FRANCESCO GOZZO
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Sir Percival il Pesce e la Dama del Lago

Genere:   fantasy,   comico.

Questo è un video in cui spiego dall'inizio alla fine il processo creativo.
Parlo anche delle decisioni di trama quindi il video spoilera il racconto, guardatelo dopo averlo letto!
Percival si tuffò per l’ennesima volta nella sorgente del fiume e ne discese la corrente sbattendo la coda all’impazzata. Con le pinne controllava la direzione sgusciando tra le rapide evitando i sassi. Il cavallo lo seguiva trotterellando sulla riva e nitrendo di tanto in tanto quando saltava fuori dall’acqua compiendo delle giravolte.

«Sir Pesce! Sir Pesce!», giunse una voce dalla boscaglia.

Percival si avvicinò a riva e vide il pescatore uscire trafelato dai cespugli.

«Sir Pesce! Finalmente vi ho trovato!».

«Saluti a te, pescatore», disse Percival. «Per qual motivo mi cercavi con tanto affanno?».

«Il Re è malato, desidera che tutti i cavalieri si rechino a palazzo».

«Ohibò!», esclamò Percival. «Non v’è un momento d’aspettare!».

Saltò fuori dal fiume, indossò l’armatura e il collare di vetro contenente l’acqua che gli permetteva di respirare sulla terra ferma e montò a cavallo.

«Avanti, prode destriero!», disse partendo come un fulmine nella boscaglia lasciando il pescatore indietro insieme alla polvere.

Arrivò al galoppo al castello oltrepassando il ponte levatoio e, lasciato il cavallo alle stalle, si recò nella sala del trono trovandola gremita di cavalieri. Il Re era seduto sul trono, grigio in viso, appoggiato di sbieco allo schienale con le spalle basse e le mani in grembo. Un medico era al suo fianco con una ciotola di acqua calda e gli tamponava la fronte con un panno umido.

«Cavalieri…», disse il sovrano in un sussurro.

Tutti i presenti fecero tre passi avanti per sentire meglio.

«Mi duole informarvi che sono malato, ma non temete: esiste una cura», continuò il Re. «La Dama del Lago è in grado di produrre una pozione che sconfigga il male che mi affligge. Tuttavia, richiede che almeno uno dei miei cavalieri superi tre prove per dimostrare che il nostro regno è degno di ricevere il suo aiuto».

Un mormorio percorse la sala.

«Andate dunque sulla riva del lago e affrontate le prove che ella vi porrà. La mia vita e il futuro del regno sono nelle vostre mani…».

Percival partì insieme agli altri in un lungo corteo fino a giungere sul prato dinnanzi al lago dove trovarono la Signora Fatata ad attenderli.

«Benvenuti, cavalieri», disse con voce cristallina che tintinnava nell’aria.

Sollevò le braccia e s’innalzò oltre la superficie dell’acqua. Le gocce le scivolavano addosso come accarezzandone il corpo e il vestito di seta bianca con ampi scialli era adorno di diamanti a forma di goccia che rifrangevano i raggi del sole dando l’impressione che fosse perennemente avvolta in un arcobaleno luccicante.

«L’umanità è parte della natura, e di conseguenza lo sono anche le sue creazioni», disse aleggiando appena sopra allo specchio d’acqua. «Come i castori costruiscono le dighe rodendo gli alberi e portandoli al fiume, così gli esseri umani costruiscono le loro dimore con legno e pietre, come le lontre utilizzano le rocce per aprire i molluschi, così gli esseri umani usano martelli, falci e forconi. Tuttavia, dove gli animali conoscono la moderazione, gli esseri umani non pongono freni alla loro invadenza e inquinano la natura col loro operato, deturpandola. La prima prova consiste nel recuperare una spada che giace sul fondo del lago, gettata dal vostro Re nella sua primavera».

«Mia Signora, è pieno inverno», si lamentò uno dei cavalieri. «L’acqua è gelida, nessuno di noi è in grado di raggiungere il fondale, trovare la spada e avere ancora la forza di portarla in superficie».

L’espressione della Dama del lago era imperturbabile. Fece per parlare ma Percival si era già tolto l’armatura e il collare di vetro e si stava tuffando nelle placide onde. La Signora Fatata lo osservò nuotare e un sorriso le si dipinse sul volto.

Percival s’inabissò nelle profondità a colpi di coda e quando raggiunse il fondale iniziò a percorrerlo alla ricerca della spada. Andava avanti e indietro facendo attenzione a non lasciare inesplorato nessun anfratto. Cercava sotto ogni roccia e all’interno di ogni ammasso di alghe. A un certo punto, mentre sfrecciava a zig zag, dalla sabbia che sollevava al suo passaggio giunse un bagliore metallico. Percival tornò indietro e sventolò le pinne sollevando un polverone, quando la sabbia si disperse nell’acqua vide davanti a sé l’elsa arrugginita di una spada. Afferrò l’arma con le pinne e ne sfilò la lama dal fondale, poi nuotò fino a raggiungere la superficie. Emerse dall’acqua al centro del lago e quando si fu avvicinato alla riva dove stavano i cavalieri lanciò la spada che andò a conficcarsi nel prato.

«Missione compiuta!», disse.

«Complimenti, prode cavaliere», disse la Dama del Lago, poi si girò parlando a tutti. «Le creazioni degli esseri umani non presentano solo il rischio di deturpare la natura se mal amministrate ma possono anche distrarvi da ciò che è realmente importante e negli ultimi secoli ho visto gli uomini perdere quel senso di meraviglia della natura che un tempo tutti ammiravano. La seconda prova consiste nel trascorrere l’intera notte sulle rive del lago a contemplare la bellezza della natura senza emettere alcun suono, nemmeno flebile come un sospiro».

Percival si mise comodo sull’erba con tutti gli altri cavalieri e lì attese che scendesse il sole ammirando i raggi che tingevano le nuvole, prima di un tenue rosa appena accennato, come i fiori di ciliegio che sbocciavano a primavera, poi di una vivace tonalità d’arancione come i petali delle gerbere e infine di un rosso scuro come la più intensa delle rose.

Per quando il mondo fu avvolto dall’oscurità della notte, la maggior parte dei cavalieri se n’erano andati. C’era chi aveva parlato, chi aveva tossito, chi starnutito, chi aveva fatto rumore muovendosi con l’armatura ed erano stati tutti allontanati dalla Signora Fatata la quale continuava ad aleggiare sulla superficie del lago come una silente guardiana.

Percival dal canto suo era rimasto tranquillo, disteso sul prato osservando la luna innalzarsi nel cielo come un pendente su una collana di stelle e illuminare la notte altrimenti scura. La sua luce si rifletteva sul contorno di ogni forma e una linea argentata colorava il soffice perimetro delle nuvole, il bordo frastagliato delle foglie, la superficie ruvida dei rami. Il vento soffiava sulla foresta smuovendo i cespugli e stormendo le chiome degli alberi. Il richiamo di un gufo proveniva da un punto distante.

Uno dopo l’altro, i cavalieri si assopirono e iniziarono a russare per poi essere svegliati e allontanati dalla Dama del Lago.

Quando il sole sorse, Percival era solo sul prato.

«Sembra io sia l’unico ad aver superare la prova», disse avvicinandosi alla Signora Fatata la cui bellezza non risentiva della mancanza di sonno. «Ma non di meno l’ho superata!».

«Dici bene, piccolo cavaliere», rispose lei. «Grazie al tuo valore hai meritato la ricompensa».

Trasse una boccetta rossa da dentro una manica e gliela porse. Percival fu sul punto di prenderla ma ritrasse le mani scrutandola con un sopracciglio inarcato.

«Non mi presenti la terza prova?».

«Lo farei, se non fosse che l’hai già superata», disse La Dama del Lago con un sorriso. «La terza prova consisteva nel superare le prime due senza lasciare il benché minimo segno nella natura, neppure una singola impronta di stivale e come ho potuto notare: tu non li indossi».

Percival spalancò la bocca e rimase così qualche secondo prima di darsi un contengno.

«Grazie, Signora Fatata», disse prendendo il suo premio.

«Ben fatto», disse lei. «Ora va, il tuo Re ti attende».

Percival tornò al castello e si recò alla sala del trono dove il sovrano riposava sul suo scranno. L’effetto della pozione magica fu istantaneo e il consueto colorito roseo tornò sulle guance del Re il quale sollevò le spalle e strinse i pugni ritrovando la forza di un tempo.

«Sei invero il più piccolo dei miei cavalieri ma allo stesso tempo il più valoroso!», disse. «Stasera si terrà un banchetto in tuo onore».

Percival si inchinò, commosso dall’onore che gli veniva concesso.

​«E non temere», aggiunse il sovrano. «Non si mangerà pesce».

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