Björn era nato sulle brulle lande del nord. Aveva vissuto la sua infanzia in povertà facendosi i calli sulle mani a furia di dissodare il duro terreno della fattoria di famiglia, da cui derivava un magro raccolto appena sufficiente per scacciare la fame e pagare le tasse. Quando non c’era da fare al campo, Björn andava a caccia con suo padre e spesso riuscivano a portare a casa della selvaggina, principalmente pernici, fagiani e anatre ma era capitato anche che riuscissero ad abbattere un cervo. A Björn era sempre piaciuto andare a caccia. Immergersi nel silenzio, nella natura e nella sfida con le prede gli veniva naturale e riusciva ad avvistarle prima che loro vedessero lui. Poi era solo questione di avvicinarsi di soppiatto tenendosi sottovento, fondendosi con le ombre e poggiare i piedi in silenzio fino ad essere sufficientemente vicino da scoccare una singola freccia letale.
Non c’era da stupirsi che fosse diventato un ladro.
Una volta deciso che una vita fatta di duro lavoro e poche soddisfazioni non faceva per lui, aveva cominciato a compiere piccoli furti, ed era bravo. Le lunghe giornate a caccia gli avevano insegnato a muoversi furtivamente, a circuire l’obiettivo e, cosa altrettanto importante, gli avevano insegnato la pazienza, l’arte di attendere il momento più opportuno per colpire. Non era mai stato beccato dalle autorità e con il tempo era diventato esperto nel disattivare trappole e altri congegni, tanto da farsi un nome tra la malavita. Più avanti, dal momento che erano i lavori meglio pagati, aveva sfruttato queste capacità per accompagnare gruppi di avventurieri che esploravano le rovine e i sotterranei disseminati in tutte le terre del nord.
In questo momento si trovava davanti a uno stretto corridoio all’interno di una cripta piuttosto antica, anche se non avrebbe saputo dire quanto. Fungeva da scassinatore per una compagnia d’avventura che ne aveva scoperto l’ubicazione e voleva razziarne i tesori. Si erano rivolti a lui perché temevano eventuali trappole e avevano fatto bene: la cripta era piena di trabocchetti. Uno di loro ci aveva già rimesso una mano per aver cercato di aprire una porta senza aspettare che Björn desse il via libera: un ago avvelenato era stato scagliato attraverso la serratura da un minuscolo congegno a molla. Il veleno doveva essere magico per aver mantenuto i suoi effetti dopo centinaia d’anni di abbandono. La carne del malcapitato aveva iniziato a marcire e sciogliersi all’istante e, per evitare che la necrosi si diffondesse non avevano avuto altra scelta che amputare.
Björn aveva superato molte insidie: false piastrelle poste su fosse piene di spuntoni che cedevano alla minima pressione, lame rotanti che uscivano dalle pareti, balestre nascoste pronte a scagliare dardi contro gli sprovveduti e una trappola magica posta in una scultura a forma di testa di drago, fusa alla roccia sopra una porta, che vomitava fuoco su chiunque toccasse la maniglia. L’ultima in particolare era stata difficile da oltrepassare e aveva richiesto tutta la sua abilità per disattivarla senza finire arrosto. Tuttavia, era riuscito ad aprire l’uscio, dietro la quale si trovava un lungo corridoio al termine del quale vi era un massiccio portone in pietra.
Gli avventurieri aspettavano in disparte, a due sale di distanza, che Björn svolgesse il suo lavoro. Le pareti, come anche il pavimento e il soffitto del corridoio, erano perfettamente lisce e la cosa lo insospettì. L’intera cripta era disseminata di trappole, questo corridoio sembrava stranamente innocuo alla luce della torcia. Björn non si era mai fidato di tutto ciò che sembrasse innocuo a prima vista: per questo era ancora vivo. Prese dalla tasca un cristallo dal taglio piatto che aveva rubato tempo addietro, lo portò all’altezza del viso e ci scrutò attraverso con un occhio. La magia del cristallo disciolse l’incantesimo illusorio che proiettava l’intero corridoio nella sua mente. Non solo il corridoio non era sicuro ma non esisteva nemmeno! Grazie al cristallo, Björn si rese conto di essere in piedi davanti a un baratro talmente profondo che la luce della torcia faticava ad illuminarne il fondo.
Sarebbe bastato un passo in più per finire sfracellati.
Björn tirò un sospiro di sollievo, grato al suo istinto che l’aveva fatto fermare in tempo. Scrutò il lato opposto rispetto a quello dove si trovava: il portone in pietra non era un’illusione, così come la parete di roccia liscia nella quale questo si trovava incastonato e la superficie era allineata con tale precisione da non offrire alcun tipo di appiglio. Non fosse stato per una sottile scanalatura lungo il perimetro del portone questo sarebbe risultato quasi invisibile. Björn sollevò un angolo della bocca in un ghigno silenzioso: era preparato a una tale evenienza.
Ripose il cristallo e il corridoio tornò ad apparire davanti ai suoi occhi. Prese una lunga corda e ne annodò un’estremità alla scultura a forma di testa di drago e l’altra alla sua vita in modo che non gli intralciasse i movimenti. Poi estrasse dallo zaino una boccettina contenente un liquido scuro e lo tracannò in un sorso. Attese qualche secondo per dare il tempo alla pozione di sortire il suo effetto e calò un piede attraverso il pavimento del passaggio illusorio. Si sedette sulla sporgenza e sorrise guardando le sue ginocchia sparire nel pavimento come se fossero fuse con la pietra.
Si calò tenendosi alla pietra con mani e piedi, come avrebbe fatto un ragno, e iniziò la discesa in verticale veloce e sicuro delle sue mosse. L’effetto della pozione sarebbe durato solo pochi minuti quindi doveva muoversi a raggiungere l’altra porta e aprirla, altrimenti avrebbe fatto un bel volo. Una volta in fondo al precipizio notò con piacere che non c’erano creature non morte ad attenderlo come gli era capitato in una situazione simile qualche tempo prima. Attraversò lo spazio che lo separava dalla parete di fronte e iniziò la scalata. Si piazzò davanti alla porta e controllò la serratura per vedere se fossero presenti trappole ma non ne notò. Prese gli attrezzi da scasso e in poco tempo la serratura scattò. Faticò a spalancare il portone, era molto pesante e non aveva nulla a cui aggrapparsi per far forza, ma infine vi riuscì e l’uscio scorse su cardini sorprendentemente ben oliati per essere rimasti incustoditi per secoli.
La camera in cui entrò era più grande di quanto si fosse aspettato. Un sepolcro di pietra nera e lucida arricchito da intarsi e bassorilievi era posizionato al centro e intorno a esso vi erano sacchetti talmente ricolmi di gemme e pietre preziose che era stato impossibile chiuderli. Una moltitudine di forzieri era addossata alle pareti, intervallati da statue in marmo raffiguranti guerrieri in armatura. A Björn brillarono gli occhi. Ora capiva come mai gli avessero offerto tanti soldi. Prima di legare la corda a una delle statue e chiamare gli altri decise di dare un occhio al tesoro, come era sua abitudine.
Mentre ispezionava i bauli notò che il coperchio della bara non era perfettamente allineato e lasciava uno spiraglio. Si avvicinò e lo discostò di un altro po’ per guardare all’interno con la torcia: lo scheletro di un cadavere in un’armatura cerimoniale d’oro giaceva all’interno. Spada e scudo erano adagiati ai suoi piedi. Tirò un sospiro di sollievo dal momento che lo scheletro non si animò. Tuttavia sentì un forte colpo alle spalle che per poco non lo scaraventò all’interno della bara e una sensazione di gelo gli si diffuse in tutto il corpo. Però, quando si voltò non vide niente se non statue immobili.
«Tutto bene Björn?», risuonò una voce dall’altra parte del baratro.
«Si… tutto bene Björn?», ridacchiò una voce nella sua testa.
«Chi sei?!», sbottò il ragazzo sgranando gli occhi. Si sentiva strano ed ebbe come la viscida sensazione che tutti gli organi si muovessero all’interno del suo corpo, spostandosi come per lasciar passare qualcosa che scivolava lasciando una sensazione liquida e fredda come quando si beve un sorso da un ruscello e si sente l’acqua fresca scendere attraverso l’esofago.
«Mostrati!», intimò portando una mano alla spada e l’altra al pugnale. «Chi sei?».
«Noi… siamo Björn», rispose solamente la voce.
«Aspetta che concluda questa faccenda e ti faccio vedere io il “noi”», disse Björn ancora confuso estraendo le armi.
«Björn?», chiamarono ancora dall’altra parte del falso corridoio, ma l’essere intervenne di nuovo prima che potesse rispondere agli avventurieri.
«Perché accettare i loro soldi quando possiamo avere i loro soldi, tutti i loro possedimenti e i tesori di questa cripta?», sibilò nella sua testa.
Ombre scure come pece iniziarono a colare dalle lame che stringeva in pugno. Altri richiami giunsero da oltre il baratro. Björn non sapeva cosa fosse quell’essere che sentiva dentro di sé ma gli piaceva come ragionava. Legò la corda in modo che gli altri potessero usarla per oltrepassare il baratro.
«È sicuro», urlò. «Venite pure».
Quando Björn lasciò la cripta era molto, molto più ricco di quando vi era entrato.
E non sarebbe mai più stato solo.
Non c’era da stupirsi che fosse diventato un ladro.
Una volta deciso che una vita fatta di duro lavoro e poche soddisfazioni non faceva per lui, aveva cominciato a compiere piccoli furti, ed era bravo. Le lunghe giornate a caccia gli avevano insegnato a muoversi furtivamente, a circuire l’obiettivo e, cosa altrettanto importante, gli avevano insegnato la pazienza, l’arte di attendere il momento più opportuno per colpire. Non era mai stato beccato dalle autorità e con il tempo era diventato esperto nel disattivare trappole e altri congegni, tanto da farsi un nome tra la malavita. Più avanti, dal momento che erano i lavori meglio pagati, aveva sfruttato queste capacità per accompagnare gruppi di avventurieri che esploravano le rovine e i sotterranei disseminati in tutte le terre del nord.
In questo momento si trovava davanti a uno stretto corridoio all’interno di una cripta piuttosto antica, anche se non avrebbe saputo dire quanto. Fungeva da scassinatore per una compagnia d’avventura che ne aveva scoperto l’ubicazione e voleva razziarne i tesori. Si erano rivolti a lui perché temevano eventuali trappole e avevano fatto bene: la cripta era piena di trabocchetti. Uno di loro ci aveva già rimesso una mano per aver cercato di aprire una porta senza aspettare che Björn desse il via libera: un ago avvelenato era stato scagliato attraverso la serratura da un minuscolo congegno a molla. Il veleno doveva essere magico per aver mantenuto i suoi effetti dopo centinaia d’anni di abbandono. La carne del malcapitato aveva iniziato a marcire e sciogliersi all’istante e, per evitare che la necrosi si diffondesse non avevano avuto altra scelta che amputare.
Björn aveva superato molte insidie: false piastrelle poste su fosse piene di spuntoni che cedevano alla minima pressione, lame rotanti che uscivano dalle pareti, balestre nascoste pronte a scagliare dardi contro gli sprovveduti e una trappola magica posta in una scultura a forma di testa di drago, fusa alla roccia sopra una porta, che vomitava fuoco su chiunque toccasse la maniglia. L’ultima in particolare era stata difficile da oltrepassare e aveva richiesto tutta la sua abilità per disattivarla senza finire arrosto. Tuttavia, era riuscito ad aprire l’uscio, dietro la quale si trovava un lungo corridoio al termine del quale vi era un massiccio portone in pietra.
Gli avventurieri aspettavano in disparte, a due sale di distanza, che Björn svolgesse il suo lavoro. Le pareti, come anche il pavimento e il soffitto del corridoio, erano perfettamente lisce e la cosa lo insospettì. L’intera cripta era disseminata di trappole, questo corridoio sembrava stranamente innocuo alla luce della torcia. Björn non si era mai fidato di tutto ciò che sembrasse innocuo a prima vista: per questo era ancora vivo. Prese dalla tasca un cristallo dal taglio piatto che aveva rubato tempo addietro, lo portò all’altezza del viso e ci scrutò attraverso con un occhio. La magia del cristallo disciolse l’incantesimo illusorio che proiettava l’intero corridoio nella sua mente. Non solo il corridoio non era sicuro ma non esisteva nemmeno! Grazie al cristallo, Björn si rese conto di essere in piedi davanti a un baratro talmente profondo che la luce della torcia faticava ad illuminarne il fondo.
Sarebbe bastato un passo in più per finire sfracellati.
Björn tirò un sospiro di sollievo, grato al suo istinto che l’aveva fatto fermare in tempo. Scrutò il lato opposto rispetto a quello dove si trovava: il portone in pietra non era un’illusione, così come la parete di roccia liscia nella quale questo si trovava incastonato e la superficie era allineata con tale precisione da non offrire alcun tipo di appiglio. Non fosse stato per una sottile scanalatura lungo il perimetro del portone questo sarebbe risultato quasi invisibile. Björn sollevò un angolo della bocca in un ghigno silenzioso: era preparato a una tale evenienza.
Ripose il cristallo e il corridoio tornò ad apparire davanti ai suoi occhi. Prese una lunga corda e ne annodò un’estremità alla scultura a forma di testa di drago e l’altra alla sua vita in modo che non gli intralciasse i movimenti. Poi estrasse dallo zaino una boccettina contenente un liquido scuro e lo tracannò in un sorso. Attese qualche secondo per dare il tempo alla pozione di sortire il suo effetto e calò un piede attraverso il pavimento del passaggio illusorio. Si sedette sulla sporgenza e sorrise guardando le sue ginocchia sparire nel pavimento come se fossero fuse con la pietra.
Si calò tenendosi alla pietra con mani e piedi, come avrebbe fatto un ragno, e iniziò la discesa in verticale veloce e sicuro delle sue mosse. L’effetto della pozione sarebbe durato solo pochi minuti quindi doveva muoversi a raggiungere l’altra porta e aprirla, altrimenti avrebbe fatto un bel volo. Una volta in fondo al precipizio notò con piacere che non c’erano creature non morte ad attenderlo come gli era capitato in una situazione simile qualche tempo prima. Attraversò lo spazio che lo separava dalla parete di fronte e iniziò la scalata. Si piazzò davanti alla porta e controllò la serratura per vedere se fossero presenti trappole ma non ne notò. Prese gli attrezzi da scasso e in poco tempo la serratura scattò. Faticò a spalancare il portone, era molto pesante e non aveva nulla a cui aggrapparsi per far forza, ma infine vi riuscì e l’uscio scorse su cardini sorprendentemente ben oliati per essere rimasti incustoditi per secoli.
La camera in cui entrò era più grande di quanto si fosse aspettato. Un sepolcro di pietra nera e lucida arricchito da intarsi e bassorilievi era posizionato al centro e intorno a esso vi erano sacchetti talmente ricolmi di gemme e pietre preziose che era stato impossibile chiuderli. Una moltitudine di forzieri era addossata alle pareti, intervallati da statue in marmo raffiguranti guerrieri in armatura. A Björn brillarono gli occhi. Ora capiva come mai gli avessero offerto tanti soldi. Prima di legare la corda a una delle statue e chiamare gli altri decise di dare un occhio al tesoro, come era sua abitudine.
Mentre ispezionava i bauli notò che il coperchio della bara non era perfettamente allineato e lasciava uno spiraglio. Si avvicinò e lo discostò di un altro po’ per guardare all’interno con la torcia: lo scheletro di un cadavere in un’armatura cerimoniale d’oro giaceva all’interno. Spada e scudo erano adagiati ai suoi piedi. Tirò un sospiro di sollievo dal momento che lo scheletro non si animò. Tuttavia sentì un forte colpo alle spalle che per poco non lo scaraventò all’interno della bara e una sensazione di gelo gli si diffuse in tutto il corpo. Però, quando si voltò non vide niente se non statue immobili.
«Tutto bene Björn?», risuonò una voce dall’altra parte del baratro.
«Si… tutto bene Björn?», ridacchiò una voce nella sua testa.
«Chi sei?!», sbottò il ragazzo sgranando gli occhi. Si sentiva strano ed ebbe come la viscida sensazione che tutti gli organi si muovessero all’interno del suo corpo, spostandosi come per lasciar passare qualcosa che scivolava lasciando una sensazione liquida e fredda come quando si beve un sorso da un ruscello e si sente l’acqua fresca scendere attraverso l’esofago.
«Mostrati!», intimò portando una mano alla spada e l’altra al pugnale. «Chi sei?».
«Noi… siamo Björn», rispose solamente la voce.
«Aspetta che concluda questa faccenda e ti faccio vedere io il “noi”», disse Björn ancora confuso estraendo le armi.
«Björn?», chiamarono ancora dall’altra parte del falso corridoio, ma l’essere intervenne di nuovo prima che potesse rispondere agli avventurieri.
«Perché accettare i loro soldi quando possiamo avere i loro soldi, tutti i loro possedimenti e i tesori di questa cripta?», sibilò nella sua testa.
Ombre scure come pece iniziarono a colare dalle lame che stringeva in pugno. Altri richiami giunsero da oltre il baratro. Björn non sapeva cosa fosse quell’essere che sentiva dentro di sé ma gli piaceva come ragionava. Legò la corda in modo che gli altri potessero usarla per oltrepassare il baratro.
«È sicuro», urlò. «Venite pure».
Quando Björn lasciò la cripta era molto, molto più ricco di quando vi era entrato.
E non sarebbe mai più stato solo.