Genere: Fantascienza, Distopico, Drammatico, Introspettivo.
Non siamo in molti, noi ex-surgelati, e spesso non è difficile distinguerci dagli altri. Ci definiscono “perfetti”, io credo sia più corretto usare il termine “sani”.
Sull’astronave Endeavour, giunta al millenovantacinquesimo anno di viaggio verso il sistema TRAPPIST-1, vengono trovati i corpi di diversi neonati. Tessa Taylor e Sapati Keli ricevono l’incarico di indagare su questi omicidi. Le indagini li porteranno negli anelli posteriori della nave dove risiedono i membri più fragili dell’equipaggio, provati da una moltitudine di malattie genetiche, facili prede di una setta che adora l’Endeavour come una vera e propria divinità.
Trigger Warnings: violenza.
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5 maggio 3563
Cosa scrivere?
Anche solo tenere in mano della carta sembra strano. Ha una consistenza che raramente capita di esperire: liscia al tatto ma ruvida allo scorrere del pennino, resistente alla torsione ma secca da sembrare possa sbriciolarsi tra le dita. Ho provocato un piccolo strappo sul fondo della pagina prima ancora di iniziare…
E poi, a chi scrivere?
La terapeuta ha detto che non ha importanza, che è solo un modo per elaborare i pensieri, ma l’atto di scrivere mi sembra qualcosa di incompleto di per sé, non è forse lo scopo di una parola scritta quello di essere letta? È l’atto di leggere a completare lo scrivere. Forse mi sto facendo troppe paranoie, forse quello che ho bisogno di scrivere non necessita di essere letto. Tuttavia, dopo mille anni di viaggio, la carta è diventata un bene prezioso. Molti diari sono stati riempiti fin negli angoli, tanto che la sfumatura ingiallita delle pagine è divenuta difficile da scorgere e, nonostante le serre siano un prodigio di efficienza per la produzione di cibo e ossigeno, non sono state pensate per la carta.
No, se devo consumare uno dei pochi diari rimasti, deve valerne la pena.
Scriverò come se qualcuno dovesse leggerlo, un giorno molto lontano da adesso, magari poggiando i piedi su della morbida terra, nel suo giardino su Elpis, con l’erba che solletica le dita.
Sì, preferisco scrivere “ai posteri” e magari ne uscirà qualcosa di interessante.
Quindi, cosa scrivere?
Nei film iniziano tutti con “caro diario”, ma sembra ormai tardi per questo… e a pensarci bene avrei dovuto riflettere prima di iniziare a scrivere come fosse un flusso di coscienza. Cercherò di essere più ordinata d’ora in poi.
Mi chiamo Tessa Taylor e sono nata millenovantacinque anni fa.
Certo, dipende da cosa intendete per “nascere”. Nel caso diate a questa parola il significato di “abbandonare l’utero materno”, allora sono una creatura millenaria. Se invece le date il significato di “completare con successo lo sviluppo embrionale”, allora sono un ex-surgelato di vent’anni appena.
Non ho ricordi della villeggiatura millenaria nella mia piastra. Dopotutto, gli embrioni non hanno memoria, non hanno ancora circuiti neurali atti a fissarla e nemmeno fanno esperienze di alcun tipo. Quindi, non è certo una mia colpa. L’unica cosa certa è che non sopporto il freddo ma non credo sia riconducibile alla criogenia.
Non siamo in molti, noi ex-surgelati, e spesso non è difficile distinguerci dagli altri. Ci definiscono “perfetti”, io credo sia più corretto usare il termine “sani”.
Non è facile sopportare la pressione, l’adulazione e addirittura l’adorazione da parte di alcuni membri dell’equipaggio. C’è chi si inchina al mio cospetto quando passo… accade fin da quando ho sviluppato quei circuiti neurali di cui parlavo prima. Credo fosse in questo modo che si sentiva il Re Sole passeggiando per Versailles. Credo sia anche questo il modo in cui tanti regnanti finivano con l’essere dissociati dalla realtà.
L’adorazione non fa mai bene, né all’adoratore né all’adorato.
Siamo solo embrioni, nati senza genitori e accuditi da fredde macchine. Ci guardano come fossimo esseri superiori, ci chiamano “Figli della Nave”, una speranza per l’umanità.
In un certo senso è vero.
Un modo meno poetico, forse disilluso, di vedere la faccenda è che rappresentiamo variabilità genetica. Una boccata d’aria fresca per il pool genico stantio del popolo dell’Endeavour.
Questo porta a un’altra incombenza: procreare.
In quanto una delle poche persone prive di qualsivoglia mutazione genetica, l’equipaggio si aspetta da me una numerosa prole. Non il più semplice dei compiti quando ti viene addossata tutta l’aspettativa dell’umanità… e sei lesbica.
Anche solo tenere in mano della carta sembra strano. Ha una consistenza che raramente capita di esperire: liscia al tatto ma ruvida allo scorrere del pennino, resistente alla torsione ma secca da sembrare possa sbriciolarsi tra le dita. Ho provocato un piccolo strappo sul fondo della pagina prima ancora di iniziare…
E poi, a chi scrivere?
La terapeuta ha detto che non ha importanza, che è solo un modo per elaborare i pensieri, ma l’atto di scrivere mi sembra qualcosa di incompleto di per sé, non è forse lo scopo di una parola scritta quello di essere letta? È l’atto di leggere a completare lo scrivere. Forse mi sto facendo troppe paranoie, forse quello che ho bisogno di scrivere non necessita di essere letto. Tuttavia, dopo mille anni di viaggio, la carta è diventata un bene prezioso. Molti diari sono stati riempiti fin negli angoli, tanto che la sfumatura ingiallita delle pagine è divenuta difficile da scorgere e, nonostante le serre siano un prodigio di efficienza per la produzione di cibo e ossigeno, non sono state pensate per la carta.
No, se devo consumare uno dei pochi diari rimasti, deve valerne la pena.
Scriverò come se qualcuno dovesse leggerlo, un giorno molto lontano da adesso, magari poggiando i piedi su della morbida terra, nel suo giardino su Elpis, con l’erba che solletica le dita.
Sì, preferisco scrivere “ai posteri” e magari ne uscirà qualcosa di interessante.
Quindi, cosa scrivere?
Nei film iniziano tutti con “caro diario”, ma sembra ormai tardi per questo… e a pensarci bene avrei dovuto riflettere prima di iniziare a scrivere come fosse un flusso di coscienza. Cercherò di essere più ordinata d’ora in poi.
Mi chiamo Tessa Taylor e sono nata millenovantacinque anni fa.
Certo, dipende da cosa intendete per “nascere”. Nel caso diate a questa parola il significato di “abbandonare l’utero materno”, allora sono una creatura millenaria. Se invece le date il significato di “completare con successo lo sviluppo embrionale”, allora sono un ex-surgelato di vent’anni appena.
Non ho ricordi della villeggiatura millenaria nella mia piastra. Dopotutto, gli embrioni non hanno memoria, non hanno ancora circuiti neurali atti a fissarla e nemmeno fanno esperienze di alcun tipo. Quindi, non è certo una mia colpa. L’unica cosa certa è che non sopporto il freddo ma non credo sia riconducibile alla criogenia.
Non siamo in molti, noi ex-surgelati, e spesso non è difficile distinguerci dagli altri. Ci definiscono “perfetti”, io credo sia più corretto usare il termine “sani”.
Non è facile sopportare la pressione, l’adulazione e addirittura l’adorazione da parte di alcuni membri dell’equipaggio. C’è chi si inchina al mio cospetto quando passo… accade fin da quando ho sviluppato quei circuiti neurali di cui parlavo prima. Credo fosse in questo modo che si sentiva il Re Sole passeggiando per Versailles. Credo sia anche questo il modo in cui tanti regnanti finivano con l’essere dissociati dalla realtà.
L’adorazione non fa mai bene, né all’adoratore né all’adorato.
Siamo solo embrioni, nati senza genitori e accuditi da fredde macchine. Ci guardano come fossimo esseri superiori, ci chiamano “Figli della Nave”, una speranza per l’umanità.
In un certo senso è vero.
Un modo meno poetico, forse disilluso, di vedere la faccenda è che rappresentiamo variabilità genetica. Una boccata d’aria fresca per il pool genico stantio del popolo dell’Endeavour.
Questo porta a un’altra incombenza: procreare.
In quanto una delle poche persone prive di qualsivoglia mutazione genetica, l’equipaggio si aspetta da me una numerosa prole. Non il più semplice dei compiti quando ti viene addossata tutta l’aspettativa dell’umanità… e sei lesbica.
10 maggio 3563
Credo di avere una vita diversa dal comune, nel bene e nel male. Vengono scongelati solo due embrioni per ogni evento di Incubazione, che si tiene ogni cinque anni. Quindi, dei cinquecento passeggeri coscienti sulla nave, solo una trentina sono come me. Gli altri nascono in maniera più… tradizionale, da una coppia scelta dal protocollo Match Mate ma pur sempre una coppia: genitori attualmente in vita.
Non voglio continuare a lamentarmi, la terapeuta dice di focalizzare i lati positivi: ho un genoma sano, privo di mutazioni. In pochi possono vantarsene.
Basta concentrarmi sugli elementi divisori, una cosa che invece ho percepito come gli altri è… la noia.
Non che non ci siano cose da fare sulla nave: nella biblioteca virtuale sono conservati decine di migliaia di volumi, ci sono strumenti musicali per chi ha abbastanza determinazione da imparare a suonarli e dagli schermi dei terminali è possibile vedere tutti i film e le serie prodotte dall’umanità fino al momento della partenza dell’Endeavour. O perlomeno… tutte quelle i cui file non sono stati corrotti da un millennio di usura dei sistemi. Lo stesso vale per i libri. Chissà di quante opere non possiamo più fruire… spero che sulle navi che verranno in seguito, tali dati siano rimasti integri. Chissà, forse una volta giunti su Elpis sarà possibile integrare tutti i database, riempiendo i buchi di ciascuno coi dati degli altri. Un po’ come prendere dieci copie dello stesso puzzle, devastate dal fuoco, e comporre un singolo esemplare mettendo insieme i pezzi rimasti.
In ogni caso, non siamo a corto di intrattenimento: è lo scopo che ci manca. Ogni sforzo creativo viene soppresso dalla vacuità dell’esistenza. Ben Barrett scriveva:
Non voglio continuare a lamentarmi, la terapeuta dice di focalizzare i lati positivi: ho un genoma sano, privo di mutazioni. In pochi possono vantarsene.
Basta concentrarmi sugli elementi divisori, una cosa che invece ho percepito come gli altri è… la noia.
Non che non ci siano cose da fare sulla nave: nella biblioteca virtuale sono conservati decine di migliaia di volumi, ci sono strumenti musicali per chi ha abbastanza determinazione da imparare a suonarli e dagli schermi dei terminali è possibile vedere tutti i film e le serie prodotte dall’umanità fino al momento della partenza dell’Endeavour. O perlomeno… tutte quelle i cui file non sono stati corrotti da un millennio di usura dei sistemi. Lo stesso vale per i libri. Chissà di quante opere non possiamo più fruire… spero che sulle navi che verranno in seguito, tali dati siano rimasti integri. Chissà, forse una volta giunti su Elpis sarà possibile integrare tutti i database, riempiendo i buchi di ciascuno coi dati degli altri. Un po’ come prendere dieci copie dello stesso puzzle, devastate dal fuoco, e comporre un singolo esemplare mettendo insieme i pezzi rimasti.
In ogni caso, non siamo a corto di intrattenimento: è lo scopo che ci manca. Ogni sforzo creativo viene soppresso dalla vacuità dell’esistenza. Ben Barrett scriveva:
Nasciamo e moriamo in viaggio,
la destinazione: un miraggio.
la destinazione: un miraggio.
Sono in pochi a vedere attraverso un futuro incerto e trovare un senso nel creare dell’arte che possa giungere su Elpis dopo la morte dell’autore. Che si componga musica o si scrivano libri, è questo il destino dell’artista. Non c’è da stupirsi che se ne trovino pochi sulla nave. Oltre Ben Barrett, in pochi si sono cimentati nella stesura di un romanzo e credo che i suoi saranno una testimonianza più unica che rara dell’arte creata dall’equipaggio.
Ma sto ancora concentrandomi sugli aspetti negativi… quel che c’è di positivo è che ho amato i libri gialli e le serie poliziesche. È la passione per gli enigmi, la curiosità di trovare una soluzione, che mi ha portata a fare quel che faccio. Certo, non sono molti i crimini sulla nave, si tratta di eventi sporadici o liti da placare. Non c’è molto da fare per la maggior parte del tempo.
Per questo sono così eccitata d’aver trovato il cadavere di quel neonato!
Ma sto ancora concentrandomi sugli aspetti negativi… quel che c’è di positivo è che ho amato i libri gialli e le serie poliziesche. È la passione per gli enigmi, la curiosità di trovare una soluzione, che mi ha portata a fare quel che faccio. Certo, non sono molti i crimini sulla nave, si tratta di eventi sporadici o liti da placare. Non c’è molto da fare per la maggior parte del tempo.
Per questo sono così eccitata d’aver trovato il cadavere di quel neonato!
* * *
Tessa chiuse le palpebre, godendosi il braccio che, sotto morbide lenzuola, le premeva sul seno, cingendola in una stretta delicata.
«Ti amo», sussurrò Teuila dandole un bacio sulla guancia vicino all’orecchio.
Tessa sorrise e si girò tra le sue braccia ritrovandosi davanti il viso della ragazza: un naso a patata e due occhi a mandorla la scrutavano avvolti da una cascata di riccioli neri. Stiracchiò la schiena e fece scivolare una mano sul volto della compagna, carezzandole prima la guancia e poi i capelli sulla nuca.
«Ti amo anch’io», disse protendendo avanti il capo.
Le labbra si toccarono con una soffice pressione e si scollarono malvolentieri.
«Temo si sia fatto tardi», disse Teuila guardando l’orologio appeso al muro.
«Chissà di chi è la colpa…», Tessa pronunciò le sillabe tra un bacio e l’altro, seguendo la linea della mascella fino ad arrivare al collo.
«L’investigatrice sei tu», emise un sospiro. «Indaga!».
«Indagherei volentieri», le morse un lobo dell’orecchio. «A fondo».
«Ma?».
«Si farebbe ancora più tardi…».
«Diventi sempre più colpevole ogni minuto che passa», Teuila la baciò ancora una volta, poi sciolse l’abbraccio. «E mio fratello arriverà fin troppo presto».
«Che guastafeste…».
«Sei tu che hai voluto a tutti i costi lavorarci insieme…».
«Ma altrimenti», Tessa le sfiorò la punta del naso con l’indice. «Non ci saremmo conosciute».
«Oh piccola», sospirò lei. «Ti avevo già messo gli occhi addosso da un pezzo!».
Tessa rise e si alzò.
«Dove sono i miei slip?».
«Credo di averli tirati di là», rise Teuila facendo un gesto della mano.
«E dai la colpa a me per aver fatto tardi…».
«Ovvio».
Tessa percorse la cabina girando intorno al tavolo di truciolato laccato e, guardando a terra vide delle mutandine in pizzo nere con ricamato un motivo floreale dai petali d’argento.
«Trovati!», disse, indossandoli.
Il reggiseno dalla medesima fantasia non era arrivato altrettanto lontano e pendeva con una coppa sul tavolo e l’altra nel vuoto.
«Non sarebbe più semplice se portassi qui un po’ delle tue cose?», disse Teuila arricciando le labbra.
Tessa rimase in silenzio mentre faceva scorrere le braccia sotto alle spalline e chiudeva il gancetto dietro la schiena.
«Non devi trasferirti, solo… portare qualcosa».
«Sì, sarebbe più comodo…», ammise scrutando la stanza alla ricerca dei vestiti.
La maglietta di sottile tessuto grigio giaceva stropicciata sullo schienale di una sedia, mentre i pantaloni erano ai piedi del letto. Si concentrò sulle curve dell’amante mentre si rivestiva, evitando di incrociarne lo sguardo.
Teuila la osservava immobile, mordendosi un labbro come se stesse pensando se insistere sull’argomento. Alla fine desistette e si alzò per cercare i vestiti a sua volta.
Tessa si sentì colpevole, come se l’avesse ferita e sapeva che era così. Perché trovava così difficile accettare questa nuova sistemazione? Dopotutto, già passava la maggior parte del tempo nella sua cabina… si trattava davvero di spostare qualche effetto personale, nulla di più.
Eppure, continuava a esitare.
Vedere la delusione negli occhi della compagna la faceva soffrire più di ogni altra cosa. Strinse i pugni, poi sospirò.
«Scusa…», mormorò abbracciandola alle spalle.
Teuila lasciò i pantaloni sollevati sopra le ginocchia e le prese le mani, accarezzandone il dorso coi pollici.
«Scusami tu», disse strusciando il volto su una mano. «Non avrei dovuto tornare sull’argomento di punto in bianco, aspetterò che tu sia pronta».
Tessa la strinse forte.
«Grazie».
Teuila le morsicò un dito.
«Ah!», esclamò Tessa più per la sorpresa che per il dolore.
«Dopotutto», si voltò con un sorrisetto obliquo. «Dove potresti scappare?».
Tessa la baciò, immergendosi nella morbidezza delle sue labbra. Le avrebbe tolto il poco che si era messa addosso e l’avrebbe ributtata sul letto se solo avesse avuto tempo. La testa si fece man mano più leggera mentre i riccioli le accarezzavano il volto.
Teuila le morse un labbro.
«Meglio se preparo la colazione», le sussurrò all’orecchio. «O finirò col mangiarti».
Tessa annuì, un brivido la percorse da cima a fondo. Quando si scostò non ricordava nemmeno da che parte era girata. Barcollò verso il bagno scontrandosi col mobilio.
«Non mi resta che districare questi…», disse passando la spazzola tra i capelli castani.
«Quello è niente», disse Teuila. «Dovresti provare coi miei ricci».
La ragazza aveva preso le polveri dall’armadio e le stava mischiando in due ciotole, dell’acqua fumava nel bollitore.
«Cosa prepari di buono?».
«Le solite cose, filetto scottato in padella», aggiunse due cucchiaiate di amminoacidi in ogni tazza e diede una spolverata di vitamine. «Con contorno di insalata».
«Per colazione?», Tessa inarcò un sopracciglio.
Teuila fece spallucce.
«Posso chiedere anche delle patate al forno?».
«No, però posso aggiungere una coccola in più», prese una busta di edulcorante al cioccolato.
«Sul filetto?».
«Nuova ricetta».
Teuila mise un cucchiaio in ciascuna tazza e le spostò sul tavolo, poi prese il bollitore e versò l’acqua calda fino a riempirle. Le polveri in sospensione rotearono alla corrente provocata dal filo d’acqua che si gettava loro addosso in un lieve gorgoglio, rendendo grigia e opaca la miscela.
«Et voilà! Non è venuto come nei film, ma è del cibo in un contenitore».
Tessa si umettò le labbra scuotendo la testa.
«Che cuoca!», disse accarezzandole un braccio e discendendo finché le mani non si congiunsero, intrecciando le dita e premendo i palmi uno contro l’altro.
Tessa si sedette, afferrò il cucchiaio con la mano libera e lo tuffò nella tazza, mescolando la mistura proteica. Le polveri si addensarono fino a raggiungere una consistenza pastosa. Ne prese una cucchiaiata e la mise in bocca. Non c’era bisogno di masticare, non ce n’era quasi mai bisogno sull’Endeavour, era incredibile che le persone non avessero dimenticato come farlo. Il sapore non era male, le polveri edulcoranti facevano il loro gustoso lavoro. Certo, non poteva sapere come fosse il sapore dei cibi che vedeva nei film, e non l’avrebbe mai saputo, ma le sue ingenue papille gustative approvavano nonostante la mancanza di un metro di paragone.
Dei colpi vennero dalla porta.
«Eccolo», Teuila si alzò e andò ad aprire.
Un uomo massiccio dai tratti samoani entrò salutandola con un cenno del capo.
«Ciao Sapati», disse Tessa.
«Sei pronta?».
Tessa si bloccò col cucchiaio a metà strada tra ciotola e bocca.
«Scusa», disse lui stropicciandosi le mani. «È che c’è una cosa che devi vedere».
Tessa aggrottò la fronte, non l’aveva mai visto così teso.
«Va tutto bene?», chiese Teuila.
«Potremmo avere… un piccolo problema», disse Sapati. «Ti racconto più tardi, quando forse saprò cosa dire…».
Tessa finì di fare colazione, salutò Teuila e uscì col fratello. Sapati la condusse attraverso i corridoi del terzo anello fino al ponte gamma. Le paratie si aprirono con uno sbuffo e sparirono nelle pareti. Procedettero in direzione del quarto anello lasciando vagare lo sguardo attraverso le finestre in vetro temperato, contemplando l’immensità del cosmo. La nebulosa Elica dominava il panorama e, nonostante il roteare dell’Endeavour, rimaneva sempre nel campo visibile di ogni finestra di ciascuno dei sei ponti della nave, da alpha a zeta. Appariva come una nuvola di un candore quasi trasparente ma Tessa sapeva che dalle foto del telescopio Hubble sembrava un immenso occhio che restituiva lo sguardo degli osservatori. Azzurro al centro, con un’iride giallo arancione e un contorno rosso che sfumava nella nera infinità dello spazio, quasi fosse una corona di fiamme. Non c’era da stupirsi che fosse uno degli oggetti celesti più fotografati. Veniva chiamato anche Occhio di Dio. Tessa preferiva la versione più laica e fantasiosa: Occhio di Sauron.
«Dove stiamo andando?», chiese senza distogliere lo sguardo dalla nebulosa.
«Alla piscina», disse Sapati.
«Allora passiamo dalla mia cabina che prendo il costume da bagno».
L’occhiata che ricevette non prometteva niente di buono.
«Non ti piacerà quello che troveremo».
La piscina era una grande sala circolare, spoglia di qualsivoglia orpello. La vasca, della profondità massima di un metro e mezzo, presentava una superficie limpida e piatta, nessuno era intento a rilassarsi in acqua. Il pavimento vi si calava pian piano mentre una passerella su entrambi i lati la circondava congiungendosi in un cerchio perfetto. Diverse persone erano raggruppate a due radianti sulla destra e mormoravano sottovoce. Uno di loro, con un retino, stava cercando di pescare qualcosa. Tessa e Sapati superarono l’assembramento e raggiunsero i colleghi che li salutarono con dei cenni del capo e parole sommesse. Tessa si affiancò all’uomo col retino per vedere cosa stesse cercando di recuperare.
Il cadavere di un neonato.
«Cazzo», sussurrò Tessa. «Chi l’ha trovato?».
«È stato il vecchio Sam», disse una voce familiare alle sue spalle. «Mentre puliva la piscina, circa un’ora fa».
Connor era vestito di nero dalla felpa con cappuccio alla suola delle scarpe, indossava occhiali rettangolari ed esibiva il consueto sorriso a labbra unite che gli faceva sprofondare le guance in due fossette da ragazzino.
«Ciao Connie», disse Tessa abbracciandolo.
Non era grosso come Sapati ma era altrettanto alto e dovette mettersi in punta di piedi.
«Il vecchio Sam ti ha detto altro?», chiese quando tornò a poggiare i talloni.
«Non ha notato altro», scosse la testa. «Dovremo aspettare le analisi del laboratorio».
L’agente riuscì a prendere il corpo e sollevarlo, la pelle gonfia e violacea si fendeva contro la maglia del retino, facendo colare umori maleodoranti in acqua. Tessa trattenne un conato di vomito portando una mano alla bocca.
«Qualcuno ne ha denunciato la scomparsa?», chiese tra le dita.
«Per ora no», disse Connor.
Le porte della piscina si aprirono con uno sbuffo e il battere di scarponcini solitari dalla suola in metallo echeggiò nella sala. Padre Radislav aveva fatto il suo ingresso e stava immobile a osservare la scena. Il prete indossava un saio marrone logoro e scolorito, legato in vita con una corda bianca. Portava una collana con un lucido bullone come pendente che ondeggiava sul petto. Dei guanti con una piastrina di metallo cucita sul lato inferiore della mano pendevano dalla cintura.
D’un tratto cadde in ginocchio, come se le forze l’avessero abbandonato, ma non si accasciò a terra. Sfilò i guanti dalla cintura, li indossò e strinse le mani come se cercasse di adattarli alla propria misura, come si fa con delle scarpe nuove, e si accucciò battendo la piastra di metallo sul pavimento, producendo un clangore metallico che spezzò il brusio delle conversazioni a mezza bocca.
«Oddio», sbuffò Sapati. «Ci risiamo…».
Padre Radislav abbassò il capo fino a toccare il pavimento con la fronte e batté il pugno con maggiore veemenza iniziando a salmodiare.
«Ti amo», sussurrò Teuila dandole un bacio sulla guancia vicino all’orecchio.
Tessa sorrise e si girò tra le sue braccia ritrovandosi davanti il viso della ragazza: un naso a patata e due occhi a mandorla la scrutavano avvolti da una cascata di riccioli neri. Stiracchiò la schiena e fece scivolare una mano sul volto della compagna, carezzandole prima la guancia e poi i capelli sulla nuca.
«Ti amo anch’io», disse protendendo avanti il capo.
Le labbra si toccarono con una soffice pressione e si scollarono malvolentieri.
«Temo si sia fatto tardi», disse Teuila guardando l’orologio appeso al muro.
«Chissà di chi è la colpa…», Tessa pronunciò le sillabe tra un bacio e l’altro, seguendo la linea della mascella fino ad arrivare al collo.
«L’investigatrice sei tu», emise un sospiro. «Indaga!».
«Indagherei volentieri», le morse un lobo dell’orecchio. «A fondo».
«Ma?».
«Si farebbe ancora più tardi…».
«Diventi sempre più colpevole ogni minuto che passa», Teuila la baciò ancora una volta, poi sciolse l’abbraccio. «E mio fratello arriverà fin troppo presto».
«Che guastafeste…».
«Sei tu che hai voluto a tutti i costi lavorarci insieme…».
«Ma altrimenti», Tessa le sfiorò la punta del naso con l’indice. «Non ci saremmo conosciute».
«Oh piccola», sospirò lei. «Ti avevo già messo gli occhi addosso da un pezzo!».
Tessa rise e si alzò.
«Dove sono i miei slip?».
«Credo di averli tirati di là», rise Teuila facendo un gesto della mano.
«E dai la colpa a me per aver fatto tardi…».
«Ovvio».
Tessa percorse la cabina girando intorno al tavolo di truciolato laccato e, guardando a terra vide delle mutandine in pizzo nere con ricamato un motivo floreale dai petali d’argento.
«Trovati!», disse, indossandoli.
Il reggiseno dalla medesima fantasia non era arrivato altrettanto lontano e pendeva con una coppa sul tavolo e l’altra nel vuoto.
«Non sarebbe più semplice se portassi qui un po’ delle tue cose?», disse Teuila arricciando le labbra.
Tessa rimase in silenzio mentre faceva scorrere le braccia sotto alle spalline e chiudeva il gancetto dietro la schiena.
«Non devi trasferirti, solo… portare qualcosa».
«Sì, sarebbe più comodo…», ammise scrutando la stanza alla ricerca dei vestiti.
La maglietta di sottile tessuto grigio giaceva stropicciata sullo schienale di una sedia, mentre i pantaloni erano ai piedi del letto. Si concentrò sulle curve dell’amante mentre si rivestiva, evitando di incrociarne lo sguardo.
Teuila la osservava immobile, mordendosi un labbro come se stesse pensando se insistere sull’argomento. Alla fine desistette e si alzò per cercare i vestiti a sua volta.
Tessa si sentì colpevole, come se l’avesse ferita e sapeva che era così. Perché trovava così difficile accettare questa nuova sistemazione? Dopotutto, già passava la maggior parte del tempo nella sua cabina… si trattava davvero di spostare qualche effetto personale, nulla di più.
Eppure, continuava a esitare.
Vedere la delusione negli occhi della compagna la faceva soffrire più di ogni altra cosa. Strinse i pugni, poi sospirò.
«Scusa…», mormorò abbracciandola alle spalle.
Teuila lasciò i pantaloni sollevati sopra le ginocchia e le prese le mani, accarezzandone il dorso coi pollici.
«Scusami tu», disse strusciando il volto su una mano. «Non avrei dovuto tornare sull’argomento di punto in bianco, aspetterò che tu sia pronta».
Tessa la strinse forte.
«Grazie».
Teuila le morsicò un dito.
«Ah!», esclamò Tessa più per la sorpresa che per il dolore.
«Dopotutto», si voltò con un sorrisetto obliquo. «Dove potresti scappare?».
Tessa la baciò, immergendosi nella morbidezza delle sue labbra. Le avrebbe tolto il poco che si era messa addosso e l’avrebbe ributtata sul letto se solo avesse avuto tempo. La testa si fece man mano più leggera mentre i riccioli le accarezzavano il volto.
Teuila le morse un labbro.
«Meglio se preparo la colazione», le sussurrò all’orecchio. «O finirò col mangiarti».
Tessa annuì, un brivido la percorse da cima a fondo. Quando si scostò non ricordava nemmeno da che parte era girata. Barcollò verso il bagno scontrandosi col mobilio.
«Non mi resta che districare questi…», disse passando la spazzola tra i capelli castani.
«Quello è niente», disse Teuila. «Dovresti provare coi miei ricci».
La ragazza aveva preso le polveri dall’armadio e le stava mischiando in due ciotole, dell’acqua fumava nel bollitore.
«Cosa prepari di buono?».
«Le solite cose, filetto scottato in padella», aggiunse due cucchiaiate di amminoacidi in ogni tazza e diede una spolverata di vitamine. «Con contorno di insalata».
«Per colazione?», Tessa inarcò un sopracciglio.
Teuila fece spallucce.
«Posso chiedere anche delle patate al forno?».
«No, però posso aggiungere una coccola in più», prese una busta di edulcorante al cioccolato.
«Sul filetto?».
«Nuova ricetta».
Teuila mise un cucchiaio in ciascuna tazza e le spostò sul tavolo, poi prese il bollitore e versò l’acqua calda fino a riempirle. Le polveri in sospensione rotearono alla corrente provocata dal filo d’acqua che si gettava loro addosso in un lieve gorgoglio, rendendo grigia e opaca la miscela.
«Et voilà! Non è venuto come nei film, ma è del cibo in un contenitore».
Tessa si umettò le labbra scuotendo la testa.
«Che cuoca!», disse accarezzandole un braccio e discendendo finché le mani non si congiunsero, intrecciando le dita e premendo i palmi uno contro l’altro.
Tessa si sedette, afferrò il cucchiaio con la mano libera e lo tuffò nella tazza, mescolando la mistura proteica. Le polveri si addensarono fino a raggiungere una consistenza pastosa. Ne prese una cucchiaiata e la mise in bocca. Non c’era bisogno di masticare, non ce n’era quasi mai bisogno sull’Endeavour, era incredibile che le persone non avessero dimenticato come farlo. Il sapore non era male, le polveri edulcoranti facevano il loro gustoso lavoro. Certo, non poteva sapere come fosse il sapore dei cibi che vedeva nei film, e non l’avrebbe mai saputo, ma le sue ingenue papille gustative approvavano nonostante la mancanza di un metro di paragone.
Dei colpi vennero dalla porta.
«Eccolo», Teuila si alzò e andò ad aprire.
Un uomo massiccio dai tratti samoani entrò salutandola con un cenno del capo.
«Ciao Sapati», disse Tessa.
«Sei pronta?».
Tessa si bloccò col cucchiaio a metà strada tra ciotola e bocca.
«Scusa», disse lui stropicciandosi le mani. «È che c’è una cosa che devi vedere».
Tessa aggrottò la fronte, non l’aveva mai visto così teso.
«Va tutto bene?», chiese Teuila.
«Potremmo avere… un piccolo problema», disse Sapati. «Ti racconto più tardi, quando forse saprò cosa dire…».
Tessa finì di fare colazione, salutò Teuila e uscì col fratello. Sapati la condusse attraverso i corridoi del terzo anello fino al ponte gamma. Le paratie si aprirono con uno sbuffo e sparirono nelle pareti. Procedettero in direzione del quarto anello lasciando vagare lo sguardo attraverso le finestre in vetro temperato, contemplando l’immensità del cosmo. La nebulosa Elica dominava il panorama e, nonostante il roteare dell’Endeavour, rimaneva sempre nel campo visibile di ogni finestra di ciascuno dei sei ponti della nave, da alpha a zeta. Appariva come una nuvola di un candore quasi trasparente ma Tessa sapeva che dalle foto del telescopio Hubble sembrava un immenso occhio che restituiva lo sguardo degli osservatori. Azzurro al centro, con un’iride giallo arancione e un contorno rosso che sfumava nella nera infinità dello spazio, quasi fosse una corona di fiamme. Non c’era da stupirsi che fosse uno degli oggetti celesti più fotografati. Veniva chiamato anche Occhio di Dio. Tessa preferiva la versione più laica e fantasiosa: Occhio di Sauron.
«Dove stiamo andando?», chiese senza distogliere lo sguardo dalla nebulosa.
«Alla piscina», disse Sapati.
«Allora passiamo dalla mia cabina che prendo il costume da bagno».
L’occhiata che ricevette non prometteva niente di buono.
«Non ti piacerà quello che troveremo».
La piscina era una grande sala circolare, spoglia di qualsivoglia orpello. La vasca, della profondità massima di un metro e mezzo, presentava una superficie limpida e piatta, nessuno era intento a rilassarsi in acqua. Il pavimento vi si calava pian piano mentre una passerella su entrambi i lati la circondava congiungendosi in un cerchio perfetto. Diverse persone erano raggruppate a due radianti sulla destra e mormoravano sottovoce. Uno di loro, con un retino, stava cercando di pescare qualcosa. Tessa e Sapati superarono l’assembramento e raggiunsero i colleghi che li salutarono con dei cenni del capo e parole sommesse. Tessa si affiancò all’uomo col retino per vedere cosa stesse cercando di recuperare.
Il cadavere di un neonato.
«Cazzo», sussurrò Tessa. «Chi l’ha trovato?».
«È stato il vecchio Sam», disse una voce familiare alle sue spalle. «Mentre puliva la piscina, circa un’ora fa».
Connor era vestito di nero dalla felpa con cappuccio alla suola delle scarpe, indossava occhiali rettangolari ed esibiva il consueto sorriso a labbra unite che gli faceva sprofondare le guance in due fossette da ragazzino.
«Ciao Connie», disse Tessa abbracciandolo.
Non era grosso come Sapati ma era altrettanto alto e dovette mettersi in punta di piedi.
«Il vecchio Sam ti ha detto altro?», chiese quando tornò a poggiare i talloni.
«Non ha notato altro», scosse la testa. «Dovremo aspettare le analisi del laboratorio».
L’agente riuscì a prendere il corpo e sollevarlo, la pelle gonfia e violacea si fendeva contro la maglia del retino, facendo colare umori maleodoranti in acqua. Tessa trattenne un conato di vomito portando una mano alla bocca.
«Qualcuno ne ha denunciato la scomparsa?», chiese tra le dita.
«Per ora no», disse Connor.
Le porte della piscina si aprirono con uno sbuffo e il battere di scarponcini solitari dalla suola in metallo echeggiò nella sala. Padre Radislav aveva fatto il suo ingresso e stava immobile a osservare la scena. Il prete indossava un saio marrone logoro e scolorito, legato in vita con una corda bianca. Portava una collana con un lucido bullone come pendente che ondeggiava sul petto. Dei guanti con una piastrina di metallo cucita sul lato inferiore della mano pendevano dalla cintura.
D’un tratto cadde in ginocchio, come se le forze l’avessero abbandonato, ma non si accasciò a terra. Sfilò i guanti dalla cintura, li indossò e strinse le mani come se cercasse di adattarli alla propria misura, come si fa con delle scarpe nuove, e si accucciò battendo la piastra di metallo sul pavimento, producendo un clangore metallico che spezzò il brusio delle conversazioni a mezza bocca.
«Oddio», sbuffò Sapati. «Ci risiamo…».
Padre Radislav abbassò il capo fino a toccare il pavimento con la fronte e batté il pugno con maggiore veemenza iniziando a salmodiare.
CLANG!
Ave, o Endeavour, piena di grazia
il Rombo è con te.
CLANG!
Tu sei benedetta fra le navi
e benedetto è l’algoritmo del sistema tuo.
CLANG!
Sacra imbarcazione, custode dei cento,
preserva noi umili passeggeri.
CLANG!
Nutrici nella vita,
riciclaci nella morte.
Amen.
CLANG!
«Spero non voglia improvvisare una messa», sussurrò Sapati.
«Non sta facendo niente di male», disse Tessa scuotendo la testa. «Dagli un po’ di tregua».
«La dia lui alle mie orecchie…», borbottò l’omone. «Picchia sul pavimento come volesse bucarlo».
Tessa sospirò e uscì dal gruppo dirigendosi verso il prete. Quando fu vicina, lui alzò la testa e si rimise in piedi.
«Oggi siamo testimoni dell’inadeguatezza dell’essere umano», sentenziò come avesse appena sintetizzato una verità universale.
«Salve, Padre», disse Tessa. «Ha saputo dell’accaduto, immagino».
«Le persone che hanno fatto questo non meritano di essere accolte nel Rombo della Nave», disse lui, poi le sorrise. «D'altronde, Figlia dell’Endeavour, già sapevamo che il pulsare dei motori non è per tutti».
«Qualcuno dei fedeli di questo anello le ha per caso detto qualcosa? Non è stata denunciata la scomparsa di un neonato e mi sembra molto strano…».
«Non ho ancora tenuto messa oggi».
«Potrebbe farmi un favore e parlare ai fedeli? Le persone si sentono più a proprio agio ad aprirsi con un uomo di chiesa piuttosto che con le autorità».
«Certamente, ma…», disse con un sorriso obliquo. «Sarebbe più efficace se fossi presente anche tu».
Tessa sorrise di rimando.
«Per i prescelti è importante farsi vedere», continuò Padre Radislav. «I fedeli non aspettano altro che poter interagire con le persone scelte dalla Nave. Li avvicina al Rombo».
Tessa sospirò, non condivideva le strane ideologie religiose riguardo all’Endeavour e la metteva sempre a disagio avere a che fare coi fedeli che la idolatravano. Ma, se sarebbe stato utile per risolvere il caso, che male poteva fare?
«Vedrò se riuscirò a passare».
«Dovresti, anche solo per ricordarmi di chiedere».
Tessa sollevò un sopracciglio ma, prima che potesse ribattere al ricatto, Sapati comparve al suo fianco.
«Il Capitano vuole vederci».
Radislav fece per aprire la bocca.
«Ora», lo interruppe sul nascere l’omone. «Nel suo ufficio».
Tessa annuì.
«A presto, padre», batté il pugno contro quello di Radislav, colpendo la piastra come bussando a una porta. «Non dimentichi di fare il suo dovere da bravo membro dell’equipaggio», aggiunse con un sorrisetto.
«A presto», disse lui chinando il capo. «Figlia della Nave».
Tessa si allontanò al fianco di Sapati, uscendo dalla piscina.
«La bambina prescelta dalla Nave…», sbuffò l’omone quando le porte si furono chiuse alle loro spalle.
«Come due persone ogni cinque anni», Tessa fece spallucce.
«Quei tizi mi mettono i brividi».
«Sono un po’ sopra le righe…».
«Sopra le righe?», la guardò con occhi sgranati. «Sono dei pazzi fanatici che adorano l’Endeavour come fosse una divinità!».
«Sono solo persone che cercano di venire a patti con la vita che hanno… non tutti sono fortunati come noi. Insomma, non ho avuto dei genitori ma tutto sommato sono in salute e anche tu e Teuila non avete difetti genetici, vostra madre è nata da un embrione, come me. Molti di loro, invece, sono messi male…».
«Non che questo li giustifichi dall’andar dietro alle assurdità dei preti».
«No, però mettiti nei loro panni: non hanno niente. Si aggrappano a qualsiasi speranza, per quanto flebile o folle possa essere».
«Ok, va bene», si arrese Sapati allargando le braccia. «Non ce l’ho con loro».
Raggiunsero il ponte gamma dal quale erano arrivati e procedettero in senso inverso. La nebulosa Elica vigilava su ogni loro passo.
«Il fatto è che Estrazione e Incubazione sono processi ideati e programmati dagli scienziati terrestri e c’è la legge firmata da Felicity Green e i Primi Cinquanta che testimonia la messa in atto dei protocolli quasi mille anni fa», riprese l’omone con maggior veemenza. «Certo, è la nave a scegliere le coppie che avranno il diritto di procreazione e gli embrioni che verranno incubati, ma solo perché per analizzare tutte le varianti genetiche di ogni individuo è necessaria una potenza di calcolo impossibile per la mente umana».
«Forse è questa la definizione di “Dio”», disse Tessa con un ghigno malvagio.
Sapati ridusse gli occhi a una fessura.
«Esistono una miriade di termini migliori che non hanno connotazioni mistiche», poi liquidò la provocazione con un gesto della mano. «I processi che dicono essere di origine divina sottostanno a direttive umane… è questo che mi fa impazzire, come fanno a non rendersene conto?».
«Oh… la mente umana è molto brava ad auto-hackerarsi, basta che non vogliono rendersene conto e riusciranno a ignorarlo», tamburellò con le nocche sulla strumentazione ammassata ai lati del corridoio. «Come dicevo prima, ogni flebile speranza, seppure folle, dà loro la forza di andare avanti. Il fatto che l’Endeavour, una forza superiore a quella umana, per capacità di calcolo perlomeno, possa guidare le loro vite, dà loro sicurezza», sollevò le braccia. «È una linea di pensiero che non condivido nemmeno io, ma posso capire che alcuni ne abbiano bisogno».
«Ma… finiscono col vivere in un’illusione».
«Sì».
«E questo non ti disturba?».
«Per la vita che facciamo qui…», disse Tessa colpendo le tubature che correvano a lato del passaggio e che risuonarono di un’oscillante nota metallica. «Finché non sono un pericolo per sé stessi o per gli altri, non è un problema».
«Un pericolo non credo, non per ora almeno, però doverci avere a che fare è dannatamente fastidioso, è come parlare al muro», disse Sapati. «Anzi, peggio, almeno i muri se ne stanno zitti… non so come fai a sopportare tutti quei preti che ti ronzano intorno».
«Lo fanno con tutti i nati dagli embrioni», fece spallucce. «Sono un po’ pressanti ma Padre Radislav è sempre stato gentile con me, soprattutto quando ero piccola e mi mancavano delle figure di riferimento».
«E non credi ci fosse un secondo fine? Il modus operandi dei religiosi è il medesimo dall’alba dei tempi».
Tessa rimase in silenzio.
«“Dateceli da piccoli e saranno nostri per sempre”», continuò Sapati. «Non era così che dicevano?».
«Non credo che Padre Radislav sia così meschino. Magari altri sì, ma di lui penso ci si possa fidare».
«Eppure cerca di manipolarti per andare alla funzione».
Tessa lo scrutò in volto.
«Ho sentito il caloroso invito», disse lui con tono sprezzante. «“Dovresti, anche solo per ricordarmi di chiedere”, bel modo di lasciarti libera di scegliere, nessuna pressione».
«Non diceva davvero».
«Era un ricatto morale bello e buono».
«Sono sicura che interrogherà lo stesso i fedeli».
«Forse, ciò non toglie che il suo primo istinto fosse manipolatore».
«L’ha detto solo perché stavo rifiutando…».
Sapati arcuò le sopracciglia e le lanciò uno sguardo che valeva più di mille parole.
Tessa sospirò.
Le paratie del terzo anello si aprirono davanti a loro in un ampio salone con corridoi perpendicolari che si arcuavano verso l’alto, seguendo la circonferenza della nave, e scale che portavano al piano interno e a quello esterno dell’anello. Di fronte a loro, un simbolo sopra ad altre paratie segnalava la sezione successiva del ponte gamma che procedeva verso la testa della nave.
«Mi sembra tu lo stia giustificando più del necessario», insistette Sapati. «Dico solo questo».
«Non demordi mai, eh?», Tessa sbuffò. «E va bene, è pressante e ha un modo di fare un po’ manipolatorio, sei contento adesso?».
«Non ti scaldare», disse lui alzando le mani.
«Questo non lo rende malvagio o pericoloso».
«Lo dico perché ti voglio bene, lo sai vero? E anche mia sorella. Mi preoccupo…».
«Non mi unirò al culto», lo interruppe Tessa. «Puoi stare tranquillo».
«Volevo solo accertarmene, perché…».
«Perché sei un rompicoglioni!», rise Tessa rifilandogli un pugno sulla spalla.
Sapati rise a sua volta.
«E tanto, tanto cocciuto! Ti salvi perché sei tenero e hai una sorella da urlo…».
«Ho sempre avuto il sospetto che fossi amica mia per arrivare a lei».
«Altrimenti, perché sopportare tutto questo?», Tessa gli rivolse un ghigno indicandolo da testa a piedi.
«Te l’ho servita su un piatto d’argento…», sospirò Sapati.
Attraversarono il secondo anello in silenzio e, quando entrarono nell’ultima sezione del ponte gamma che dovevano percorrere, Sapati riprese a parlare.
«Tu hai una spiccata intelligenza, te l’ho mai detto?».
«Di solito sei avaro di complimenti», disse Tessa guardandolo di sottecchi, aspettandosi una frecciatina. «La prossima volta avvertimi che faccio in modo di registrarlo».
«Dico davvero, per questo le manipolazioni di Radislav…».
Tessa gli scoccò un’occhiataccia.
«Intenzionali o innocenti che siano», si affrettò ad aggiungere lui sollevando le mani. «Per questo non attecchiscono, ma gli altri… è più per gli altri che sono preoccupato. Guarda Connor, per non andar tanto lontano, lui è rimasto invischiato nel culto».
«Connor non ha preso i voti…».
«No, però è un fedele».
«È solamente più affezionato a Padre Radislav di quanto non lo sia io», fece spallucce. «Dopotutto, è stato una figura paterna anche per lui».
Sapati fece schioccare la bocca.
«Mia madre si è battuta a lungo per cambiare il modo in cui gli embrioni vengono allevati. Il fatto che vengano lasciati all’automatismo della nave così a lungo non va bene, ci sono parecchi studi che indicano un’importanza cruciale nel contatto umano, soprattutto durante i primi mesi e anni di vita».
«Non veniamo abbandonati alle macchine…», disse Tessa parlando al plurale per non sapeva quale ragione, forse farsi portavoce della comunità embrionale dell’Endeavour. Cos’avrebbe fatto poi? Istituire un sindacato di surgelati? «So che me ne lamento spesso ma non credo mi sia mancato del contatto umano. Certo, non è la stessa cosa dell’avere dei veri genitori…».
«Spesso, però, a offrirsi volontari per accudire i bambini sono i fedeli della chiesa o i preti stessi, come Radislav ha fatto con te e Connor».
«E non credi lo facciano per bontà d’animo?».
«C’è sicuramente anche quella», ammise l’omone. «Vi considerano figli del loro Dio. Cazzo… siete praticamente l’equivalente di un messia».
«Due messia ogni cinque anni», rise Tessa. «Le antiche religioni terrestri avrebbero ucciso per una cosa del genere!».
«Eh…», Sapati annuì sgranando gli occhi. «Ci mancherebbe non facciano del loro meglio per accudirvi…».
«…per poi metterci in mostra per attirare nuovi fedeli».
«È proprio qui che volevo andare a parare. Lo fanno anche per portarvi dalla loro parte, per farvi aderire al culto. Perché non sono solo i fedeli a guardare a voi come a delle guide, ma l’intero equipaggio. Rappresentate il futuro, se non ancora su Elpis, il futuro della popolazione che un giorno vi sbarcherà. Hanno bisogno di avervi dalla loro parte per rafforzare il loro credo e reclutare più adepti».
«Ne parli come di una setta».
«Non so cosa siano», sospirò Sapati. «Ho solo paura dei fanatici, dei fanatici di ogni tipo. Se mai le loro idee dovessero prendere piede…».
«Non mi preoccuperei», disse Tessa. «Finché abbiamo una gerarchia di stampo militare e non siamo in democrazia, la loro opinione non conta niente».
«Finché non ci ritroveremo un Capitano con un bullone al collo».
«Dubito che un capitano sano di mente proporrebbe mai un religioso come suo successore, e ancora meno che venga approvato dalla Plancia».
Si aprirono le paratie e giunsero sul primo anello dove si trovava il ponte di comando e le infrastrutture più importanti per una corretta navigazione. Si trovarono in una sala non dissimile da tutte le altre che connettevano le sezioni dei ponti. La nave era stata costruita in maniera modulare ed era facile perdersi se non la si conosceva bene. La plancia e l’ufficio del Capitano erano in prossimità del ponte alpha, i nomi erano stati dati in ordine orario da un punto di vista frontale, quindi antiorario per l’intero equipaggio che, a differenza di chi l’aveva progettata e costruita, sarebbe morto all’istante trovandosi da qualsiasi parte frontalmente alla nave. Scesero le scale a sinistra sentendo il graduale incremento di gravità ad ogni gradino e allargarono le braccia per rimanere in equilibrio nel passare a un piano che ruotava più velocemente rispetto a quello da cui arrivavano. Si trovarono in una stanza identica a quella che avevano lasciato. Imboccarono il corridoio che conduceva a sinistra e oltrepassarono diverse porte, poi le paratie del ponte beta, altre porte e infine giunsero al ponte alpha dal quale, poche svolte dopo, raggiunsero l’ufficio del Capitano.
La porta era aperta.
Irvin Harris era assunto alla massima carica dell’Endeavour qualche anno prima, distinguendosi dal suo predecessore per un’indole più gioviale, ma oggi tamburellava con le dita sulla scrivania ed era scuro in volto.
«Entrate e chiudete la porta», disse con tono che non ammetteva repliche.
Sapati si fiondò nello studio e Tessa chiuse l’uscio alle loro spalle.
«Sedetevi», Harris indicò loro una sedia dall’altra parte della scrivania.
Sapati la guardò, dubbioso.
Vista la mole dell’omone, ogni tanto Tessa dimenticava che aveva solo un paio d’anni più di lei e che alle volte si agitava per niente, soprattutto quando il Capitano era di cattivo umore, come un bambino che cercava di nascondere una marachella.
Tessa si diede un occhio intorno, Harris non spostava quasi mai gli elementi dell’ufficio. Sulla scrivania erano presenti le stesse foto di quando si era insediato, ne era apparsa una nuova solo l’anno precedente quando era nato il suo secondo figlio ed era sicura che sarebbe rimasta una foto di un infante sdentato finché sarebbe rimasto in carica. Sul lato vi era il diario all’interno del quale Felicity Green aveva stilato il Codice, firmato dai Primi Cinquanta ormai mille anni prima. Quando gli aveva chiesto se la quarta di copertina fosse stata incollata al legno o se ci fosse qualche altra ragione per cui lo tenesse sempre in bella vista, Harris le aveva rivolto un sorriso obliquo rispondendo solo “per non dimenticare”. Altri volumi, istruzioni tecniche dei sistemi della nave, erano ammonticchiati su una cassettiera e lo schermo del computer era nero. Vi erano tre sedie addossate alla parete di destra, ne prese una e la mise di fianco all’altra davanti alla scrivania.
Si accomodarono.
«Do per scontato che siate aggiornati su quel che è successo in piscina».
Annuirono.
«Bene», disse Harris. «O meglio, male… quello non è il primo che troviamo in giro per la nave».
Tessa spalancò la bocca.
«Un paio di settimane fa, quelli della manutenzione hanno trovato il corpo di un neonato nelle serre del sesto anello. Era mezzo decomposto ma era chiaro che non fosse passato per il programma di riciclo. Da allora ne sono stati rinvenuti altri tre allo stesso modo, a distanza di due giorni uno dall’altro, al che ho aumentato la sorveglianza delle serre e non ne abbiamo più trovati…».
«Fino a oggi», concluse Tessa.
Harris annuì.
«Chiunque sia, non ha intenzione di fermarsi».
«Avete dei sospetti?».
«No, e non abbiamo nemmeno idea del movente», si appoggiò allo schienale. «Ho aspettato di avere i risultati delle analisi genetiche prima di parlarvi».
«Cos’avete scoperto?».
«Il motivo per cui nessuno ha sporto denuncia è che sono tutti neonati non registrati».
«Nati fuori dal sistema Match Mate?».
«Presumibilmente sì».
«Neonati illegali…», Tessa si morse un labbro. «Perché ucciderli? Sarebbero stati condannati a morte ugualmente».
«In che cazzo di società viviamo…», sospirò Sapati.
«Nell’unica possibile», disse Harris accigliandosi. «Ma non una in cui ai singoli individui sia consentito farsi giustizia da soli. C’è qualcuno sulla nave che si è lasciato prendere un po’ la mano e, per quanto dispensi la stessa violenza prevista dal Codice, non ha l’autorità per farlo. Vi ho chiamati nel mio ufficio perché siete tra i migliori investigatori che abbiamo: prendete in esame il caso e arrestate il colpevole».
«Non sta facendo niente di male», disse Tessa scuotendo la testa. «Dagli un po’ di tregua».
«La dia lui alle mie orecchie…», borbottò l’omone. «Picchia sul pavimento come volesse bucarlo».
Tessa sospirò e uscì dal gruppo dirigendosi verso il prete. Quando fu vicina, lui alzò la testa e si rimise in piedi.
«Oggi siamo testimoni dell’inadeguatezza dell’essere umano», sentenziò come avesse appena sintetizzato una verità universale.
«Salve, Padre», disse Tessa. «Ha saputo dell’accaduto, immagino».
«Le persone che hanno fatto questo non meritano di essere accolte nel Rombo della Nave», disse lui, poi le sorrise. «D'altronde, Figlia dell’Endeavour, già sapevamo che il pulsare dei motori non è per tutti».
«Qualcuno dei fedeli di questo anello le ha per caso detto qualcosa? Non è stata denunciata la scomparsa di un neonato e mi sembra molto strano…».
«Non ho ancora tenuto messa oggi».
«Potrebbe farmi un favore e parlare ai fedeli? Le persone si sentono più a proprio agio ad aprirsi con un uomo di chiesa piuttosto che con le autorità».
«Certamente, ma…», disse con un sorriso obliquo. «Sarebbe più efficace se fossi presente anche tu».
Tessa sorrise di rimando.
«Per i prescelti è importante farsi vedere», continuò Padre Radislav. «I fedeli non aspettano altro che poter interagire con le persone scelte dalla Nave. Li avvicina al Rombo».
Tessa sospirò, non condivideva le strane ideologie religiose riguardo all’Endeavour e la metteva sempre a disagio avere a che fare coi fedeli che la idolatravano. Ma, se sarebbe stato utile per risolvere il caso, che male poteva fare?
«Vedrò se riuscirò a passare».
«Dovresti, anche solo per ricordarmi di chiedere».
Tessa sollevò un sopracciglio ma, prima che potesse ribattere al ricatto, Sapati comparve al suo fianco.
«Il Capitano vuole vederci».
Radislav fece per aprire la bocca.
«Ora», lo interruppe sul nascere l’omone. «Nel suo ufficio».
Tessa annuì.
«A presto, padre», batté il pugno contro quello di Radislav, colpendo la piastra come bussando a una porta. «Non dimentichi di fare il suo dovere da bravo membro dell’equipaggio», aggiunse con un sorrisetto.
«A presto», disse lui chinando il capo. «Figlia della Nave».
Tessa si allontanò al fianco di Sapati, uscendo dalla piscina.
«La bambina prescelta dalla Nave…», sbuffò l’omone quando le porte si furono chiuse alle loro spalle.
«Come due persone ogni cinque anni», Tessa fece spallucce.
«Quei tizi mi mettono i brividi».
«Sono un po’ sopra le righe…».
«Sopra le righe?», la guardò con occhi sgranati. «Sono dei pazzi fanatici che adorano l’Endeavour come fosse una divinità!».
«Sono solo persone che cercano di venire a patti con la vita che hanno… non tutti sono fortunati come noi. Insomma, non ho avuto dei genitori ma tutto sommato sono in salute e anche tu e Teuila non avete difetti genetici, vostra madre è nata da un embrione, come me. Molti di loro, invece, sono messi male…».
«Non che questo li giustifichi dall’andar dietro alle assurdità dei preti».
«No, però mettiti nei loro panni: non hanno niente. Si aggrappano a qualsiasi speranza, per quanto flebile o folle possa essere».
«Ok, va bene», si arrese Sapati allargando le braccia. «Non ce l’ho con loro».
Raggiunsero il ponte gamma dal quale erano arrivati e procedettero in senso inverso. La nebulosa Elica vigilava su ogni loro passo.
«Il fatto è che Estrazione e Incubazione sono processi ideati e programmati dagli scienziati terrestri e c’è la legge firmata da Felicity Green e i Primi Cinquanta che testimonia la messa in atto dei protocolli quasi mille anni fa», riprese l’omone con maggior veemenza. «Certo, è la nave a scegliere le coppie che avranno il diritto di procreazione e gli embrioni che verranno incubati, ma solo perché per analizzare tutte le varianti genetiche di ogni individuo è necessaria una potenza di calcolo impossibile per la mente umana».
«Forse è questa la definizione di “Dio”», disse Tessa con un ghigno malvagio.
Sapati ridusse gli occhi a una fessura.
«Esistono una miriade di termini migliori che non hanno connotazioni mistiche», poi liquidò la provocazione con un gesto della mano. «I processi che dicono essere di origine divina sottostanno a direttive umane… è questo che mi fa impazzire, come fanno a non rendersene conto?».
«Oh… la mente umana è molto brava ad auto-hackerarsi, basta che non vogliono rendersene conto e riusciranno a ignorarlo», tamburellò con le nocche sulla strumentazione ammassata ai lati del corridoio. «Come dicevo prima, ogni flebile speranza, seppure folle, dà loro la forza di andare avanti. Il fatto che l’Endeavour, una forza superiore a quella umana, per capacità di calcolo perlomeno, possa guidare le loro vite, dà loro sicurezza», sollevò le braccia. «È una linea di pensiero che non condivido nemmeno io, ma posso capire che alcuni ne abbiano bisogno».
«Ma… finiscono col vivere in un’illusione».
«Sì».
«E questo non ti disturba?».
«Per la vita che facciamo qui…», disse Tessa colpendo le tubature che correvano a lato del passaggio e che risuonarono di un’oscillante nota metallica. «Finché non sono un pericolo per sé stessi o per gli altri, non è un problema».
«Un pericolo non credo, non per ora almeno, però doverci avere a che fare è dannatamente fastidioso, è come parlare al muro», disse Sapati. «Anzi, peggio, almeno i muri se ne stanno zitti… non so come fai a sopportare tutti quei preti che ti ronzano intorno».
«Lo fanno con tutti i nati dagli embrioni», fece spallucce. «Sono un po’ pressanti ma Padre Radislav è sempre stato gentile con me, soprattutto quando ero piccola e mi mancavano delle figure di riferimento».
«E non credi ci fosse un secondo fine? Il modus operandi dei religiosi è il medesimo dall’alba dei tempi».
Tessa rimase in silenzio.
«“Dateceli da piccoli e saranno nostri per sempre”», continuò Sapati. «Non era così che dicevano?».
«Non credo che Padre Radislav sia così meschino. Magari altri sì, ma di lui penso ci si possa fidare».
«Eppure cerca di manipolarti per andare alla funzione».
Tessa lo scrutò in volto.
«Ho sentito il caloroso invito», disse lui con tono sprezzante. «“Dovresti, anche solo per ricordarmi di chiedere”, bel modo di lasciarti libera di scegliere, nessuna pressione».
«Non diceva davvero».
«Era un ricatto morale bello e buono».
«Sono sicura che interrogherà lo stesso i fedeli».
«Forse, ciò non toglie che il suo primo istinto fosse manipolatore».
«L’ha detto solo perché stavo rifiutando…».
Sapati arcuò le sopracciglia e le lanciò uno sguardo che valeva più di mille parole.
Tessa sospirò.
Le paratie del terzo anello si aprirono davanti a loro in un ampio salone con corridoi perpendicolari che si arcuavano verso l’alto, seguendo la circonferenza della nave, e scale che portavano al piano interno e a quello esterno dell’anello. Di fronte a loro, un simbolo sopra ad altre paratie segnalava la sezione successiva del ponte gamma che procedeva verso la testa della nave.
«Mi sembra tu lo stia giustificando più del necessario», insistette Sapati. «Dico solo questo».
«Non demordi mai, eh?», Tessa sbuffò. «E va bene, è pressante e ha un modo di fare un po’ manipolatorio, sei contento adesso?».
«Non ti scaldare», disse lui alzando le mani.
«Questo non lo rende malvagio o pericoloso».
«Lo dico perché ti voglio bene, lo sai vero? E anche mia sorella. Mi preoccupo…».
«Non mi unirò al culto», lo interruppe Tessa. «Puoi stare tranquillo».
«Volevo solo accertarmene, perché…».
«Perché sei un rompicoglioni!», rise Tessa rifilandogli un pugno sulla spalla.
Sapati rise a sua volta.
«E tanto, tanto cocciuto! Ti salvi perché sei tenero e hai una sorella da urlo…».
«Ho sempre avuto il sospetto che fossi amica mia per arrivare a lei».
«Altrimenti, perché sopportare tutto questo?», Tessa gli rivolse un ghigno indicandolo da testa a piedi.
«Te l’ho servita su un piatto d’argento…», sospirò Sapati.
Attraversarono il secondo anello in silenzio e, quando entrarono nell’ultima sezione del ponte gamma che dovevano percorrere, Sapati riprese a parlare.
«Tu hai una spiccata intelligenza, te l’ho mai detto?».
«Di solito sei avaro di complimenti», disse Tessa guardandolo di sottecchi, aspettandosi una frecciatina. «La prossima volta avvertimi che faccio in modo di registrarlo».
«Dico davvero, per questo le manipolazioni di Radislav…».
Tessa gli scoccò un’occhiataccia.
«Intenzionali o innocenti che siano», si affrettò ad aggiungere lui sollevando le mani. «Per questo non attecchiscono, ma gli altri… è più per gli altri che sono preoccupato. Guarda Connor, per non andar tanto lontano, lui è rimasto invischiato nel culto».
«Connor non ha preso i voti…».
«No, però è un fedele».
«È solamente più affezionato a Padre Radislav di quanto non lo sia io», fece spallucce. «Dopotutto, è stato una figura paterna anche per lui».
Sapati fece schioccare la bocca.
«Mia madre si è battuta a lungo per cambiare il modo in cui gli embrioni vengono allevati. Il fatto che vengano lasciati all’automatismo della nave così a lungo non va bene, ci sono parecchi studi che indicano un’importanza cruciale nel contatto umano, soprattutto durante i primi mesi e anni di vita».
«Non veniamo abbandonati alle macchine…», disse Tessa parlando al plurale per non sapeva quale ragione, forse farsi portavoce della comunità embrionale dell’Endeavour. Cos’avrebbe fatto poi? Istituire un sindacato di surgelati? «So che me ne lamento spesso ma non credo mi sia mancato del contatto umano. Certo, non è la stessa cosa dell’avere dei veri genitori…».
«Spesso, però, a offrirsi volontari per accudire i bambini sono i fedeli della chiesa o i preti stessi, come Radislav ha fatto con te e Connor».
«E non credi lo facciano per bontà d’animo?».
«C’è sicuramente anche quella», ammise l’omone. «Vi considerano figli del loro Dio. Cazzo… siete praticamente l’equivalente di un messia».
«Due messia ogni cinque anni», rise Tessa. «Le antiche religioni terrestri avrebbero ucciso per una cosa del genere!».
«Eh…», Sapati annuì sgranando gli occhi. «Ci mancherebbe non facciano del loro meglio per accudirvi…».
«…per poi metterci in mostra per attirare nuovi fedeli».
«È proprio qui che volevo andare a parare. Lo fanno anche per portarvi dalla loro parte, per farvi aderire al culto. Perché non sono solo i fedeli a guardare a voi come a delle guide, ma l’intero equipaggio. Rappresentate il futuro, se non ancora su Elpis, il futuro della popolazione che un giorno vi sbarcherà. Hanno bisogno di avervi dalla loro parte per rafforzare il loro credo e reclutare più adepti».
«Ne parli come di una setta».
«Non so cosa siano», sospirò Sapati. «Ho solo paura dei fanatici, dei fanatici di ogni tipo. Se mai le loro idee dovessero prendere piede…».
«Non mi preoccuperei», disse Tessa. «Finché abbiamo una gerarchia di stampo militare e non siamo in democrazia, la loro opinione non conta niente».
«Finché non ci ritroveremo un Capitano con un bullone al collo».
«Dubito che un capitano sano di mente proporrebbe mai un religioso come suo successore, e ancora meno che venga approvato dalla Plancia».
Si aprirono le paratie e giunsero sul primo anello dove si trovava il ponte di comando e le infrastrutture più importanti per una corretta navigazione. Si trovarono in una sala non dissimile da tutte le altre che connettevano le sezioni dei ponti. La nave era stata costruita in maniera modulare ed era facile perdersi se non la si conosceva bene. La plancia e l’ufficio del Capitano erano in prossimità del ponte alpha, i nomi erano stati dati in ordine orario da un punto di vista frontale, quindi antiorario per l’intero equipaggio che, a differenza di chi l’aveva progettata e costruita, sarebbe morto all’istante trovandosi da qualsiasi parte frontalmente alla nave. Scesero le scale a sinistra sentendo il graduale incremento di gravità ad ogni gradino e allargarono le braccia per rimanere in equilibrio nel passare a un piano che ruotava più velocemente rispetto a quello da cui arrivavano. Si trovarono in una stanza identica a quella che avevano lasciato. Imboccarono il corridoio che conduceva a sinistra e oltrepassarono diverse porte, poi le paratie del ponte beta, altre porte e infine giunsero al ponte alpha dal quale, poche svolte dopo, raggiunsero l’ufficio del Capitano.
La porta era aperta.
Irvin Harris era assunto alla massima carica dell’Endeavour qualche anno prima, distinguendosi dal suo predecessore per un’indole più gioviale, ma oggi tamburellava con le dita sulla scrivania ed era scuro in volto.
«Entrate e chiudete la porta», disse con tono che non ammetteva repliche.
Sapati si fiondò nello studio e Tessa chiuse l’uscio alle loro spalle.
«Sedetevi», Harris indicò loro una sedia dall’altra parte della scrivania.
Sapati la guardò, dubbioso.
Vista la mole dell’omone, ogni tanto Tessa dimenticava che aveva solo un paio d’anni più di lei e che alle volte si agitava per niente, soprattutto quando il Capitano era di cattivo umore, come un bambino che cercava di nascondere una marachella.
Tessa si diede un occhio intorno, Harris non spostava quasi mai gli elementi dell’ufficio. Sulla scrivania erano presenti le stesse foto di quando si era insediato, ne era apparsa una nuova solo l’anno precedente quando era nato il suo secondo figlio ed era sicura che sarebbe rimasta una foto di un infante sdentato finché sarebbe rimasto in carica. Sul lato vi era il diario all’interno del quale Felicity Green aveva stilato il Codice, firmato dai Primi Cinquanta ormai mille anni prima. Quando gli aveva chiesto se la quarta di copertina fosse stata incollata al legno o se ci fosse qualche altra ragione per cui lo tenesse sempre in bella vista, Harris le aveva rivolto un sorriso obliquo rispondendo solo “per non dimenticare”. Altri volumi, istruzioni tecniche dei sistemi della nave, erano ammonticchiati su una cassettiera e lo schermo del computer era nero. Vi erano tre sedie addossate alla parete di destra, ne prese una e la mise di fianco all’altra davanti alla scrivania.
Si accomodarono.
«Do per scontato che siate aggiornati su quel che è successo in piscina».
Annuirono.
«Bene», disse Harris. «O meglio, male… quello non è il primo che troviamo in giro per la nave».
Tessa spalancò la bocca.
«Un paio di settimane fa, quelli della manutenzione hanno trovato il corpo di un neonato nelle serre del sesto anello. Era mezzo decomposto ma era chiaro che non fosse passato per il programma di riciclo. Da allora ne sono stati rinvenuti altri tre allo stesso modo, a distanza di due giorni uno dall’altro, al che ho aumentato la sorveglianza delle serre e non ne abbiamo più trovati…».
«Fino a oggi», concluse Tessa.
Harris annuì.
«Chiunque sia, non ha intenzione di fermarsi».
«Avete dei sospetti?».
«No, e non abbiamo nemmeno idea del movente», si appoggiò allo schienale. «Ho aspettato di avere i risultati delle analisi genetiche prima di parlarvi».
«Cos’avete scoperto?».
«Il motivo per cui nessuno ha sporto denuncia è che sono tutti neonati non registrati».
«Nati fuori dal sistema Match Mate?».
«Presumibilmente sì».
«Neonati illegali…», Tessa si morse un labbro. «Perché ucciderli? Sarebbero stati condannati a morte ugualmente».
«In che cazzo di società viviamo…», sospirò Sapati.
«Nell’unica possibile», disse Harris accigliandosi. «Ma non una in cui ai singoli individui sia consentito farsi giustizia da soli. C’è qualcuno sulla nave che si è lasciato prendere un po’ la mano e, per quanto dispensi la stessa violenza prevista dal Codice, non ha l’autorità per farlo. Vi ho chiamati nel mio ufficio perché siete tra i migliori investigatori che abbiamo: prendete in esame il caso e arrestate il colpevole».
* * *
In quel momento, il disgusto che provavo per la morte di quei bambini venne rimpiazzato da un misto di terrore ed eccitamento: non avevo mai condotto un’indagine! Un’indagine vera e propria! I crimini sono rari sull’Endeavour e, pur avendo nel database corsi su qualunque argomento, non c’è un’accademia che possa formarti. Credo di essere entrata nelle “forze dell’ordine” della nave, se così si possono chiamare, per una combinazione di amore per i film gialli e scarsità di volontari. La maggior parte di quello che so su come svolgere un’indagine l’ho imparato guardando il tenente Colombo e leggendo Sherlock Holmes. Tale background e una predisposizione all’attenzione ai dettagli e al ragionamento logico e deduttivo sono stati giudicati sufficienti.
Gli investigatori dei polizieschi sono sempre “i migliori” nel loro campo e lavorano notte e giorno per risolvere i casi che gli vengono assegnati, incuranti del pericolo e dotati di una forza di volontà e di abnegazione oltre l’umana comprensione. Quanto vorrei avere la stessa sicurezza… non ho che una frazione della loro esperienza, non so se sarò in grado di portare a termine il compito. Non so nemmeno se sarò altrettanto pronta ad affrontare pericoli che, in sincerità, spero davvero non si presentino. A dire il vero, non ho nemmeno lo stesso spirito di abnegazione… sono in trepidazione per questo caso, ma anche ora non penso ad altro che tornare da Teuila e condividerlo con lei. Voglio raccontarle ogni cosa, ragionare insieme sugli indizi.
Forse non dovrei coinvolgerla così tanto… si tratta pur sempre di neonati assassinati, non il più allegro degli argomenti.
È il mio primo vero caso… non so nemmeno da dove partire.
La legge stipulata da Felicity Green e dai Primi Cinquanta dopo il Risveglio prevede che qualsiasi bambino nato fuori dal sistema Match Mate venga immediatamente condotto al riciclo. Questo perché l’Endeavour non può produrre risorse per più di cinquecento persone e le nascite devono essere controllare in maniera scrupolosa, sia per garantire aria, cibo e acqua per tutti, sia per evitare il deterioramento del patrimonio genetico umano, dal momento che la sopravvivenza di una popolazione troppo ridotta, con variabilità limitata, causa l’insorgenza di numerose malattie genetiche.
Se i campioni dei neonati non sono stati riconosciuti dal sistema, vuol dire che non erano stati schedati. Ogni persona deve essere aggiunta al database con i propri dati biometrici completi, incluso un sequenziamento del genoma, per permettere ai sistemi della nave di controllare la compatibilità tra tutti i membri dell’equipaggio e individuare le coppie che abbiano la probabilità maggiore di procreare figli sani.
Il Diritto di Procreazione è un beneficio che viene assegnato ad una singola coppia ogni anno, estratta durante l’anniversario del Risveglio, il diciassette maggio. Si tratta dunque di un privilegio speciale e, seppur l’amore libero venga incentivato sulla nave, solo gli aventi diritto possono procreare. Questo dovrebbe far capire, a chiunque stia leggendo questo diario, quanto sia speciale, qui sull’Endeavour, generare dei figli propri e di conseguenza, quanto sembri assurdo che qualcuno se ne sbarazzi.
Non è così raro che nascano bambini illegali, soprattutto negli ultimi anelli della nave, nono e decimo, dove vanno a rifugiarsi le persone più mutate e sfortunate, che faticano ad attenersi alle leggi di procreazione, ma non avevo mai sentito di qualcuno che, volontariamente, si liberasse in segreto di un figlio.
Sto male nel sentirmi eccitata per il caso, ma il mio cervello non può ignorare la scarica di serotonina dovuta a uno stimolo fresco, qualcosa di nuovo da fare: non avevo mai condotto un’indagine!
Gli investigatori dei polizieschi sono sempre “i migliori” nel loro campo e lavorano notte e giorno per risolvere i casi che gli vengono assegnati, incuranti del pericolo e dotati di una forza di volontà e di abnegazione oltre l’umana comprensione. Quanto vorrei avere la stessa sicurezza… non ho che una frazione della loro esperienza, non so se sarò in grado di portare a termine il compito. Non so nemmeno se sarò altrettanto pronta ad affrontare pericoli che, in sincerità, spero davvero non si presentino. A dire il vero, non ho nemmeno lo stesso spirito di abnegazione… sono in trepidazione per questo caso, ma anche ora non penso ad altro che tornare da Teuila e condividerlo con lei. Voglio raccontarle ogni cosa, ragionare insieme sugli indizi.
Forse non dovrei coinvolgerla così tanto… si tratta pur sempre di neonati assassinati, non il più allegro degli argomenti.
È il mio primo vero caso… non so nemmeno da dove partire.
La legge stipulata da Felicity Green e dai Primi Cinquanta dopo il Risveglio prevede che qualsiasi bambino nato fuori dal sistema Match Mate venga immediatamente condotto al riciclo. Questo perché l’Endeavour non può produrre risorse per più di cinquecento persone e le nascite devono essere controllare in maniera scrupolosa, sia per garantire aria, cibo e acqua per tutti, sia per evitare il deterioramento del patrimonio genetico umano, dal momento che la sopravvivenza di una popolazione troppo ridotta, con variabilità limitata, causa l’insorgenza di numerose malattie genetiche.
Se i campioni dei neonati non sono stati riconosciuti dal sistema, vuol dire che non erano stati schedati. Ogni persona deve essere aggiunta al database con i propri dati biometrici completi, incluso un sequenziamento del genoma, per permettere ai sistemi della nave di controllare la compatibilità tra tutti i membri dell’equipaggio e individuare le coppie che abbiano la probabilità maggiore di procreare figli sani.
Il Diritto di Procreazione è un beneficio che viene assegnato ad una singola coppia ogni anno, estratta durante l’anniversario del Risveglio, il diciassette maggio. Si tratta dunque di un privilegio speciale e, seppur l’amore libero venga incentivato sulla nave, solo gli aventi diritto possono procreare. Questo dovrebbe far capire, a chiunque stia leggendo questo diario, quanto sia speciale, qui sull’Endeavour, generare dei figli propri e di conseguenza, quanto sembri assurdo che qualcuno se ne sbarazzi.
Non è così raro che nascano bambini illegali, soprattutto negli ultimi anelli della nave, nono e decimo, dove vanno a rifugiarsi le persone più mutate e sfortunate, che faticano ad attenersi alle leggi di procreazione, ma non avevo mai sentito di qualcuno che, volontariamente, si liberasse in segreto di un figlio.
Sto male nel sentirmi eccitata per il caso, ma il mio cervello non può ignorare la scarica di serotonina dovuta a uno stimolo fresco, qualcosa di nuovo da fare: non avevo mai condotto un’indagine!
12 maggio 3563
Nei film gialli gli assassini sono sempre dei geni del male, premeditano l’omicidio in ogni singolo dettaglio e hanno un piano complicato che rimane avvolto nel mistero fino alla fine. Gli investigatori ne seguono le tracce con grande difficoltà e cercano di mettere insieme i pezzi, senza riuscirci, finché alla fine, un singolo dettaglio fa quadrare tutto e la soluzione diventa chiara. Nella realtà, non so se sia così. Dagli articoli di cronaca che ci sono rimasti nel database non sembra che fossero molti i criminali disciplinati al punto da studiare un piano e attendere il momento più opportuno. Per quanto riguarda gli investigatori, dubito lavorassero tutti i giorni fino a tarda notte e che una singola rivelazione personale fosse sufficiente a unire una miriade di tasselli che, fino a un momento prima, sembravano scollegati.
Di certo, quando è partita l’Endeavour, nessuno si aspettava un tasso di criminalità superiore allo zero. I duecento passeggeri originali erano stati scelti con estrema cura. Dopotutto, si trattava delle prime persone scelte per terraformare Elpis: erano stati sottoposti a numerosi test ed erano stati seguiti da un gruppo di psicologi per prepararli a ciò che sarebbe venuto. Erano persone equilibrate, con un forte senso del dovere e una propensione per il lavoro di squadra.
Un’altra cosa che nessuno si aspettava era che dopo soli cinquant’anni metà di loro sarebbero stati svegliati dal sonno criogenico a causa della collisione con un asteroide e che dai cinquanta superstiti si sarebbe dovuta fondare una società in grado di durare oltre mille anni, con lo scopo di portare i cento, ancora addormentati, e il carico di embrioni, a destinazione. Il tutto senza impazzire o autodistruggersi ed essendo in grado di compiere l’atterraggio, dal momento che i sistemi di manovra della nave sono andati danneggiati.
Ci troviamo quindi sull’Endeavour con una popolazione parecchio diversa da quella di partenza, la maggior parte degli individui hanno problemi di salute, sia fisici che mentali. Le malattie genetiche imperversano a causa del ridotto numero di individui, il che provoca inevitabile ridondanza del codice genetico, portando in omozigosi dei caratteri recessivi che altrimenti non provocherebbero danni. Le persone soffrono per gli spazi ristretti, lo stile di vita artificioso e la mancanza di uno scopo che non sia un obiettivo proiettato molto più in là rispetto a quanto chiunque possa sperare di sopravvivere.
Questo per dire che ci troviamo sforniti dei mezzi per contrastare il disagio psicologico in cui versa buona parte dei passeggeri e, di sicuro, al momento della partenza, nessuno aveva nemmeno pensato di fornirci una preparazione adatta a contrastare crimini violenti. Molte altre navi sono in viaggio dietro la nostra, la prima dovrebbe arrivare pochi decenni dopo il nostro atterraggio. A malapena due generazioni, avranno pensato, di certo troppo poco tempo affinché i coloni abbiano problemi a tenere unita una popolazione nata da appena duecento individui in perfetta salute psicofisica.
Dunque, mi trovo a indagare su una serie di omicidi con poco più di un’infarinatura dei concetti di base: qualche videocorso, il mio istinto e una nebulosa di ore spese a guardare serie poliziesche.
Di certo, quando è partita l’Endeavour, nessuno si aspettava un tasso di criminalità superiore allo zero. I duecento passeggeri originali erano stati scelti con estrema cura. Dopotutto, si trattava delle prime persone scelte per terraformare Elpis: erano stati sottoposti a numerosi test ed erano stati seguiti da un gruppo di psicologi per prepararli a ciò che sarebbe venuto. Erano persone equilibrate, con un forte senso del dovere e una propensione per il lavoro di squadra.
Un’altra cosa che nessuno si aspettava era che dopo soli cinquant’anni metà di loro sarebbero stati svegliati dal sonno criogenico a causa della collisione con un asteroide e che dai cinquanta superstiti si sarebbe dovuta fondare una società in grado di durare oltre mille anni, con lo scopo di portare i cento, ancora addormentati, e il carico di embrioni, a destinazione. Il tutto senza impazzire o autodistruggersi ed essendo in grado di compiere l’atterraggio, dal momento che i sistemi di manovra della nave sono andati danneggiati.
Ci troviamo quindi sull’Endeavour con una popolazione parecchio diversa da quella di partenza, la maggior parte degli individui hanno problemi di salute, sia fisici che mentali. Le malattie genetiche imperversano a causa del ridotto numero di individui, il che provoca inevitabile ridondanza del codice genetico, portando in omozigosi dei caratteri recessivi che altrimenti non provocherebbero danni. Le persone soffrono per gli spazi ristretti, lo stile di vita artificioso e la mancanza di uno scopo che non sia un obiettivo proiettato molto più in là rispetto a quanto chiunque possa sperare di sopravvivere.
Questo per dire che ci troviamo sforniti dei mezzi per contrastare il disagio psicologico in cui versa buona parte dei passeggeri e, di sicuro, al momento della partenza, nessuno aveva nemmeno pensato di fornirci una preparazione adatta a contrastare crimini violenti. Molte altre navi sono in viaggio dietro la nostra, la prima dovrebbe arrivare pochi decenni dopo il nostro atterraggio. A malapena due generazioni, avranno pensato, di certo troppo poco tempo affinché i coloni abbiano problemi a tenere unita una popolazione nata da appena duecento individui in perfetta salute psicofisica.
Dunque, mi trovo a indagare su una serie di omicidi con poco più di un’infarinatura dei concetti di base: qualche videocorso, il mio istinto e una nebulosa di ore spese a guardare serie poliziesche.
* * *
Il laboratorio genetico si trovava sul secondo anello, proprio nel punto in cui era avvenuto l’impatto con l’asteroide che aveva provocato il Risveglio. Un terzo dell’anello era stato distrutto. L’equipaggio aveva salvato e aggiustato tutti i macchinari possibili, istituendo un laboratorio di fortuna nel terzo anello, in un magazzino svuotato dei materiali utilizzati per riparare il danno. Il nuovo laboratorio biologico era fondamentale per analizzare i campioni che entravano nella filiera del riciclo, per evitare di mandare in circolo batteri pericolosi.
Tessa non era mai entrata dove si svolgevano le procedure di riciclo, quando era capitato che fosse morto qualcuno che conosceva aveva sempre assistito all’ultimo saluto dall’altra parte del vetro. Aveva sempre preferito non pensare con cosa venisse concimato il terreno delle serre in cui crescevano frutta e verdura. Facevano tutti parte del grande cerchio della vita. O, come lo chiamava Sapati: il grande cerchio della cena.
Le porte si aprirono sparendo nelle pareti e un ambiente dai muri bianchi si parò davanti a loro. Gli addetti al riciclo si aggiravano coi camici abbottonati tra le barelle d’acciaio su cui i cadaveri erano coperti da lenzuola candide. Una porta che dava sulla sala dell’ultimo saluto si aprì e un medico vi trasportò attraverso una barella con il corpo di una donna a volto scoperto.
«Vivrà sempre nei nostri cuori», giunsero le voci di amici e familiari dal corridoio, attutite dal vetro, che recitavano la formula tradizionale. «Vivrà sempre dentro e attorno a noi, diventando parte dell’ecosistema della nave».
La porta si richiuse, tagliando il mormorio della veglia. Il medico coprì il volto dell’anziana e condusse il corpo al bioscanner, preparandolo per le ultime analisi prima di iniziare il processo di riciclo. Tessa e Sapati percorsero la stanza recandosi in un altro ambiente più avanti sulla destra, dove Connor sedeva davanti a un terminale, ingobbito sulla sedia.
«Ciao Connie», lo salutò Tessa poggiandogli una mano sulla spalla.
«Ciao Tess», disse lui senza staccare gli occhi dal monitor.
«Ci sono novità?».
«Il sistema ha finito di analizzare i dati un paio d’ore fa», spinse gli occhiali in cima al naso. «Ci stavo giusto dando un occhio».
Tessa e Sapati presero delle sedie e si accomodarono ai suoi lati.
«Finito il sequenziamento ho lanciato un’analisi comparativa contro il database genomico della nave per trovare le coppie genitoriali più simili», disse Connor. «Ho escluso tutti i genomi appartenenti a persone morte, troppo giovani o troppo anziane per concepire».
«Ha restituito molti risultati?», chiese Sapati.
«Parecchi: ventiquattro possibili genitori, tra padri e madri».
L’omone fischiò sgranando gli occhi.
«Contate che c’è un errore abbastanza ampio, le combinazioni genitoriali che possono aver generato i genomi di quei bambini sono elevate», disse Connor sollevando le spalle. «E per di più, i neonati non sono imparentati gli uni con gli altri».
«Il che non restringe il campo…», sospirò Tessa. «Il sistema non riesce a dirci, per ogni neonato, quali sono le coppie più probabili tra il pool dei ventiquattro candidati?».
«Sì», disse Connor. «Ma dalla percentuale di errore che ho visto… diciamo che avete la stessa probabilità di azzeccarle se indicaste due persone a caso con gli occhi bendati».
«Allora direi che non serve».
«Però una buona notizia c’è: risiedono tutti tra l’Ottavo, il Nono e il Decimo».
«Almeno non dovremo camminare troppo per interrogarli», disse Sapati con un sorriso sardonico.
L’analista inviò ai loro palmari la tabella dei ventiquattro indiziati. A ogni nome era associata la probabilità, espressa in percentuale, che avesse generato ciascuno dei cinque neonati morti. La lista era ordinata secondo l’ultimo campo: la cella abitativa assegnata a ciascun individuo.
«Grazie Connie», disse Tessa.
«Come vedi, le probabilità sono un po’ ballerine…».
«Variano tra…», Sapati avvicinò il volto allo schermo del palmare.
«Tra il quaranta e il novanta percento», disse Connor.
Tessa ravviò i capelli dietro alle orecchie e inclinò il capo di lato, studiando i numeri.
Tessa non era mai entrata dove si svolgevano le procedure di riciclo, quando era capitato che fosse morto qualcuno che conosceva aveva sempre assistito all’ultimo saluto dall’altra parte del vetro. Aveva sempre preferito non pensare con cosa venisse concimato il terreno delle serre in cui crescevano frutta e verdura. Facevano tutti parte del grande cerchio della vita. O, come lo chiamava Sapati: il grande cerchio della cena.
Le porte si aprirono sparendo nelle pareti e un ambiente dai muri bianchi si parò davanti a loro. Gli addetti al riciclo si aggiravano coi camici abbottonati tra le barelle d’acciaio su cui i cadaveri erano coperti da lenzuola candide. Una porta che dava sulla sala dell’ultimo saluto si aprì e un medico vi trasportò attraverso una barella con il corpo di una donna a volto scoperto.
«Vivrà sempre nei nostri cuori», giunsero le voci di amici e familiari dal corridoio, attutite dal vetro, che recitavano la formula tradizionale. «Vivrà sempre dentro e attorno a noi, diventando parte dell’ecosistema della nave».
La porta si richiuse, tagliando il mormorio della veglia. Il medico coprì il volto dell’anziana e condusse il corpo al bioscanner, preparandolo per le ultime analisi prima di iniziare il processo di riciclo. Tessa e Sapati percorsero la stanza recandosi in un altro ambiente più avanti sulla destra, dove Connor sedeva davanti a un terminale, ingobbito sulla sedia.
«Ciao Connie», lo salutò Tessa poggiandogli una mano sulla spalla.
«Ciao Tess», disse lui senza staccare gli occhi dal monitor.
«Ci sono novità?».
«Il sistema ha finito di analizzare i dati un paio d’ore fa», spinse gli occhiali in cima al naso. «Ci stavo giusto dando un occhio».
Tessa e Sapati presero delle sedie e si accomodarono ai suoi lati.
«Finito il sequenziamento ho lanciato un’analisi comparativa contro il database genomico della nave per trovare le coppie genitoriali più simili», disse Connor. «Ho escluso tutti i genomi appartenenti a persone morte, troppo giovani o troppo anziane per concepire».
«Ha restituito molti risultati?», chiese Sapati.
«Parecchi: ventiquattro possibili genitori, tra padri e madri».
L’omone fischiò sgranando gli occhi.
«Contate che c’è un errore abbastanza ampio, le combinazioni genitoriali che possono aver generato i genomi di quei bambini sono elevate», disse Connor sollevando le spalle. «E per di più, i neonati non sono imparentati gli uni con gli altri».
«Il che non restringe il campo…», sospirò Tessa. «Il sistema non riesce a dirci, per ogni neonato, quali sono le coppie più probabili tra il pool dei ventiquattro candidati?».
«Sì», disse Connor. «Ma dalla percentuale di errore che ho visto… diciamo che avete la stessa probabilità di azzeccarle se indicaste due persone a caso con gli occhi bendati».
«Allora direi che non serve».
«Però una buona notizia c’è: risiedono tutti tra l’Ottavo, il Nono e il Decimo».
«Almeno non dovremo camminare troppo per interrogarli», disse Sapati con un sorriso sardonico.
L’analista inviò ai loro palmari la tabella dei ventiquattro indiziati. A ogni nome era associata la probabilità, espressa in percentuale, che avesse generato ciascuno dei cinque neonati morti. La lista era ordinata secondo l’ultimo campo: la cella abitativa assegnata a ciascun individuo.
«Grazie Connie», disse Tessa.
«Come vedi, le probabilità sono un po’ ballerine…».
«Variano tra…», Sapati avvicinò il volto allo schermo del palmare.
«Tra il quaranta e il novanta percento», disse Connor.
Tessa ravviò i capelli dietro alle orecchie e inclinò il capo di lato, studiando i numeri.
Nome - N1 - N2 - N3 - N4 - N5 - Anello - Cella
Emma Johnson - 53% - 68% - 65% - 76% - 75% - 8 - 365
Ethan Thomson - 71% - 53% - 43% - 56% - 54% - 8 - 374
Olivia Davis - 66% - 47% - 79% - 68% - 66% - 8 - 380
Noah Wilson - 42% - 86% - 47% - 43% - 42% - 8 - 386
Sophia Roberts - 75% - 40% - 86% - 82% - 83% - 8 - 393
Liam Anderson - 82% - 73% - 41% - 62% - 61% - 8 - 396
Ava Martinez - 58% - 57% - 72% - 45% - 44% - 8 - 398
Mason Lee - 49% - 81% - 56% - 89% - 89% - 9 - 405
Isabella Scott - 85% - 62% - 84% - 52% - 51% - 9 - 409
Lucas Wright - 45% - 44% - 66% - 79% - 79% - 9 - 411
Mia Phillips - 79% - 78% - 49% - 47% - 46% - 9 - 422
Aiden Adams - 63% - 51% - 88% - 84% - 85% - 9 - 432
Harper Riguez - 43% - 88% - 60% - 66% - 67% - 9 - 437
Elijah Hernan - 89% - 65% - 45% - 40% - 41% - 9 - 448
Charlotte Bailey - 52% - 42% - 81% - 74% - 73% - 10 - 452
Logan Foster - 67% - 76% - 69% - 58% - 59% - 10 - 459
Amelia Campbell - 76% - 50% - 53% - 42% - 43% - 10 - 471
Benjamin Reed - 48% - 89% - 40% - 87% - 88% - 10 - 476
Abigail Turner - 81% - 59% - 77% - 54% - 53% - 10 - 482
James Morgan - 55% - 46% - 58% - 81% - 82% - 10 - 483
Evelyn Collins - 69% - 84% - 89% - 63% - 64% - 10 - 487
Daniel Cooper - 44% - 70% - 63% - 49% - 48% - 10 - 494
Emily Parker - 87% - 55% - 42% - 88% - 87% - 10 - 495
Samuel Mitchell - 60% - 41% - 75% - 70% - 70% - 10 - 498
Alcuni membri dell’equipaggio, come Noah Wilson ed Elijah Hernan mostravano percentuali altissime per quanto riguardava uno dei neonati e molto più modeste per tutti gli altri. Osservandoli così, sembrava lampante che Noah potesse essere il padre del secondo neonato mentre Elija fosse quello del primo. Allo stesso modo, Ava Martinez e Amelia Campbell, seppur con margini più modesti, potevano essere associate rispettivamente al terzo neonato e al primo. Tutto funzionava a meraviglia finché non si notavano nomi come Sophia Roberts, Mason Lee, Aiden Adams ed Emily Parker, i quali avevano percentuali altissime per molteplici neonati.
«Dicevi che i bambini non sono imparentati tra loro?».
«Esatto», Connor spinse gli occhiali sul naso.
«Allora come mai buona parte degli indiziati viene associata con una probabilità superiore all’ottanta percento a più neonati? Insomma, guarda Benjamin Reed, quasi il novanta percento per i neonati due, quattro e cinque».
«Per questo vi avvertivo che le barre d’errore sono enormi…», Connor incassò la testa tra le spalle e volse in alto i palmi delle mani. «Temo che i campioni non fossero nelle migliori condizioni, il DNA era parzialmente degradato e le analisi ne hanno risentito».
Tessa sbuffò.
«Per questo abbiamo trovato così tante corrispondenze», continuò l’analista. «E se avessi spostato il cut-off dal quaranta al trenta percento sarebbero raddoppiate… vi direi di non fare troppo affidamento sui numeri in questo caso».
«Allora fai una bella cosa», grugnì Sapati. «Elimina queste percentuali inutili».
«Beh adesso non esageriamo, non direi che siano in…».
«Finirebbero solo per crearci un bias mentale su chi possano essere i genitori di chi», lo interruppe l’omone. «Fai invece un controllo incrociato sulle mansioni e inseriscile nella tabella, non voglio passare ore ad aspettarli sulla porta di casa».
«Va bene, basta che non te la prenda con me», rise Connor iniziando a digitare sulla tastiera. «Ci vorrà giusto un momento».
Le righe di comando si susseguirono l’una con l’altra mentre l’analista lavorava e, dopo pochi minuti, inviò loro la tabella corretta.
«Dicevi che i bambini non sono imparentati tra loro?».
«Esatto», Connor spinse gli occhiali sul naso.
«Allora come mai buona parte degli indiziati viene associata con una probabilità superiore all’ottanta percento a più neonati? Insomma, guarda Benjamin Reed, quasi il novanta percento per i neonati due, quattro e cinque».
«Per questo vi avvertivo che le barre d’errore sono enormi…», Connor incassò la testa tra le spalle e volse in alto i palmi delle mani. «Temo che i campioni non fossero nelle migliori condizioni, il DNA era parzialmente degradato e le analisi ne hanno risentito».
Tessa sbuffò.
«Per questo abbiamo trovato così tante corrispondenze», continuò l’analista. «E se avessi spostato il cut-off dal quaranta al trenta percento sarebbero raddoppiate… vi direi di non fare troppo affidamento sui numeri in questo caso».
«Allora fai una bella cosa», grugnì Sapati. «Elimina queste percentuali inutili».
«Beh adesso non esageriamo, non direi che siano in…».
«Finirebbero solo per crearci un bias mentale su chi possano essere i genitori di chi», lo interruppe l’omone. «Fai invece un controllo incrociato sulle mansioni e inseriscile nella tabella, non voglio passare ore ad aspettarli sulla porta di casa».
«Va bene, basta che non te la prenda con me», rise Connor iniziando a digitare sulla tastiera. «Ci vorrà giusto un momento».
Le righe di comando si susseguirono l’una con l’altra mentre l’analista lavorava e, dopo pochi minuti, inviò loro la tabella corretta.
Nome - Mansione - Anello - Cella
Emma Johnson - Manutenzione sistemi - 8 - 365
Ethan Thomson - Controllo ambientale - 8 - 374
Olivia Davis - Sorveglianza - 8 - 380
Noah Wilson - Manutenzione scafo - 8 - 386
Sophia Roberts - Supporto vitale - 8 - 393
Liam Anderson - Stoccaggio - 8 - 396
Ava Martinez - Manutenzione serre - 8 - 398
Mason Lee - Controllo ambientale - 9 - 405
Isabella Scott - Supporto vitale - 9 - 409
Lucas Wright - Stoccaggio - 9 - 411
Mia Phillips - Sorveglianza - 9 - 422
Aiden Adams - Manutenzione sistemi - 9 - 432
Harper Riguez - Manutenzione scafo - 9 - 437
Elijah Hernan - Controllo ambientale - 9 - 448
Charlotte Bailey - Sorveglianza - 10 - 452
Logan Foster - Manutenzione serre - 10 - 459
Amelia Campbell - Stoccaggio - 10 - 471
Benjamin Reed - Supporto vitale - 10 - 476
Abigail Turner - Sorveglianza - 10 - 482
James Morgan - Manutenzione scafo - 10 - 483
Evelyn Collins - Manutenzione sistemi - 10 - 487
Daniel Cooper - Controllo ambientale - 10 - 494
Emily Parker - Stoccaggio - 10 - 495
Samuel Mitchell - Supporto vitale - 10 - 498
«Ottimo!», disse Tessa abbracciando il fratello d’incubazione.
«Tenetemi aggiornato».
«Dovrebbe essere questione di qualche giorno».
Uscirono dal dipartimento di riciclo, tornarono sui loro passi e, raggiunto il ponte alpha, si incamminarono verso la coda della nave.
«Non sarà facile interrogarli…», sospirò Tessa scorrendo la tabella sul palmare.
«Non è mai facile avere a che fare con gli abitanti degli ultimi anelli», disse Sapati. «E non mi sorprende che siano loro a essere coinvolti, è in coda alla nave che viene infranto più spesso il divieto di procreazione».
«Sono meno ligi alle regole», convenne Tessa. «Ma non credo siano da colpevolizzare, in molti non ragionano lucidamente a causa dello stato in cui versano».
«Hai ragione», l’omone si grattò la testa. «A volte dimentico quanto io e Teuila siamo fortunati a discendere in maniera così ravvicinata da un’incubata».
«Per questo Padre Radislav predica una maggior mescolanza tra gli anelli. Vostra madre si è più volte spesa sullo stesso tema».
«Gli anelli di testa scelgono di ignorare quelli di coda, ed è proprio per questo che diventeranno un problema per tutti», disse Sapati impostando la voce. «Ricordo alcuni suoi discorsi come fosse ieri che faceva la ramanzina a mezzo equipaggio. Ci ha tempestati così tanto che ripeto le stesse parole senza nemmeno accorgermene».
«Non credo sia un male, finché sono giuste».
«E senza bisogno di adorare un mezzo di locomozione».
«Aveva ragione», disse Tessa ignorando la frecciatina. «L’indifferenza verso un problema non può che portare all’aggravarsi della situazione. Non è sano che le persone si separino in base alla purezza del genoma».
«Non è che sia una suddivisione così consapevole».
Tessa lo squadrò sollevando le sopracciglia.
«Dico solo che non li si sta deportando negli ultimi anelli…».
«Certo che no, ma l’effetto è lo stesso: vengono pian piano segregati sul fondo della nave».
«Ma non vi è cattiveria… è solo che la parte sana dell’equipaggio li trova grotteschi e li sopporta malvolentieri», l’omone corrucciò il viso. «Mi è uscita parecchio male, non suonava così crudele nella mia testa…».
«Alle volte è difficile averci a che fare, concordo», disse Tessa. «Ma non credi che la separazione non faccia altro che acuire il problema?».
«Senza ombra di dubbio. È solo che la vedo dura giungere a una convivenza pacifica. Anche solo parlare con alcuni di loro per più di cinque minuti ti fa ribollire il cervello: sono carenti nelle più basilari abilità sociali, si esprimono in maniera criptica, hanno sbalzi d’umore e sono poco accomodanti in generale».
«Beh diciamo che la pazienza non è proprio nella “top ten” delle tue qualità…».
«È già incredibile che tu sia riuscita a pensare a dieci voci da inserire!», Sapati rise di gusto.
«Ne depennerò una per far posto all’autoironia».
L’omone si fece serio.
«Quale cancelleresti?».
«Non vuoi saperlo, fidati».
Sapati rise ancora.
«In ogni caso», continuò. «La gente ha già i suoi problemi, sono in tanti a giocarsela sulla lama di un coltello. La sanità mentale, intendo. Non puoi chiedergli di accollarsi anche loro».
«Non sto dicendo che tu non abbia ragione», disse Tessa. «Ma siamo su quest’astronave tutti insieme e ci resteremo fino alla nostra morte. Vale la pena di fare uno sforzo per eliminare una divisione poco sana prima che diventi un problema serio».
«Ammesso che non lo sia già».
«Secondo Padre Radislav c’è tempo».
«A proposito del prete…», disse Sapati. «Quel tizio mi mette i brividi! Lui e la sua setta…».
«Non la chiamerei setta…», disse Tessa guardando oltre i vetri dove le stelle non erano che puntini luminosi. «Sembra così dispregiativo… in fondo sono brave persone».
«Non scambiare la follia per gentilezza».
«Non credo si possano scambiare l’una per l’alt…».
«Adorano l’Endeavour come se fosse una divinità, Tessa», continuò l’omone ormai in preda alla foga. «Una divinità! Cazzo!».
«Hanno bisogno di credere in qualcosa…».
«Come pensi sia possibile avere a che fare con questa gente tutti i giorni? Pensa se facessero messa in ogni…».
«Io ci ho a che fare da sempre», lo interruppe Tessa. «E mi pare di essere sopravvissuta».
«Questo perché quel prete ti è stato vicino fin dalla nascita. Tu e tutti i nati dagli embrioni vi siete abituati alle loro assurdità, quelli di voi che non sono caduti preda delle stesse fandonie vi sono quantomeno acclimatati e non vi infastidiscono più. C’è premeditazione in questo comportamento, ecco cosa mi spaventa».
Tessa corrucciò le sopracciglia e spostò lo sguardo sul pavimento. Essendo nata senza genitori non aveva conosciuto l’affetto materno, era stata cresciuta dagli automatismi della nave e dagli addetti alla cura dei bambini, il primo essere umano che si era approcciato a lei come un genitore era Padre Radislav. Era lui che l’aveva consolata quando si era sentita sola, che aveva risposto alle sue domande quando per gli addetti erano diventate troppe. Era anche la prima persona a cui aveva confessato di sentirsi attratta dalle ragazze e lui le aveva detto una cosa che non aveva mai dimenticato: sei una bambina della Nave, se l’Endeavour ti ha scelta, vuol dire che sei perfetta così come sei. Si era sentita giusta, al sicuro, libera di esprimere chi fosse veramente. Crescendo, si era allontanata dalla visione del prete su molte faccende, la saggezza e lo studio non avrebbero potuto fare altrimenti, ma le era rimasto un sentimento di affetto per la figura paterna che Radislav aveva rappresentato.
«Scusa…», disse Sapati poggiandole una mano sulla spalla. «Ho esagerato».
Tessa gli rivolse un sorriso tirato ma gli strinse la mano.
«Mettiamoci al lavoro, abbiamo un bel giro di domande da fare».
La paratia del ponte alpha si aprì ed entrarono nella stanza di congiunzione. Tessa prese il palmare e aprì la lista, vi erano sette residenti nell’ottavo anello e, non avendo altri elementi, decise di partire dal primo e andare con ordine.
Trovarono Emma Johnson nella sua cabina, intenta a fare un pediluvio per scrostare le squame di pelle morta dagli arti inferiori, sintomo dell’ittiosi di cui aveva una forma grave che faceva rassomigliare la sua pelle a quella di un rettile in perenne muta. Non ricordava dove si trovava le notti precedenti ai ritrovamenti dei neonati ma affermava di muoversi di rado dall’appartamento. Ethan Thompson era nella sala caldaie, dietro l’anta di un pannello, al lavoro sul circuito elettrico che ne gestiva accensione e spegnimento. Scatarrava in un fazzoletto il denso muco dovuto alla fibrosi cistica e respirava a fatica. Disse che non ne sapeva niente e nemmeno gli importava. Olivia Davis si trovava nella sua cabina ma era preda della corea di Huntington e non riusciva a rispondere in maniera coerente alle domande, si limitava a balbettare e non era nemmeno chiaro se avesse compreso cosa le stavano chiedendo. Noah Wilson si aggirava nelle serre spazzando il pavimento, facendo oscillare la scopa in maniera lenta e ritmica, un passo dopo l’altro. Il colorito biancastro dovuto all’anemia falciforme lo faceva apparire come un fantasma alla luce intensa della serra. Si volse verso di loro al rallentatore e, un respiro dopo l’altro, concatenò risposte lacunose a una serie di insulti razzisti che Sapati si lasciò scivolare addosso.
Trascorsero diverse ore girando per la nave, parlando coi membri dell’equipaggio, senza mai trovare risposta alle loro domande. Arrivati a metà della lista, Tessa decretò che fosse abbastanza per una sola giornata e finirono il giro nel nono anello, alla cabina quattrocentoventidue, vicino alla serra diciassette, nei pressi del ponte gamma. Stanchi e demoralizzati.
«Temo ti toccherà sopportare una dose di Padre Radislav anche oggi», disse Tessa sperando di non stargli infliggendo il colpo di grazia. «A quest’ora tiene messa qui vicino».
«Potrebbe essere stato più fortunato di noi», sospirò Sapati non trovando nulla da ribattere. «Dopotutto, questa è la sua gente».
Percorsero i corridoi del Nono fino a raggiungere la paratia del ponte alpha, poi svoltarono verso il centro dell’anello e salirono al terzo piano, quello che secondo il culto era più sacro perché si trovava più vicino all’asse di rotazione della nave. Tessa sospettava che i preti avrebbero tenuto messa nel corpo centrale dell’Endeavour, di fianco ai motori ad antimateria, se solo la zona non fosse stata ad accesso riservato e sottoposta a rigorosi controlli.
Mentre si avvicinavano alla stanza adibita a cappella iniziarono a sentire i colpi di metallo sul metallo. Una decina di fedeli erano inginocchiati a terra con i palmi delle mani e la fronte premuti sul freddo pavimento. Padre Radislav era nella stessa posa, indossava i guanti con la piastrina e batteva il pugno a terra mentre salmodiava.
«Tenetemi aggiornato».
«Dovrebbe essere questione di qualche giorno».
Uscirono dal dipartimento di riciclo, tornarono sui loro passi e, raggiunto il ponte alpha, si incamminarono verso la coda della nave.
«Non sarà facile interrogarli…», sospirò Tessa scorrendo la tabella sul palmare.
«Non è mai facile avere a che fare con gli abitanti degli ultimi anelli», disse Sapati. «E non mi sorprende che siano loro a essere coinvolti, è in coda alla nave che viene infranto più spesso il divieto di procreazione».
«Sono meno ligi alle regole», convenne Tessa. «Ma non credo siano da colpevolizzare, in molti non ragionano lucidamente a causa dello stato in cui versano».
«Hai ragione», l’omone si grattò la testa. «A volte dimentico quanto io e Teuila siamo fortunati a discendere in maniera così ravvicinata da un’incubata».
«Per questo Padre Radislav predica una maggior mescolanza tra gli anelli. Vostra madre si è più volte spesa sullo stesso tema».
«Gli anelli di testa scelgono di ignorare quelli di coda, ed è proprio per questo che diventeranno un problema per tutti», disse Sapati impostando la voce. «Ricordo alcuni suoi discorsi come fosse ieri che faceva la ramanzina a mezzo equipaggio. Ci ha tempestati così tanto che ripeto le stesse parole senza nemmeno accorgermene».
«Non credo sia un male, finché sono giuste».
«E senza bisogno di adorare un mezzo di locomozione».
«Aveva ragione», disse Tessa ignorando la frecciatina. «L’indifferenza verso un problema non può che portare all’aggravarsi della situazione. Non è sano che le persone si separino in base alla purezza del genoma».
«Non è che sia una suddivisione così consapevole».
Tessa lo squadrò sollevando le sopracciglia.
«Dico solo che non li si sta deportando negli ultimi anelli…».
«Certo che no, ma l’effetto è lo stesso: vengono pian piano segregati sul fondo della nave».
«Ma non vi è cattiveria… è solo che la parte sana dell’equipaggio li trova grotteschi e li sopporta malvolentieri», l’omone corrucciò il viso. «Mi è uscita parecchio male, non suonava così crudele nella mia testa…».
«Alle volte è difficile averci a che fare, concordo», disse Tessa. «Ma non credi che la separazione non faccia altro che acuire il problema?».
«Senza ombra di dubbio. È solo che la vedo dura giungere a una convivenza pacifica. Anche solo parlare con alcuni di loro per più di cinque minuti ti fa ribollire il cervello: sono carenti nelle più basilari abilità sociali, si esprimono in maniera criptica, hanno sbalzi d’umore e sono poco accomodanti in generale».
«Beh diciamo che la pazienza non è proprio nella “top ten” delle tue qualità…».
«È già incredibile che tu sia riuscita a pensare a dieci voci da inserire!», Sapati rise di gusto.
«Ne depennerò una per far posto all’autoironia».
L’omone si fece serio.
«Quale cancelleresti?».
«Non vuoi saperlo, fidati».
Sapati rise ancora.
«In ogni caso», continuò. «La gente ha già i suoi problemi, sono in tanti a giocarsela sulla lama di un coltello. La sanità mentale, intendo. Non puoi chiedergli di accollarsi anche loro».
«Non sto dicendo che tu non abbia ragione», disse Tessa. «Ma siamo su quest’astronave tutti insieme e ci resteremo fino alla nostra morte. Vale la pena di fare uno sforzo per eliminare una divisione poco sana prima che diventi un problema serio».
«Ammesso che non lo sia già».
«Secondo Padre Radislav c’è tempo».
«A proposito del prete…», disse Sapati. «Quel tizio mi mette i brividi! Lui e la sua setta…».
«Non la chiamerei setta…», disse Tessa guardando oltre i vetri dove le stelle non erano che puntini luminosi. «Sembra così dispregiativo… in fondo sono brave persone».
«Non scambiare la follia per gentilezza».
«Non credo si possano scambiare l’una per l’alt…».
«Adorano l’Endeavour come se fosse una divinità, Tessa», continuò l’omone ormai in preda alla foga. «Una divinità! Cazzo!».
«Hanno bisogno di credere in qualcosa…».
«Come pensi sia possibile avere a che fare con questa gente tutti i giorni? Pensa se facessero messa in ogni…».
«Io ci ho a che fare da sempre», lo interruppe Tessa. «E mi pare di essere sopravvissuta».
«Questo perché quel prete ti è stato vicino fin dalla nascita. Tu e tutti i nati dagli embrioni vi siete abituati alle loro assurdità, quelli di voi che non sono caduti preda delle stesse fandonie vi sono quantomeno acclimatati e non vi infastidiscono più. C’è premeditazione in questo comportamento, ecco cosa mi spaventa».
Tessa corrucciò le sopracciglia e spostò lo sguardo sul pavimento. Essendo nata senza genitori non aveva conosciuto l’affetto materno, era stata cresciuta dagli automatismi della nave e dagli addetti alla cura dei bambini, il primo essere umano che si era approcciato a lei come un genitore era Padre Radislav. Era lui che l’aveva consolata quando si era sentita sola, che aveva risposto alle sue domande quando per gli addetti erano diventate troppe. Era anche la prima persona a cui aveva confessato di sentirsi attratta dalle ragazze e lui le aveva detto una cosa che non aveva mai dimenticato: sei una bambina della Nave, se l’Endeavour ti ha scelta, vuol dire che sei perfetta così come sei. Si era sentita giusta, al sicuro, libera di esprimere chi fosse veramente. Crescendo, si era allontanata dalla visione del prete su molte faccende, la saggezza e lo studio non avrebbero potuto fare altrimenti, ma le era rimasto un sentimento di affetto per la figura paterna che Radislav aveva rappresentato.
«Scusa…», disse Sapati poggiandole una mano sulla spalla. «Ho esagerato».
Tessa gli rivolse un sorriso tirato ma gli strinse la mano.
«Mettiamoci al lavoro, abbiamo un bel giro di domande da fare».
La paratia del ponte alpha si aprì ed entrarono nella stanza di congiunzione. Tessa prese il palmare e aprì la lista, vi erano sette residenti nell’ottavo anello e, non avendo altri elementi, decise di partire dal primo e andare con ordine.
Trovarono Emma Johnson nella sua cabina, intenta a fare un pediluvio per scrostare le squame di pelle morta dagli arti inferiori, sintomo dell’ittiosi di cui aveva una forma grave che faceva rassomigliare la sua pelle a quella di un rettile in perenne muta. Non ricordava dove si trovava le notti precedenti ai ritrovamenti dei neonati ma affermava di muoversi di rado dall’appartamento. Ethan Thompson era nella sala caldaie, dietro l’anta di un pannello, al lavoro sul circuito elettrico che ne gestiva accensione e spegnimento. Scatarrava in un fazzoletto il denso muco dovuto alla fibrosi cistica e respirava a fatica. Disse che non ne sapeva niente e nemmeno gli importava. Olivia Davis si trovava nella sua cabina ma era preda della corea di Huntington e non riusciva a rispondere in maniera coerente alle domande, si limitava a balbettare e non era nemmeno chiaro se avesse compreso cosa le stavano chiedendo. Noah Wilson si aggirava nelle serre spazzando il pavimento, facendo oscillare la scopa in maniera lenta e ritmica, un passo dopo l’altro. Il colorito biancastro dovuto all’anemia falciforme lo faceva apparire come un fantasma alla luce intensa della serra. Si volse verso di loro al rallentatore e, un respiro dopo l’altro, concatenò risposte lacunose a una serie di insulti razzisti che Sapati si lasciò scivolare addosso.
Trascorsero diverse ore girando per la nave, parlando coi membri dell’equipaggio, senza mai trovare risposta alle loro domande. Arrivati a metà della lista, Tessa decretò che fosse abbastanza per una sola giornata e finirono il giro nel nono anello, alla cabina quattrocentoventidue, vicino alla serra diciassette, nei pressi del ponte gamma. Stanchi e demoralizzati.
«Temo ti toccherà sopportare una dose di Padre Radislav anche oggi», disse Tessa sperando di non stargli infliggendo il colpo di grazia. «A quest’ora tiene messa qui vicino».
«Potrebbe essere stato più fortunato di noi», sospirò Sapati non trovando nulla da ribattere. «Dopotutto, questa è la sua gente».
Percorsero i corridoi del Nono fino a raggiungere la paratia del ponte alpha, poi svoltarono verso il centro dell’anello e salirono al terzo piano, quello che secondo il culto era più sacro perché si trovava più vicino all’asse di rotazione della nave. Tessa sospettava che i preti avrebbero tenuto messa nel corpo centrale dell’Endeavour, di fianco ai motori ad antimateria, se solo la zona non fosse stata ad accesso riservato e sottoposta a rigorosi controlli.
Mentre si avvicinavano alla stanza adibita a cappella iniziarono a sentire i colpi di metallo sul metallo. Una decina di fedeli erano inginocchiati a terra con i palmi delle mani e la fronte premuti sul freddo pavimento. Padre Radislav era nella stessa posa, indossava i guanti con la piastrina e batteva il pugno a terra mentre salmodiava.
CLANG!
Vascello d’acciaio, che solchi lo spazio,
sia santificato il tuo nome.
CLANG!
Tu che ci guidi nei momenti più bui,
sia fatta la tua volontà.
CLANG!
Tu che ci hai dato la vita,
nutri oggi i nostri corpi malsani,
come in passato così in futuro.
CLANG!
Tu che custodisci i genomi,
analizza il nostro codice
e liberaci dalle malattie.
CLANG!
Tuo è il regno,
la potenza e la gloria,
nei secoli dei secoli.
Amen.
CLANG!
I fedeli scollarono la fronte da terra e iniziarono a ondeggiare a destra e a sinistra, intonando una nota bassa, gutturale, che somigliava al rumore dei motori che facevano vibrare lo scafo.
«Lasciate che il Rombo vi pervada», disse Padre Radislav. «Lo percepite? Vi raggiunge dal pavimento, carezza le vostre membra. Lasciatelo entrare. Fate un respiro profondo e accoglietelo, fate sì che si diffonda in tutto il vostro corpo. Sintonizzatevi con esso».
Il Prete si unì al coro e loro armonizzarono con la sua nota.
Sapati le lanciò uno sguardo di sottecchi.
Tessa fece spallucce, alcune usanze della chiesa erano… peculiari.
La nota gutturale divenne penetrante mentre i fedeli cercavano di entrare in sintonia con il rombo della nave, arricchendosi di armoniche acute, finché alcuni di loro iniziarono a ululare come lupi. Avevano gli occhi chiusi ma, in qualche modo, il loro ondeggiare caotico divenne un moto sincrono, come una squadra di danzatori che mette in atto una coreografia. A un certo punto, Padre Radislav smise di intonare il canto e aprì gli occhi.
«Siete uno con la Nave».
I fedeli si zittirono e sollevarono le palpebre.
«Siamo uno con la Nave», dissero in coro.
«Che il Rombo sia con voi», disse il prete unendo le mani e chinando il capo.
«E con il tuo genoma».
Si alzarono e uscirono dalla cappella in fila indiana, senza degnarli di uno sguardo. Padre Radislav, al contrario, tenne loro gli occhi puntati addosso mentre la processione lasciava la stanza e sembrò non battere le palpebre finché non furono entrati. La cappella era spoglia, gli unici elementi oltre al pavimento e alle pareti erano una pila di lastre di metallo in un angolo e un cumulo di bulloni in un altro.
«Il Rombo sia con te, Figlia della Nave», disse facendole un cenno col capo, poi abbozzò un sorriso in direzione di Sapati. «È bello vedervi a messa».
«Salve Padre», disse Tessa. «Non sono venuta per la messa, ma per chiederti se hai fatto quelle domande che avevi detto avresti fatto».
«Poca fortuna con le indagini?».
«Direi nessuna fortuna con le indagini», si avvicinò al prete mentre Sapati andava ad appoggiarsi al muro, dando le spalle all’Occhio di Sauron. «Speriamo che siano più inclini a parlare con una delle loro guide spirituali».
«Non è fantastica?», Radislav si avvicinò alla finestra. «È come se l’universo stesso ci tenesse sott’occhio, come un padre amorevole, oppure…».
Li guardò entrambi negli occhi.
«…oppure come se l’universo stesso si fosse fatto spuntare un occhio pur di osservare il più interessante dei fenomeni: l’eterno volo di un Dio e dei seguaci che trasporta al suo interno».
«È una nebulosa che sembra un occhio», disse Sapati con una punta d’asprezza nella voce. «Non il contrario».
«Hai sempre preso tutto troppo alla lettera…», disse il prete.
Sapati corrucciò la fronte e distaccò la schiena dalla parete. Tessa per un momento temette che si sarebbe lanciato sul vecchio emaciato, riducendolo a una poltiglia, ma l’omone si limitò a uno sguardo in cagnesco.
«Venga al punto, padre».
«Il punto è che, proprio come l’Occhio di Dio, io sono qui per osservare il mio gregge, per vederlo crescere e prosperare», si allontanò dalla finestra e andò a chiudere la porta. «Sono qui per guidarli, non per controllarli».
«In altre parole», disse Sapati. «Non hai avuto fortuna nemmeno tu».
«È un altro modo di dirlo, sì», disse Radislav portandosi al centro della cappella. «Accomodatevi».
Tessa e Sapati si guardarono intorno.
«A terra», li incalzò Radislav sedendosi sul pavimento. «A contatto con lo scafo!».
Tessa fece spallucce e si sedette a gambe incrociate, Sapati la imitò con un grugnito.
L’acciaio era freddo, piatto e duro.
«Sapete perché ho costruito qui la cappella? Siamo al terzo piano, il più vicino al cuore dell’Endeavour, e direttamente sopra di noi vi è uno dei tre ponti che connettono il Nono alla struttura centrale della nave, proprio in prossimità del motore ad antimateria di coda».
Tessa e Sapati si guardarono l’un l’altra.
«Vuol dire che questa camera è uno dei punti della nave dove le vibrazioni dei motori si propagano con maggior enfasi, è il luogo perfetto per la preghiera», continuò il prete, poi chiuse gli occhi. «Ascoltatelo, il Rombo, il vivo pulsare dell’Endeavour. Raggiunge questa stanza che funge da epicentro per il suo propagarsi nel resto dell’anello. Ascoltatelo. Così flebile ma perpetuo e rilassante».
«Non siamo venuti per uno spot pubblicitario», disse Sapati. «Né per beccarci uno sproloquio sulle vostre assurdità».
«Beati saranno coloro che vibreranno in sincronia con la Nave», disse Radislav rivolgendogli un sorriso tirato che mise in mostra dei denti anneriti. «Tuttavia, per alcuni non c’è speranza».
«Siamo tutti dalla stessa parte», disse Tessa. «Lasciate le discussioni teologiche per un’altra volta».
«Quello che cercavo di farvi capire…», disse il prete. «È che nessuno dei fedeli mentirebbe mai e nemmeno ometterebbe la verità o nasconderebbe quella di altri nel caso ne fosse al corrente».
«Come fai a esserne così sicuro?».
«Perché mentire a me, soprattutto in questo luogo, sarebbe come mentire alla Nave».
«Siete una setta, va bene», disse Sapati. «Questo lo sapevo già».
«Siamo trasparenti», lo corresse Radislav. «Siamo onesti coi nostri fratelli e sorelle, poiché le nostre azioni sono guidate dalla Nave e non da impulsi egoistici come capita agli altri».
«Stai dicendo che nessuno ti ha saputo dire niente?», chiese Tessa.
«E?», la incalzò Radislav.
Tessa aggrottò le sopracciglia.
«E che le persone implicate non sono fedeli della chiesa».
«Esatto. Ora alzatevi e andate, il Rombo dell’Endeavour sia con voi».
«E con il tuo genoma», disse Tessa sorprendendosi nel pronunciare le parole di rito.
Uscirono dalla cappella e percorsero ancora una volta i ponti in direzione della testa della nave, tornando al terzo anello dove avevano i loro alloggi.
«Gli credi?», chiese Sapati.
«Credo sia sincero», disse Tessa. «Il che non vuol dire che abbia ragione».
«Lasciate che il Rombo vi pervada», disse Padre Radislav. «Lo percepite? Vi raggiunge dal pavimento, carezza le vostre membra. Lasciatelo entrare. Fate un respiro profondo e accoglietelo, fate sì che si diffonda in tutto il vostro corpo. Sintonizzatevi con esso».
Il Prete si unì al coro e loro armonizzarono con la sua nota.
Sapati le lanciò uno sguardo di sottecchi.
Tessa fece spallucce, alcune usanze della chiesa erano… peculiari.
La nota gutturale divenne penetrante mentre i fedeli cercavano di entrare in sintonia con il rombo della nave, arricchendosi di armoniche acute, finché alcuni di loro iniziarono a ululare come lupi. Avevano gli occhi chiusi ma, in qualche modo, il loro ondeggiare caotico divenne un moto sincrono, come una squadra di danzatori che mette in atto una coreografia. A un certo punto, Padre Radislav smise di intonare il canto e aprì gli occhi.
«Siete uno con la Nave».
I fedeli si zittirono e sollevarono le palpebre.
«Siamo uno con la Nave», dissero in coro.
«Che il Rombo sia con voi», disse il prete unendo le mani e chinando il capo.
«E con il tuo genoma».
Si alzarono e uscirono dalla cappella in fila indiana, senza degnarli di uno sguardo. Padre Radislav, al contrario, tenne loro gli occhi puntati addosso mentre la processione lasciava la stanza e sembrò non battere le palpebre finché non furono entrati. La cappella era spoglia, gli unici elementi oltre al pavimento e alle pareti erano una pila di lastre di metallo in un angolo e un cumulo di bulloni in un altro.
«Il Rombo sia con te, Figlia della Nave», disse facendole un cenno col capo, poi abbozzò un sorriso in direzione di Sapati. «È bello vedervi a messa».
«Salve Padre», disse Tessa. «Non sono venuta per la messa, ma per chiederti se hai fatto quelle domande che avevi detto avresti fatto».
«Poca fortuna con le indagini?».
«Direi nessuna fortuna con le indagini», si avvicinò al prete mentre Sapati andava ad appoggiarsi al muro, dando le spalle all’Occhio di Sauron. «Speriamo che siano più inclini a parlare con una delle loro guide spirituali».
«Non è fantastica?», Radislav si avvicinò alla finestra. «È come se l’universo stesso ci tenesse sott’occhio, come un padre amorevole, oppure…».
Li guardò entrambi negli occhi.
«…oppure come se l’universo stesso si fosse fatto spuntare un occhio pur di osservare il più interessante dei fenomeni: l’eterno volo di un Dio e dei seguaci che trasporta al suo interno».
«È una nebulosa che sembra un occhio», disse Sapati con una punta d’asprezza nella voce. «Non il contrario».
«Hai sempre preso tutto troppo alla lettera…», disse il prete.
Sapati corrucciò la fronte e distaccò la schiena dalla parete. Tessa per un momento temette che si sarebbe lanciato sul vecchio emaciato, riducendolo a una poltiglia, ma l’omone si limitò a uno sguardo in cagnesco.
«Venga al punto, padre».
«Il punto è che, proprio come l’Occhio di Dio, io sono qui per osservare il mio gregge, per vederlo crescere e prosperare», si allontanò dalla finestra e andò a chiudere la porta. «Sono qui per guidarli, non per controllarli».
«In altre parole», disse Sapati. «Non hai avuto fortuna nemmeno tu».
«È un altro modo di dirlo, sì», disse Radislav portandosi al centro della cappella. «Accomodatevi».
Tessa e Sapati si guardarono intorno.
«A terra», li incalzò Radislav sedendosi sul pavimento. «A contatto con lo scafo!».
Tessa fece spallucce e si sedette a gambe incrociate, Sapati la imitò con un grugnito.
L’acciaio era freddo, piatto e duro.
«Sapete perché ho costruito qui la cappella? Siamo al terzo piano, il più vicino al cuore dell’Endeavour, e direttamente sopra di noi vi è uno dei tre ponti che connettono il Nono alla struttura centrale della nave, proprio in prossimità del motore ad antimateria di coda».
Tessa e Sapati si guardarono l’un l’altra.
«Vuol dire che questa camera è uno dei punti della nave dove le vibrazioni dei motori si propagano con maggior enfasi, è il luogo perfetto per la preghiera», continuò il prete, poi chiuse gli occhi. «Ascoltatelo, il Rombo, il vivo pulsare dell’Endeavour. Raggiunge questa stanza che funge da epicentro per il suo propagarsi nel resto dell’anello. Ascoltatelo. Così flebile ma perpetuo e rilassante».
«Non siamo venuti per uno spot pubblicitario», disse Sapati. «Né per beccarci uno sproloquio sulle vostre assurdità».
«Beati saranno coloro che vibreranno in sincronia con la Nave», disse Radislav rivolgendogli un sorriso tirato che mise in mostra dei denti anneriti. «Tuttavia, per alcuni non c’è speranza».
«Siamo tutti dalla stessa parte», disse Tessa. «Lasciate le discussioni teologiche per un’altra volta».
«Quello che cercavo di farvi capire…», disse il prete. «È che nessuno dei fedeli mentirebbe mai e nemmeno ometterebbe la verità o nasconderebbe quella di altri nel caso ne fosse al corrente».
«Come fai a esserne così sicuro?».
«Perché mentire a me, soprattutto in questo luogo, sarebbe come mentire alla Nave».
«Siete una setta, va bene», disse Sapati. «Questo lo sapevo già».
«Siamo trasparenti», lo corresse Radislav. «Siamo onesti coi nostri fratelli e sorelle, poiché le nostre azioni sono guidate dalla Nave e non da impulsi egoistici come capita agli altri».
«Stai dicendo che nessuno ti ha saputo dire niente?», chiese Tessa.
«E?», la incalzò Radislav.
Tessa aggrottò le sopracciglia.
«E che le persone implicate non sono fedeli della chiesa».
«Esatto. Ora alzatevi e andate, il Rombo dell’Endeavour sia con voi».
«E con il tuo genoma», disse Tessa sorprendendosi nel pronunciare le parole di rito.
Uscirono dalla cappella e percorsero ancora una volta i ponti in direzione della testa della nave, tornando al terzo anello dove avevano i loro alloggi.
«Gli credi?», chiese Sapati.
«Credo sia sincero», disse Tessa. «Il che non vuol dire che abbia ragione».
* * *
Uno dei motivi principali per cui non mi sono mai unita alla chiesa, oltre alla generale assurdità del culto, è stato quello di vederli pregare tutti insieme. Padre Radislav mi ha portata a messa qualche volta quando ero piccola, per presentarmi agli altri incubati che si erano uniti alla chiesa e, mi divenne chiaro in seguito, per mostrarmi alla stregua di un trofeo ai fedeli, come fossi una reliquia vivente del loro Dio di metallo. Mi ha sempre fatto un certo effetto vederli svolgere i loro riti. Vederli ondeggiare a ritmo, ululando in coro e premendo la fronte sul pavimento per entrare in sintonia con la vibrazione dei motori. Provavo un senso di ansia e disagio che non sapevo identificare.
Poi, una sera, mentre guardavo un film con Sapati e Teuila, mi divenne tutto chiaro e focalizzai il problema: mi ricordavano gli adoratori di Kali in Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
Se qualcuno dovesse mai leggere questo diario: i dati relativi a quel film sono in deterioramento, inizia a vedersi del pulviscolo per l’intera durata e qualche frame si è corrotto da molto prima che nascessi. Alcune scene sono incomplete, ho chiesto a tutti sulla nave ma non sono riuscita a scoprire se il cervello di scimmia l’abbiano mangiato oppure no. Sinceramente, spero di no… in ogni caso, mi auguro che il film sia arrivato ancora integro su Elpis, è un’opera degna di nota che merita di essere vista ed è necessaria per comprendere il parallelismo. Non mi offenderò se, leggendo queste parole, doveste sentire il bisogno di chiudere il diario e andare a vedere il film prima di continuare a farvi gli affari miei. Forse, prima di morire lo distruggerò (il diario, non il film), togliendovi la tentazione…
A mettermi inquietudine è l’obnubilazione delle loro menti. Aborro l’idea stessa di rimettere il controllo delle mie azioni alla volontà di qualcun altro, di qualcos’altro. Mi sembra un facile espediente per privare di ogni peso le proprie decisioni, di scaricare le responsabilità. Un modo di commettere i peggiori crimini sentendosi allo stesso tempo la coscienza a posto, ripulita da un essere superiore inesistente.
Nonostante le mie preoccupazioni riguardo alla chiesa, le parole di Padre Radislav hanno una logica inconfutabile: i fedeli non avrebbero mai procreato al di fuori del sistema Match Mate. Considerano l’algoritmo un’emanazione della sacralità della nave e il diritto di procreazione un dono divino. Non oserebbero commettere un tale sacrilegio nei confronti dell’Endeavour. Chiunque abbia generato quei neonati, non può essere un membro della chiesa. Ragionamento che però non vale per chiunque li abbia giustiziati.
Poi, una sera, mentre guardavo un film con Sapati e Teuila, mi divenne tutto chiaro e focalizzai il problema: mi ricordavano gli adoratori di Kali in Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
Se qualcuno dovesse mai leggere questo diario: i dati relativi a quel film sono in deterioramento, inizia a vedersi del pulviscolo per l’intera durata e qualche frame si è corrotto da molto prima che nascessi. Alcune scene sono incomplete, ho chiesto a tutti sulla nave ma non sono riuscita a scoprire se il cervello di scimmia l’abbiano mangiato oppure no. Sinceramente, spero di no… in ogni caso, mi auguro che il film sia arrivato ancora integro su Elpis, è un’opera degna di nota che merita di essere vista ed è necessaria per comprendere il parallelismo. Non mi offenderò se, leggendo queste parole, doveste sentire il bisogno di chiudere il diario e andare a vedere il film prima di continuare a farvi gli affari miei. Forse, prima di morire lo distruggerò (il diario, non il film), togliendovi la tentazione…
A mettermi inquietudine è l’obnubilazione delle loro menti. Aborro l’idea stessa di rimettere il controllo delle mie azioni alla volontà di qualcun altro, di qualcos’altro. Mi sembra un facile espediente per privare di ogni peso le proprie decisioni, di scaricare le responsabilità. Un modo di commettere i peggiori crimini sentendosi allo stesso tempo la coscienza a posto, ripulita da un essere superiore inesistente.
Nonostante le mie preoccupazioni riguardo alla chiesa, le parole di Padre Radislav hanno una logica inconfutabile: i fedeli non avrebbero mai procreato al di fuori del sistema Match Mate. Considerano l’algoritmo un’emanazione della sacralità della nave e il diritto di procreazione un dono divino. Non oserebbero commettere un tale sacrilegio nei confronti dell’Endeavour. Chiunque abbia generato quei neonati, non può essere un membro della chiesa. Ragionamento che però non vale per chiunque li abbia giustiziati.