto. «C’era una strana belva, mi ha addentato il braccio e…».
«Mi dispiace per il braccio», disse l’omone con un ghigno beffardo accarezzandosi la barba brizzolata. «Ma proprio non volevi capire che non era il caso di sparare».
Poi, vedendo che l’altro era rimasto a bocca aperta, prese una cucchiaiata di riso, gli infilò il cucchiaio in bocca e la richiuse spingendo in alto il mento.
«Mangia», disse.
Rikard tolse il cucchiaio di bocca.
Masticò.