FRANCESCO GOZZO
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La Città Cupola

Genere:   fantascienza,   avventura,   azione.

Questo è un video in cui spiego dall'inizio alla fine il processo creativo.
​Parlo anche delle decisioni di trama quindi il video spoilera il racconto, guardatelo dopo averlo letto!
Quando il pianeta apparve dalla nera immensità dello spazio, illuminato dalla luce giallastra della stella 51 Pegasi, passeggeri ed equipaggio insieme si radunarono per ammirarne la superficie dominata da sfumature dal marrone al rossiccio tipiche dei pianeti minerari.

«Prepararsi all’atterraggio», disse una voce dall’interfono. «Tutti i passeggeri tornino ai loro posti e allaccino le cinture di sicurezza. Ripeto: prepararsi all’atterraggio».

Il trasporto s’immerse nella densa atmosfera ricca di vapore acqueo, biossido di carbonio e ossidi di azoto e atterrò nel mezzo dello spazioporto dell’unico insediamento presente sul pianeta.

«Manovra di atterraggio completata», disse la voce e i segnali rossi delle cinture si spensero. «Buona permanenza su 51 Pegasi c».

Il piccolo pianeta ferroso era rimasto a lungo nascosto all’ombra del gigante gassoso 51 Pegasi b finché la Sympan, una delle più ricche Corporazioni di Colonizzazione Nuovi Pianeti, spinta dalla fame di risorse della Federazione aveva scandagliato con maggiore attenzione tutti i sistemi del quadrante.

Simon prese lo zaino e la valigia contenenti tutti i suoi effetti personali e si diresse sul ponte della nave dove un impiegato della Sympan spuntava delle caselle su un documento.

«Elettricisti sulla destra», stava dicendo a un altro passeggero.

Simon gli si fece incontro.

«Che specializzazione hai?».

«Terraformazione».

L’uomo spuntò una casella.

«Unisciti a quell’uomo al tavolo».

Simon si accomiatò con un cenno del capo e trascinò la valigia fino al tavolo indicato, un uomo dai tratti asiatici e ispide sopracciglia era seduto e si voltò vedendolo arrivare.

«Ti è toccato il gruppo meno nutrito», disse porgendo una mano. «Takuma».

«Simon», rispose stringendo la mano che gli veniva offerta. «Mi aspettavo avessero assunto più personale del nostro campo».

«Primo impiego?».

«È così evidente?».

«No», disse con un sorriso obliquo.

Simon ridacchiò scuotendo la testa.

«Hai già lavorato per la Sympan?».

«Si, per qualche anno ho lavorato al mantenimento su Elpis nel sistema TRAPPIST-1».

Simon spalancò gli occhi.

«Per quale motivo hai cambiato?».

«Curiosità», rispose Takuma. «Elpis ha il suo fascino: il primo pianeta mai terraformato. Tuttavia, il lavoro di mantenimento è monotono».

«Cerchi la sfida di una nuova terraformazione?».

«Esatto. Condizioni sconosciute da adattare, procedere per ipotesi, adattare il tiro per giungere al risultato. È un lavoro molto più intrigante».

«E c’è anche la soddisfazione di rendere abitabili nuovi mondi».

Takuma annuì.

Lo sportello si aprì con il sibilo della chiusura idraulica.

«Andate», disse l’impiegato. «Troverete ad attendervi i vostri referenti».

Simon prese la valigia e si mise in coda col suo nuovo collega. Pian piano scesero inserendosi in un lungo corridoio dalle pareti di plastica bianca. Al di fuori da una serie di oblò posti a distanza regolare era visibile un panorama roccioso di un colore che ricordava arenaria rossa. Il tunnel confluì in uno più grande che portava fino all’enorme struttura metallica che rappresentava il corpo principale dello spazioporto. Le paratie d’acciaio temprato si schiusero rivelando un’ampia rimessa con operai al lavoro in ogni dove che tagliavano lastre di metallo, le saldavano, montavano circuiti, costruivano e riparavano ogni genere di macchinario. L’aria era pregna dell’odore di metallo fuso e risuonava del getto delle fiamme ossidriche e dei colpi dei martelli.

Direttamente di fronte a loro c’erano una decina di persone.

«Terraformazione», disse una donna minuta in un camice bianco alzando la mano.

Non appena si avvicinarono la porse a loro.

«Alina», disse.

Simon e Takuma la strinsero e si presentarono a turno.

«Sono la coordinatrice responsabile del processo di terraformazione, seguitemi!».

Li accompagnò nel complesso reticolo di locali e cunicoli che componeva la base fino ad arrivare nel dipartimento di terraformazione.

«Sembra un labirinto ma non preoccupatevi, col tempo riuscirete a orientarvi», disse con un sorriso. «I vostri alloggi sono qui nel dipartimento, come quelli di tutto il team».

Li accompagnò nel dormitorio e fece loro lasciare le valige per poi portarli nella sala principale. Non era grossa nemmeno un quarto della rimessa che avevano visto poco dopo essere atterrati ma era fornita della più moderna strumentazione. Una testa bruna e una bionda si girarono a osservarli.

«Senza indugiare oltre vi presento il team!», disse Alina. «Latika si occupa del monitoraggio della composizione dell’atmosfera», la ragazza salutò. «Mentre Merten si occupa dei calcoli per il bilanciamento della stessa», questa volta fu il turno del biondo di agitare la mano. «In realtà sono compiti che si sovrappongono per buona parte, è più che altro una distinzione di ruoli prettamente burocratica».

«E dove sono gli altri?», disse Simon.

«Quali altri?».

«Ci aspettavamo un team più numeroso», disse Takuma.

«Ah siamo solo noi, la Sympan non ha intenzione di investire molto sulla terraformazione», poi vedendo le loro espressioni confuse continuò. «Non puntano a una terraformazione permanente, il pianeta non presenta le caratteristiche giuste, vogliono solo ottenere delle condizioni adatte al lavoro per poi abbandonare il pianeta una volta conclusa l’estrazione dei materiali».

Simon aggrottò la fronte.

«Non l’avevano specificato durante il colloquio».

«Non lo fanno mai», disse lei liquidando la faccenda con un gesto della mano. «Abbiamo dovuto insistere non poco per convincerli ad assumere altro personale, da soli non riusciamo a monitorare ed effettuare la manutenzione necessaria per i centri di raccolta dati. Andiamo a mangiare, poi vi spiegherò tutto!».

La mensa era pessima, ma su un pianeta sul quale non cresceva nulla di commestibile, non si era aspettato di meglio. Alina fece far loro il giro della base, le stazioni di raccolta dati dipartivano a raggiera e si inoltravano per alcuni kilometri nel brullo territorio roccioso, disse che erano tutti identici quindi visto uno, visti tutti, e che il loro compito consisteva principalmente nell’assicurarsi che la strumentazione funzionasse correttamente e di dare supporto a Latika e Merten con i calcoli.

Alina aveva detto il vero, con il passare delle settimane si abituarono alla planimetria della base e memorizzarono i percorsi. Dovendo spesso passare dal laboratorio a una stazione dati all’altra Simon poteva dire di conoscere la base quanto le sue tasche. All’inizio venivano affiancati da Latika o Merten che facevano a turno per far loro un po’ di formazione ma ben presto presero a fare tutto da soli.

Girando per la base Simon notò una quantità di armi e droni da battaglia che non si sarebbe aspettato e quando chiese spiegazioni ad Alina lei disse che c’erano degli animali pericolosi che abitavano il sottosuolo del pianeta, non sapeva bene cosa fossero ma certo era che si erano dimostrati aggressivi e pericolosi.

Simon percorse il lungo tunnel dalle pareti metalliche che conduceva a una delle stazioni di raccolta dati, le lastre d’acciaio si susseguivano tutte uguali senza riferimenti, tirò la leva per rallentare l’andamento del carrello e scese dalla piattaforma quando raggiunse una piccola stanza piena di macchinari e sensori. Il rilevatore della composizione dell’atmosfera aveva dato alcuni segnali confusi e lo spense prima di aprirlo per controllare che non fossero ossidati i contatti. Scrostò alcune placche di salnitro sperando che bastasse, non aveva con sé le parti di ricambio e non aveva voglia di tornare al corpo della base per procurarseli.

In quel momento sentì la terra tremare e il suolo gli si aprì sotto ai piedi. Sprofondò nella roccia e perse i sensi.

Qualcosa gli sfiorò il viso.

Gli premette la guancia e si ritirò.

Poi uno schiaffo.

«Ah!», Simon si riscosse tirandosi indietro.

Agitò le braccia e tossì per la polvere.

Molte figure stavano dinnanzi a lui come sagome nella penombra.

«Chi siete?».

Nessuna risposta.

«Chi siete?!».

Con un rumore di cingoli un robot apparve tra le fila degli alieni.

«Salute spaziale».


Le parole del sintetizzatore vocale suonarono metalliche nel silenzio.

«Cambiato la programmazione per comunicare».


Simon notò solo ora uno degli alieni che inseriva dei comandi tramite una periferica sconosciuta che poteva rassomigliare una tastiera senza tasti.

«In pace, spaziale».


Simon sollevò un sopracciglio.

«Vengo in pace anche io», disse, poi portò una mano al petto. «Simon».

«Sæmon», pronunciò uno di loro facendo un passo in avanti.

Simon annuì.

La creatura era incappucciata come tutte le altre e non riusciva a distinguerne forme o fattezze ma vide quelle che sembravano delle mani alzarsi sul petto.

«Pæsch».

«Pescr», ripeté Simon.

Delle urla risuonarono alle sue spalle attraverso il passaggio crollato accompagnate dal rumore di stivali che battevano sul metallo.

Gli alieni mormorarono tra di loro e si diedero alla fuga.

«Aspettate!».

«In pace, Sæmon»
, pronunciò il robot sparendo nell’oscurità.

Simon si alzò in piedi e portò una mano alla gola, la sentiva infiammata e aveva la voce roca, si rese conto solo in quel momento che stava respirando l’atmosfera tossica del pianeta, vide nero per un momento e crollò in ginocchio, poi cadde sbattendo il viso a terra.

Quando riaprì gli occhi vide un soffitto bianco, sentiva ancora in bocca il sapore della sabbia ma aveva la testa poggiata su un cuscino ed era coperto da morbide lenzuola, un respiratore postogli sul volto lo inondava di un’aria ricca d’ossigeno.

«Buongiorno», disse una donna con la divisa da infermiera.

«Quanto ho dormito?».

Lei gli tolse la maschera dell’ossigeno e guardò l’orologio.

«Circa quattordici ore».

«Temevo peggio…».

«Non era un caso molto grave, per fortuna la milizia l’ha ripescata in fretta. A proposito, il governatore ha chiesto di parlarle non appena si fosse svegliato».

«Il governatore?».

«Si», andò a prendere un omogeneizzato arricchito e glielo portò insieme a un cucchiaio e una bottiglia d’acqua. «Mangi qualcosa mentre vado a chiamarlo».

Simon si mise a sedere, gli girava la testa e si sentiva spossato ma stava bene.

«Manzo e prosciutto con verdure», lesse sulla confezione prima di aprirla.

Sentiva ancora fastidio alla gola, come fosse irritata, ma il pasto lo rimise in sesto, per quando il governatore entrò nella stanza seguito dal capo della milizia, la sensazione di spossatezza era sparita.

«Simon, giusto?», esordì lui.

Simon annuì.

«Volevo assicurarmi che stesse bene, i soldati hanno riferito di aver trovato tracce di alieni sul luogo del terremoto, ha visto qualcosa?».

«Si, c’erano degli alieni», disse Simon. «Ne ho visto qualcuno prima di svenire».

«Fortuna che non le hanno fatto del male, sono delle creature ferali».

«A dire il vero non mi sono sembrate aggressive».

Il governatore alzò un sopracciglio.

«Le hanno detto qualcosa?».

Simon fu sul punto di rispondere ma una nota di tensione nella voce del governatore gli fece scattare un campanello d’allarme: era una domanda strana, come sapeva che potevano comunicare?

«No… ho solo intravisto i profili e poi sono svenuto», rivolse un cenno d’intesa al capo della milizia. «Per fortuna i suoi ragazzi sono arrivati in tempo».

Lui annuì senza smettere di scrutarlo.

«Beh…», riprese il governatore. «Nel caso ricordasse qualcosa me lo faccia sapere, dobbiamo debellarle quelle bestiacce!».

Quando se ne furono andati, Simon si alzò e si vestì. Lasciò l’infermeria e tornò nel dipartimento di terraformazione. Gli altri membri del team erano intenti a monitorare le condizioni dell’atmosfera e la crescente percentuale d’ossigeno.

«Simon!», esclamò Alina quando lo vide. «Come stai?».

«Abbastanza bene…».

«Non dovremmo mai andare soli, può essere pericoloso con questi terremoti», disse Takuma. «Secondo il governatore sono le creature sotterranee a provocarli per danneggiare la base».

«A proposito di questo… le ho viste le creature, solo la silhouette in realtà, era troppo buio per vederle bene, non si sono dimostrate aggressive. Anzi, mi pare scorretto riferirsi a loro come “creature”, mi sono sembrati un popolo discretamente avanzato».

Gli altri aggrottarono la fronte.

«Vuoi dire che non sono delle specie di mostri selvaggi?», chiese Latika.

«Hanno riprogrammato uno dei nostri robot per poter comunicare», continuò Simon. «hanno detto “in pace, spaziale”, credo che intendano che vengono in pace e “spaziale” può essere un modo che hanno di riferirsi a noi, dal loro punto di vista veniamo dallo spazio. Hanno capito che il mio nome è Simon e uno di loro si è presentato a loro volta, si chiama Pescr se ho capito bene».

«Ma per quale motivo il governatore dovrebbe volerli sterminare?», chiese Merten.

«A causa della legge sulla terraformazione della Federazione», disse Alina. «Dice chiaramente che non è consentito terraformare pianeti che ospitino un popolo senziente le cui nuove condizioni risulterebbero non compatibili con la vita, la Federazione imporrebbe l’instaurazione di un accordo commerciale».

«La nuova atmosfera che stiamo creando è velenosa per loro…», realizzò Takuma. «Attaccano perché il loro popolo sta morendo».

«Non possiamo lasciare che la Sympan completi il genocidio», disse Simon. «Dobbiamo avvertire la Federazione».

«Ma servono delle prove», disse Alina. «Saresti in grado di organizzare un incontro?».

«Non ne ho idea…», Simon scosse la testa. «Ma dubito che siano molto lontani. Ora mi conoscono, se scendiamo nelle caverne sotterranee scommetto che saranno loro a trovarci e a quel punto potremo parlare documentando tutto a video».

Il tunnel che portava alla stazione di raccolta dati franata era chiuso e presidiato da due soldati per cui passarono da quella più vicina e una volta indossate le tute protettive aprirono gli sportelli e si avventurarono all’esterno. La luce giallastra di 51 Pegasi li illuminò e un soffio d’aria si levò trasportando un velo di sabbia. La superficie di 51 Pegasi c era ricca di grotte e crepacci e non fu difficile trovare un accesso che li portasse nei cunicoli al di sotto della base. Takuma spezzò un bastoncino luminoso e lo tenne alto mentre procedevano nel cuore della terra. A un certo punto iniziarono a vedere delle figure muoversi ai limiti del campo visivo, gli occhi che brillavano ogni qualvolta intercettavano la luce.

«Sono notturni?», chiese Alina in un sussurro.

Simon sollevò le spalle poi prese coraggio e parlò ad alta voce.

«Pescr?».

Nessuna risposta.

«Sono Simon», disse ancora. «Cerco Pescr».

«Sæmon», disse una voce nell’oscurità.

L’alieno fece un passo all’interno del campo visivo schermando il viso con una mano, indossava un’ampia veste intessuta in spessi fili di chissà quale materiale e poco era visibile della sua fisionomia oltre a tre lunghe paia di arti dalla pelle pallida che terminavano con dita setose che ricordavano quelle di un geco.

«Accendi la videocamera», disse Alina a Latika. «Dobbiamo documentare tutto».

Di lì a breve comparve anche il robot accompagnato dal ronzio dei cingoli.

«In pace, Sæmon»
.

«In pace, Pescr».

L’alieno guardò i suoi simili e quelli annuirono parlottando l’uno con l’altro.

«Fermare il processo»
, disse il robot. «Atmosfera velenosa. Popolo muore».

«Perché non ci avete contattati prima?».

«Abbiamo fatto. Altri uomini non ascoltato. Attaccato»
.

«Loro vi hanno attaccati per primi?».

«Si. Popolo non ha avuto scelta»
.

«Eccovi! Ratti schifosi…», venne una voce alle loro spalle.

Il capo della milizia accese una torcia, era circondato da uno stuolo di soldati coi fucili spianati.

«Ci avete seguito?!», sbottò Simon.

«E abbiamo fatto bene! Sapete quanto costerebbe alla Sympan salvare la vita di questi ratti sottosviluppati?».

«Quando la Federazione verrà a saperlo, la Sympan dovrà risponderne», disse Alina.

«Sarebbe un’eventualità spiacevole…», replicò lui. «Fortuna che in queste grotte capitano tanti incidenti».

«Scappate!», urlò Takuma.

«Fuoco!».

Simon fece appena in tempo a lanciarsi dietro un masso che il piombo iniziò a volare nella grotta rimbalzando sulle pareti. Il boato degli spari rimbombò assordante nella grotta e i fari che si accesero di colpo abbagliarono gli alieni che vennero falciati uno dopo l’altro dalla selva di proiettili. Latika morì crivellata da almeno una decina di colpi, la videocamera ancora accesa cadde a terra. Simon l’afferrò sfilandola dalle mani insanguinate della collega e si diede alla fuga nei cunicoli passando tra gli alieni urlanti stando basso per evitare i proiettili. Takuma e Alina lo seguirono assieme ad alcuni alieni che avevano reagito più in fretta degli altri arrampicandosi sulle pareti. Merten cadde per molteplici colpi alla schiena.

«Dove cazzo andiamo?!», urlò Takuma tenendo alto il bastoncino per illuminare il terreno accidentato.

«Non ne ho idea!», disse Simon zigzagando tra le stalagmiti. «Dovremmo essere sotto alla base».

«Dove andate, cavie di laboratorio?», giunse un grido alle loro spalle. «Veniamo a prendervi!».

«Dobbiamo raggiungere la sala di trasmissione», disse Alina. «Seguitemi: conosco un passaggio».

Simon estrasse l’unità di memoria e buttò la videocamera. Corsero per alcuni minuti con i proiettili che fischiavano sopra alla loro testa spezzando le stalattiti che andavano a infrangersi a terra intorno a loro.

«Qui!», urlò Alina

Una serie di tubi metallici era stata conficcata nella pietra ed era collegata a una complessa strumentazione ma a parte quello, si trattava di un vicolo cieco.

La donna si scagliò contro una lastra di metallo bussando in modo forsennato.

«Che diavolo ci fate qui?!», sbottò un uomo spalancando la porta.

Saltarono dentro uno dopo l’altro e si trovarono nel dipartimento di sismologia.

«Che diavolo succede?», l’uomo chiuse la porta con un urlo. «C’è l’inferno là fuori!».

«Un attacco delle creature», disse Simon riprendendo fiato. «Non aprire per nessun motivo!».

«Non c’è tempo per riposare!», disse Alina spronandolo.

«Dove state andando?!», chiese l’uomo ancora sconvolto. «Cosa dovrei fare?!».

Ma erano già lontani e non si diedero pena di rispondergli.

Raggiunsero la sala di trasmissione e quando spalancarono la porta entrando di corsa l’unico occupante della stanza si voltò verso di loro.

«Ma che?!», sbottò l’addetto alle telecomunicazioni. «Non avete il permesso di stare qui».

«Non c’è tempo», disse Simon avvicinandosi al terminale con l’unità di memoria. «Dobbiamo trasmettere questo al dipartimento di colonizzazione nuovi pianeti della Federazione».

«Non avete l’autorizza…».

Takuma lo colpì al volto con un poderoso gancio che lo mandò al tappeto.

Simon inserì l’unità di memoria e si sedette al terminale lavorando con dita veloci.

«Fermi!», urlò il capo della milizia facendo irruzione nella stanza.

Simon premette invio.

«È troppo tardi», disse. «Ho appena inviato le prove che state sterminando una popolazione indigena senziente e pacifica all’ufficio della Federazione».

«Bastardi!», inveì il governatore facendo il suo ingresso.

«È solo questione di momenti prima che vengano a sapere tutto!».

«Avete appena buttato miliardi nel cesso per salvare un gruppo di ratti sotterranei?!».

«Quelli che chiami ratti sono più umani di te», disse Takuma.

«Uccideteli», ordinò ai soldati che alzarono i fucili.

«Sicuro di volerlo fare?», chiese Alina.

«Butterò i vostri cadaveri in un crepaccio e non lo saprà mai nessuno», disse lui scoprendo i denti. «Voi rovinate me, io rovino voi».

«E faresti lo stesso con l’intera base?».

Il governatore aggrottò la fronte, poi vide la spia rossa dietro alla donna e sgranò gli occhi.

Alina aveva acceso l’interfono.

«Tutta la base ha sentito la nostra conversazione», disse. «Ora, a meno che non intendiate far fuori tutti coloro che si trovano su 51 Pegasi c, vi conviene deporre le armi».

Gli stivali dei soldati già risuonavano nei corridoi e non si dimostrarono clementi con il loro comandante caduto in disgrazia e con la sua unità di fedelissimi i quali vennero disarmati e arrestati.

​In breve tempo, la Federazione li processò e condannò e invece di un’occupazione oppressiva instaurò un rapporto commerciale con il popolo sotterraneo.

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