Il carro alato della Principessa di Falce di Luna spiccò il volo dalla Torre Adamantina, percorse il cielo avvolto in drappi purpurei che ne seguivano i movimenti come i tentacoli di una medusa. Al suo seguito, la guardia personale si levò ronzando su possenti ali formando una nuvola scura.
Kurixo li osservò dal basso, procedevano come una tempesta che era felice di non trovare sul suo cammino, poi riprese il volo verso la Torre. Già da questa distanza la sua imponenza sembrava volerti schiacciare a terra, le pareti di cristallo sfaccettato intercettavano gli ultimi raggi del sole diffrangendoli in una miriade di colori. Una falce di luna bianca adornava l’ingresso, sovrastandolo, ai lati della quale svettavano una coppia di stendardi purpurei, il colore della Regina-Dea che a nessuno oltre alle principesse era consentito di sfoggiare. Scese a terra davanti all’ingresso e ripiegò le ali all’indietro, le guardie aprirono i battenti senza fare domande e gli consentirono l’accesso.
L’interno della torre splendeva come fosse immersa in un arcobaleno e risuonava un silenzio innaturale, era circondato dalle pareti rifrangenti, solo il soffitto non era attraversato dai raggi solari e risultava opaco in contrasto, sei colonne di cemento affrescato sorreggevano l’intera torre e l’unico modo per raggiungere i piani superiori era un foro al centro del soffitto. Lungo il perimetro, dietro alle colonne, stavano altrettanti soldati e direttamente di fronte a lui vi era una scalinata che portava al trono di Falce di Luna, che riposava vuoto e circondato da drappi purpurei che giungevano come cascate dal soffitto.
Non dovette aspettare molto prima che il Tessitore si palesasse discendendo dal foro nel soffitto, circondato da lingue nere che fuoriuscivano dall’abito blu notte e aleggiavano come non fossero soggette alla forza di gravità. Dove l’esoscheletro era visibile tra i veli di tessuto era dipinto di simboli arcani mediante vernice bianca che rifletteva la luce.
«Tessitore», lo salutò inchinandosi.
«Capitano», disse lui squadrandolo dall’alto. «Ho ordini diretti dalla Principessa di Falce di Luna».
Kurixo spalancò gli occhi.
«È un onore servire la Principessa».
«Un gruppo di dissidenti, esiliati dalla Colonia Madre per crimini di libero arbitrio, ha rapito un gran numero di uova dalla Sala della Prole. È nostro compito eliminarli e recuperare la progenie».
«Sappiamo già dove si trovano?».
«Ho rintracciato i loro spostamenti con la Lente fino alla colonia satellite a sud-ovest. Prendi il comando della Settima Falce e scopri dove si nascondono e quali sono le loro forze. Io mobiliterò la Terza Legione».
«Si, Tessitore», disse chinando il capo.
«Ora va’. Per la gloria della Regina-Dea».
«Lode alla Regina-Dea», pronunciarono all’unisono le sei guardie.
Kurixo fece loro eco poi si voltò e lasciò la Torre Adamantina.
Sorvolò il distretto fino a raggiungere un’imponente struttura in acciaio nero dalle cui mura s’innalzavano creste come punte di lancia sulle cui cime svettavano stendardi purpurei. Soldati entravano o uscivano in file ordinate per fare i turni ai campi d’addestramento dove poligoni di tiro e simulatori di volo erano in funzione notte e giorno.
Ricordava poco della sua vita prima dell’accademia militare, era piccolo all’epoca, poco più di una larva che veniva accudita dalle Ancelle, poi venne assegnato alla casta dei guerrieri e dopo il condizionamento era stato portato nell’unico posto che aveva mai chiamato casa.
La Settima Falce era un’unità d’élite che aveva l’onore di capitanare da un paio d’anni a questa parte ed era specializzata in infiltrazioni e assalto. Bastarono poche parole e, preso l’equipaggiamento e del vestiario variopinto per confondersi con i Reietti, si misero in viaggio ronzando oltre le mura di Falce di Luna e della Colonia Madre addentrandosi nei territori selvaggi. Volarono per tre giorni fermandosi solo per mangiare e dormire e infine la videro: era costruita tra gli alberi e i pochi edifici abbastanza alti da sovrastarne la volta erano dipinti di verde per confondersi con le foglie.
Kurixo diede ordine di atterrare, ogni colonia satellite aveva le sue sentinelle. Avevano indossato gli abiti verdi e marroni quella mattina nascondendo le armi sotto ad ampi mantelli ma si sarebbero fatti notare meno arrivando via terra e non tutti insieme.
«Una dose di Mempak», disse estraendo un flacone dallo zaino e ingerendo una pillola.
Entro pochi minuti iniziò a sentire una connessione mentale con gli altri soldati.
Io vado per primo, voi seguite uno ogni ora, inviò nelle loro menti. Troviamo il nascondiglio dei ribelli e attendiamo nuovi ordini.
Gli altri annuirono.
Per stanotte acquistiamo una stanza ognuno in un posto diverso e domattina a questa stessa ora prendiamo una nuova dose di Mempak. Domande?
Nessuno parlò.
Kurixo non attese oltre e si immerse tra le frasche.
Si trovò ad avanzare con ampie falcate più trepidante di quanto si sarebbe aspettato. Scostò le ultime fronde e si trovò di fronte a quello che sembrava un villaggio perfettamente integrato con la natura circostante, costruzioni si alternavano a cespugli e alberi in uno schema casuale.
Caotico.
Era così diverso dalla Colonia Madre dove tutto era disposto con una precisione maniacale, ogni singolo dettaglio seguiva un preciso schema e niente veniva lasciato al caso, compreso il destino di ogni singolo individuo, inscatolato all’interno della società in un sistema di caste, regioni, distretti, compiti e routine giornaliera, tutto per la gloria della Regina-Dea.
Kurixo sentì il cuore accelerare e i muscoli formicolarono sotto all’esoscheletro. Quella che sentiva era la fragranza della libertà che permeava l’aria come il polline in primavera e che generava in lui un sentimento d’attrattiva e repulsione al tempo stesso.
Al contrario della Colonia Madre, l’elemento dominante delle infrastrutture era il legno e quando anche si intravedevano delle lastre metalliche era evidente quanto fossero vecchie, probabilmente recuperate nelle discariche o rubate dagli scarti delle fabbriche.
Si strinse nel mantello sperando che nessuno lo fermasse ma con suo stupore neanche uno dei viandanti sembrava badare a lui, i vixidi che popolavano le colonie satellite erano davvero disinteressati come si diceva? Potevano veramente fare ciò che volevano?
Libertà…
No!
Scosse la testa, si era ripromesso di non fare più questi pensieri: erano un crimine verso la Regina-Dea! Il solo parlarne gli avrebbe fruttato una veloce condanna per libero arbitrio, l’avrebbero rispedito al condizionamento o peggio, esiliato, sarebbe divenuto un Reietto.
Eppure… l’esilio era davvero tanto male se avesse potuto vivere in un posto simile?
Scosse la testa con forza e si costrinse a focalizzarsi sul suo obiettivo: trovare i ribelli.
La colonia satellite rappresentava una microscopica frazione se comparata alla Colonia Madre, ma non era così piccola come si era aspettato e non l’aveva ancora esplorata completamente quando calò la notte. Prese una stanza nella prima locanda che trovò e fu solo quando salì in camera che realizzò che sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe dormito in un letto che non fosse la sua branda della caserma, come potevano i Reietti prendere delle decisioni del genere ogni singolo giorno?
Cosa fare? Cosa mangiare? Dove andare? Quando? Come?
Si sentì quasi frastornato dalle possibilità che si diramavano.
Il giorno seguente s’immerse nella vita della colonia, non interagì con nessuno ma scoprì un’immensa biblioteca che nulla aveva da invidiare a quelle della Colonia Madre, si chiese che genere di libri vi si trovassero ma non osò sfogliarli. Visitò le locande e bevve liquori di bacche mai assaggiati prima origliando le conversazioni, passeggiò lungo le strade tortuose tra giardini colorati.
Trascorsero altri due giorni prima che notasse dei movimenti sospetti: uno dei Reietti stava trasportando un uovo cercando di non farsi notare. Kurixo lo seguì fino un’abitazione dall’aspetto anonimo e lo vide entrare in una piccola porta sul retro. Confermò l’avvistamento al resto della squadra e non dovettero attendere molto prima che il Tessitore li contattasse sfruttando la mente alveare garantita dal distillato di Mempak.
La Terza Legione è pronta all’attacco a un’ora di volo dalla colonia satellite, esordì. Gli ordini della Principessa di Falce di Luna sono chiari: le uova vanno recuperate, dovranno essere incolumi.
E per quanto riguarda i ribelli?
Verranno sterminati.
E i Reietti della colonia?
Stessa sorte.
E la colonia?
Rasa al suolo.
Kurixo rimase in silenzio non sapendo cosa dire.
Quando l’attacco sarà iniziato, Capitano, mi condurrai al covo dei ribelli e lì porremo rimedio alla loro insolenza.
Lode alla Regina-Dea, inviarono in coro i membri della falce.
Kurixo sperò che nella cacofonia di voci il Tessitore non avesse notato che era rimasto silente.
Il connubio di menti si districò e Kurixo si trovò solo con i propri pensieri che lottavano l’uno con l’altro trovandosi in uno stallo che si concretizzò nell’incapacità di muovere un passo. Rimase fermo al centro della piazza per quasi un’ora e prima ancora che si vedessero i soldati in volo, le sentinelle avvisarono del loro arrivo e la colonia venne presa dall’isteria, i Reietti abbandonarono ciò che stavano facendo e si sbarrarono in casa.
Kurixo li osservò con una sensazione di pesantezza nel petto. Non sarebbe bastato chiudersi in casa, la Legione non veniva per un controllo di routine o alla ricerca di un criminale o per la saggezza di un eremita.
Dovevano scappare.
Avrebbe dovuto avvisarli?
Avrebbe voluto avvisarli.
Follia.
Si chiese se davvero non aveva scelta oppure se sceglieva di non averne.
Era ancora bloccato quando iniziò a piovere fuoco dal cielo. La Terza Legione bombardò la colonia satellite iniziando dal perimetro e i soldati scesero coi lanciafiamme assicurandosi che l’intera popolazione fosse presa in trappola tra pareti di fuoco.
Lo sterminio era iniziato.
I Reietti iniziarono ad abbandonare le proprie case correndo qua e là per le strade come afidi sui rami in fiamme, inconsapevoli di non avere possibilità di salvezza. Al centro di tutto il Tessitore si librò nell’aria discendendo al suo fianco.
«Portami dai ribelli», disse con voce roca che si univa al detonare delle bombe.
«Si, Tessitore», disse Kurixo senza pensarci, come fosse un riflesso condizionato.
Lo condusse fino alla casa dove aveva visto entrare quel Reietto pochi giorni prima e imbracciò il fucile. Un colpo alla serratura fu sufficiente a farla saltare lasciando un buco fumante nel legno della porta.
La calciò, spalancandola.
La stanza era vuota ma una scalinata conduceva al piano di sotto. La percorse scandagliando le ombre col dito che accarezzava il grilletto. La base della scala si apriva su un ampio locale fiocamente illuminato dove un gruppo di vixidi stava addossato alla parete, alcuni piangevano, altri osservavano negli occhi la morte, rassegnati, altri ancora avevano afferrato armi di fortuna come bottiglie rotte o bastoni. Su una lunga tavolata stavano delle larve urlanti avvolte in asciugamani bianchi, nelle culle addossate ad ogni parete ve n’erano altre ancora: decine di larve neonate.
Il tessitore lo spinse di lato facendo irruzione e spalancò occhi e bocca, per un momento sembrò aver perso la parola, poi le lingue nere che fuoriuscivano dalle sue vesti parvero fremere.
«Traditori!», ruggì. «Vi darò in pasto al Cordyceps! Vivrete nella morte finché non sarete decomposti!».
Kurixo apriva e chiudeva la bocca.
«E le larve?», si azzardò a chiedere. «Sono da recuperare, no?».
«No!», sbottò il Tessitore. «Non sono più utili alla Regina-Dea in questo stato!».
«Ma… sono solo delle larve».
«Toccate da questi traditori, infettate dal germe del libero arbitrio!».
Kurixo osservò le larve paffutelle rigirarsi sul tavolo e strillare dal terrore.
«Cosa aspetti, capitano?», ringhiò il Tessitore.
Alzò il fucile.
«Sparagli, dalli alle fiamme!».
Poggiò il dito sul grilletto.
«Qualsiasi cosa che li cancelli dall’esistenza!».
Sparò.
Il cranio del Tessitore esplose in mille pezzi e il sangue nerastro andò ad affrescare la parete mentre pezzi d’esoscheletro rimbalzavano nella stanza. Il corpo cadde a terra con un sordo tonfo e una pozza scura iniziò a formarsi impregnando il legno.
«Cosa aspettate?», disse rivolto ai vixidi che lo guardavano impietriti. «Fuggite!».
«Vieni con noi…», disse una di essi.
Kurixo non rispose, osservava il sangue del Tessitore che gli era schizzato addosso.
«Vieni con noi», disse ancora lei.
«Non posso», disse riscuotendosi. «Quello che ho commesso è alto tradimento, la pena non è il semplice esilio, non sareste al sicuro con me: non smetteranno mai di cercarmi».
«Capisco…», disse lei abbassando lo sguardo. «Grazie…».
Presero delle provviste e tutte le larve e fuggirono tramite un condotto sotterraneo che conduceva chissà dove. Forse, pensò, era un bene che non sapesse dove stavano andando. Si guardò ancora le mani: non erano sporche solo del sangue del Tessitore ma anche di quello di tutti gli abitanti della colonia.
Aveva disubbidito agli ordini di una Principessa e ucciso un Tessitore, non poteva rimanere sul pianeta e, ora che aveva aperto gli occhi, nemmeno voleva rimanere in una società talmente tossica da ordinare la morte di larve innocenti.
Percepì il pungolare della mente alveare indotta dal Mempak ma si sforzò di schermare la propria e non accedere a nessuna conversazione condivisa. Imboccò il tunnel da cui erano fuggiti i ribelli e lo fece saltare usando alcune granate, poi si librò in volo in direzione dell’accampamento della Terza Legione dove trovò diversi mezzi sorvegliati da poche guardie, alcuni di questi erano delle navette che potevano sopportare un breve viaggio spaziale.
Forte del suo grado di Capitano della Settima Falce si presentò ai soldati ottenendo l’accesso e in men che non si dica stava lasciando l’atmosfera. Non aveva idea di dove andare e un posto valeva l’altro, bastava che fosse affollato, un luogo caotico dove avrebbe potuto far perdere le proprie tracce. Lo spazioporto di Etermatos, sul sistema Otipa, faceva proprio al caso suo ed era al limite del raggio d’autosufficienza della navetta.
Tirò un sospiro profondo allontanandosi dalla Colonia Madre.
D’ora in avanti avrebbe preso da solo le proprie decisioni.
Un pensiero elettrizzante ma spaventoso.
La sua vita era finalmente nelle sue stesse mani.
Kurixo li osservò dal basso, procedevano come una tempesta che era felice di non trovare sul suo cammino, poi riprese il volo verso la Torre. Già da questa distanza la sua imponenza sembrava volerti schiacciare a terra, le pareti di cristallo sfaccettato intercettavano gli ultimi raggi del sole diffrangendoli in una miriade di colori. Una falce di luna bianca adornava l’ingresso, sovrastandolo, ai lati della quale svettavano una coppia di stendardi purpurei, il colore della Regina-Dea che a nessuno oltre alle principesse era consentito di sfoggiare. Scese a terra davanti all’ingresso e ripiegò le ali all’indietro, le guardie aprirono i battenti senza fare domande e gli consentirono l’accesso.
L’interno della torre splendeva come fosse immersa in un arcobaleno e risuonava un silenzio innaturale, era circondato dalle pareti rifrangenti, solo il soffitto non era attraversato dai raggi solari e risultava opaco in contrasto, sei colonne di cemento affrescato sorreggevano l’intera torre e l’unico modo per raggiungere i piani superiori era un foro al centro del soffitto. Lungo il perimetro, dietro alle colonne, stavano altrettanti soldati e direttamente di fronte a lui vi era una scalinata che portava al trono di Falce di Luna, che riposava vuoto e circondato da drappi purpurei che giungevano come cascate dal soffitto.
Non dovette aspettare molto prima che il Tessitore si palesasse discendendo dal foro nel soffitto, circondato da lingue nere che fuoriuscivano dall’abito blu notte e aleggiavano come non fossero soggette alla forza di gravità. Dove l’esoscheletro era visibile tra i veli di tessuto era dipinto di simboli arcani mediante vernice bianca che rifletteva la luce.
«Tessitore», lo salutò inchinandosi.
«Capitano», disse lui squadrandolo dall’alto. «Ho ordini diretti dalla Principessa di Falce di Luna».
Kurixo spalancò gli occhi.
«È un onore servire la Principessa».
«Un gruppo di dissidenti, esiliati dalla Colonia Madre per crimini di libero arbitrio, ha rapito un gran numero di uova dalla Sala della Prole. È nostro compito eliminarli e recuperare la progenie».
«Sappiamo già dove si trovano?».
«Ho rintracciato i loro spostamenti con la Lente fino alla colonia satellite a sud-ovest. Prendi il comando della Settima Falce e scopri dove si nascondono e quali sono le loro forze. Io mobiliterò la Terza Legione».
«Si, Tessitore», disse chinando il capo.
«Ora va’. Per la gloria della Regina-Dea».
«Lode alla Regina-Dea», pronunciarono all’unisono le sei guardie.
Kurixo fece loro eco poi si voltò e lasciò la Torre Adamantina.
Sorvolò il distretto fino a raggiungere un’imponente struttura in acciaio nero dalle cui mura s’innalzavano creste come punte di lancia sulle cui cime svettavano stendardi purpurei. Soldati entravano o uscivano in file ordinate per fare i turni ai campi d’addestramento dove poligoni di tiro e simulatori di volo erano in funzione notte e giorno.
Ricordava poco della sua vita prima dell’accademia militare, era piccolo all’epoca, poco più di una larva che veniva accudita dalle Ancelle, poi venne assegnato alla casta dei guerrieri e dopo il condizionamento era stato portato nell’unico posto che aveva mai chiamato casa.
La Settima Falce era un’unità d’élite che aveva l’onore di capitanare da un paio d’anni a questa parte ed era specializzata in infiltrazioni e assalto. Bastarono poche parole e, preso l’equipaggiamento e del vestiario variopinto per confondersi con i Reietti, si misero in viaggio ronzando oltre le mura di Falce di Luna e della Colonia Madre addentrandosi nei territori selvaggi. Volarono per tre giorni fermandosi solo per mangiare e dormire e infine la videro: era costruita tra gli alberi e i pochi edifici abbastanza alti da sovrastarne la volta erano dipinti di verde per confondersi con le foglie.
Kurixo diede ordine di atterrare, ogni colonia satellite aveva le sue sentinelle. Avevano indossato gli abiti verdi e marroni quella mattina nascondendo le armi sotto ad ampi mantelli ma si sarebbero fatti notare meno arrivando via terra e non tutti insieme.
«Una dose di Mempak», disse estraendo un flacone dallo zaino e ingerendo una pillola.
Entro pochi minuti iniziò a sentire una connessione mentale con gli altri soldati.
Io vado per primo, voi seguite uno ogni ora, inviò nelle loro menti. Troviamo il nascondiglio dei ribelli e attendiamo nuovi ordini.
Gli altri annuirono.
Per stanotte acquistiamo una stanza ognuno in un posto diverso e domattina a questa stessa ora prendiamo una nuova dose di Mempak. Domande?
Nessuno parlò.
Kurixo non attese oltre e si immerse tra le frasche.
Si trovò ad avanzare con ampie falcate più trepidante di quanto si sarebbe aspettato. Scostò le ultime fronde e si trovò di fronte a quello che sembrava un villaggio perfettamente integrato con la natura circostante, costruzioni si alternavano a cespugli e alberi in uno schema casuale.
Caotico.
Era così diverso dalla Colonia Madre dove tutto era disposto con una precisione maniacale, ogni singolo dettaglio seguiva un preciso schema e niente veniva lasciato al caso, compreso il destino di ogni singolo individuo, inscatolato all’interno della società in un sistema di caste, regioni, distretti, compiti e routine giornaliera, tutto per la gloria della Regina-Dea.
Kurixo sentì il cuore accelerare e i muscoli formicolarono sotto all’esoscheletro. Quella che sentiva era la fragranza della libertà che permeava l’aria come il polline in primavera e che generava in lui un sentimento d’attrattiva e repulsione al tempo stesso.
Al contrario della Colonia Madre, l’elemento dominante delle infrastrutture era il legno e quando anche si intravedevano delle lastre metalliche era evidente quanto fossero vecchie, probabilmente recuperate nelle discariche o rubate dagli scarti delle fabbriche.
Si strinse nel mantello sperando che nessuno lo fermasse ma con suo stupore neanche uno dei viandanti sembrava badare a lui, i vixidi che popolavano le colonie satellite erano davvero disinteressati come si diceva? Potevano veramente fare ciò che volevano?
Libertà…
No!
Scosse la testa, si era ripromesso di non fare più questi pensieri: erano un crimine verso la Regina-Dea! Il solo parlarne gli avrebbe fruttato una veloce condanna per libero arbitrio, l’avrebbero rispedito al condizionamento o peggio, esiliato, sarebbe divenuto un Reietto.
Eppure… l’esilio era davvero tanto male se avesse potuto vivere in un posto simile?
Scosse la testa con forza e si costrinse a focalizzarsi sul suo obiettivo: trovare i ribelli.
La colonia satellite rappresentava una microscopica frazione se comparata alla Colonia Madre, ma non era così piccola come si era aspettato e non l’aveva ancora esplorata completamente quando calò la notte. Prese una stanza nella prima locanda che trovò e fu solo quando salì in camera che realizzò che sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe dormito in un letto che non fosse la sua branda della caserma, come potevano i Reietti prendere delle decisioni del genere ogni singolo giorno?
Cosa fare? Cosa mangiare? Dove andare? Quando? Come?
Si sentì quasi frastornato dalle possibilità che si diramavano.
Il giorno seguente s’immerse nella vita della colonia, non interagì con nessuno ma scoprì un’immensa biblioteca che nulla aveva da invidiare a quelle della Colonia Madre, si chiese che genere di libri vi si trovassero ma non osò sfogliarli. Visitò le locande e bevve liquori di bacche mai assaggiati prima origliando le conversazioni, passeggiò lungo le strade tortuose tra giardini colorati.
Trascorsero altri due giorni prima che notasse dei movimenti sospetti: uno dei Reietti stava trasportando un uovo cercando di non farsi notare. Kurixo lo seguì fino un’abitazione dall’aspetto anonimo e lo vide entrare in una piccola porta sul retro. Confermò l’avvistamento al resto della squadra e non dovettero attendere molto prima che il Tessitore li contattasse sfruttando la mente alveare garantita dal distillato di Mempak.
La Terza Legione è pronta all’attacco a un’ora di volo dalla colonia satellite, esordì. Gli ordini della Principessa di Falce di Luna sono chiari: le uova vanno recuperate, dovranno essere incolumi.
E per quanto riguarda i ribelli?
Verranno sterminati.
E i Reietti della colonia?
Stessa sorte.
E la colonia?
Rasa al suolo.
Kurixo rimase in silenzio non sapendo cosa dire.
Quando l’attacco sarà iniziato, Capitano, mi condurrai al covo dei ribelli e lì porremo rimedio alla loro insolenza.
Lode alla Regina-Dea, inviarono in coro i membri della falce.
Kurixo sperò che nella cacofonia di voci il Tessitore non avesse notato che era rimasto silente.
Il connubio di menti si districò e Kurixo si trovò solo con i propri pensieri che lottavano l’uno con l’altro trovandosi in uno stallo che si concretizzò nell’incapacità di muovere un passo. Rimase fermo al centro della piazza per quasi un’ora e prima ancora che si vedessero i soldati in volo, le sentinelle avvisarono del loro arrivo e la colonia venne presa dall’isteria, i Reietti abbandonarono ciò che stavano facendo e si sbarrarono in casa.
Kurixo li osservò con una sensazione di pesantezza nel petto. Non sarebbe bastato chiudersi in casa, la Legione non veniva per un controllo di routine o alla ricerca di un criminale o per la saggezza di un eremita.
Dovevano scappare.
Avrebbe dovuto avvisarli?
Avrebbe voluto avvisarli.
Follia.
Si chiese se davvero non aveva scelta oppure se sceglieva di non averne.
Era ancora bloccato quando iniziò a piovere fuoco dal cielo. La Terza Legione bombardò la colonia satellite iniziando dal perimetro e i soldati scesero coi lanciafiamme assicurandosi che l’intera popolazione fosse presa in trappola tra pareti di fuoco.
Lo sterminio era iniziato.
I Reietti iniziarono ad abbandonare le proprie case correndo qua e là per le strade come afidi sui rami in fiamme, inconsapevoli di non avere possibilità di salvezza. Al centro di tutto il Tessitore si librò nell’aria discendendo al suo fianco.
«Portami dai ribelli», disse con voce roca che si univa al detonare delle bombe.
«Si, Tessitore», disse Kurixo senza pensarci, come fosse un riflesso condizionato.
Lo condusse fino alla casa dove aveva visto entrare quel Reietto pochi giorni prima e imbracciò il fucile. Un colpo alla serratura fu sufficiente a farla saltare lasciando un buco fumante nel legno della porta.
La calciò, spalancandola.
La stanza era vuota ma una scalinata conduceva al piano di sotto. La percorse scandagliando le ombre col dito che accarezzava il grilletto. La base della scala si apriva su un ampio locale fiocamente illuminato dove un gruppo di vixidi stava addossato alla parete, alcuni piangevano, altri osservavano negli occhi la morte, rassegnati, altri ancora avevano afferrato armi di fortuna come bottiglie rotte o bastoni. Su una lunga tavolata stavano delle larve urlanti avvolte in asciugamani bianchi, nelle culle addossate ad ogni parete ve n’erano altre ancora: decine di larve neonate.
Il tessitore lo spinse di lato facendo irruzione e spalancò occhi e bocca, per un momento sembrò aver perso la parola, poi le lingue nere che fuoriuscivano dalle sue vesti parvero fremere.
«Traditori!», ruggì. «Vi darò in pasto al Cordyceps! Vivrete nella morte finché non sarete decomposti!».
Kurixo apriva e chiudeva la bocca.
«E le larve?», si azzardò a chiedere. «Sono da recuperare, no?».
«No!», sbottò il Tessitore. «Non sono più utili alla Regina-Dea in questo stato!».
«Ma… sono solo delle larve».
«Toccate da questi traditori, infettate dal germe del libero arbitrio!».
Kurixo osservò le larve paffutelle rigirarsi sul tavolo e strillare dal terrore.
«Cosa aspetti, capitano?», ringhiò il Tessitore.
Alzò il fucile.
«Sparagli, dalli alle fiamme!».
Poggiò il dito sul grilletto.
«Qualsiasi cosa che li cancelli dall’esistenza!».
Sparò.
Il cranio del Tessitore esplose in mille pezzi e il sangue nerastro andò ad affrescare la parete mentre pezzi d’esoscheletro rimbalzavano nella stanza. Il corpo cadde a terra con un sordo tonfo e una pozza scura iniziò a formarsi impregnando il legno.
«Cosa aspettate?», disse rivolto ai vixidi che lo guardavano impietriti. «Fuggite!».
«Vieni con noi…», disse una di essi.
Kurixo non rispose, osservava il sangue del Tessitore che gli era schizzato addosso.
«Vieni con noi», disse ancora lei.
«Non posso», disse riscuotendosi. «Quello che ho commesso è alto tradimento, la pena non è il semplice esilio, non sareste al sicuro con me: non smetteranno mai di cercarmi».
«Capisco…», disse lei abbassando lo sguardo. «Grazie…».
Presero delle provviste e tutte le larve e fuggirono tramite un condotto sotterraneo che conduceva chissà dove. Forse, pensò, era un bene che non sapesse dove stavano andando. Si guardò ancora le mani: non erano sporche solo del sangue del Tessitore ma anche di quello di tutti gli abitanti della colonia.
Aveva disubbidito agli ordini di una Principessa e ucciso un Tessitore, non poteva rimanere sul pianeta e, ora che aveva aperto gli occhi, nemmeno voleva rimanere in una società talmente tossica da ordinare la morte di larve innocenti.
Percepì il pungolare della mente alveare indotta dal Mempak ma si sforzò di schermare la propria e non accedere a nessuna conversazione condivisa. Imboccò il tunnel da cui erano fuggiti i ribelli e lo fece saltare usando alcune granate, poi si librò in volo in direzione dell’accampamento della Terza Legione dove trovò diversi mezzi sorvegliati da poche guardie, alcuni di questi erano delle navette che potevano sopportare un breve viaggio spaziale.
Forte del suo grado di Capitano della Settima Falce si presentò ai soldati ottenendo l’accesso e in men che non si dica stava lasciando l’atmosfera. Non aveva idea di dove andare e un posto valeva l’altro, bastava che fosse affollato, un luogo caotico dove avrebbe potuto far perdere le proprie tracce. Lo spazioporto di Etermatos, sul sistema Otipa, faceva proprio al caso suo ed era al limite del raggio d’autosufficienza della navetta.
Tirò un sospiro profondo allontanandosi dalla Colonia Madre.
D’ora in avanti avrebbe preso da solo le proprie decisioni.
Un pensiero elettrizzante ma spaventoso.
La sua vita era finalmente nelle sue stesse mani.