Creare mappamondi era un lavoro lungo e meticoloso, potevano volerci anche oltre due mesi per finirne uno, ma l’artigiano non demordeva e le sue opere suscitavano tanta meraviglia da essere considerate dei capolavori. Lo faceva più per diletto che per lavoro e la sua collezione ne contava a centinaia, i più belli e dettagliati che occhio umano avesse mai visto, raffiguranti pianeti di sua invenzione.
Era così che il magazzino si era riempito di mappamondi delle dimensioni più disparate. Alcuni erano enormi, la sfera poteva arrivare fino a due metri di diametro, mentre altri erano così piccoli da poter essere tenuti sul palmo di una mano. Ce n’erano di tutti i colori, alcuni erano composti completamente da rocce scure mentre altri mostravano linee rosse in corrispondenza delle vene d’arenaria. Altri ancora erano coperti da foreste e il verde era il colore dominante, poi ce n’erano diversi di sfumature rosso-arancioni. Ognuno ruotava placidamente sul proprio asse con un’inclinazione diversa.
L’artigiano stava lavorando su un nuovo manufatto e aveva appena incollato i pezzi in legno di faggio che componevano la struttura di supporto, aveva deciso che questo sarebbe stato relativamente piccolo e avrebbe ruotato sul proprio asse con un’inclinazione di ventitre gradi e ventisette primi rispetto alla perpendicolare al piano dell’ellittica.
La parte del lavoro che preferiva si attuava subito dopo aver prodotto i due emisferi in cellulosa. Amava dipingere, lo vedeva come un puro atto di creazione, come se trasferisse i suoi pensieri sulla cellulosa tramite colori e pennelli. Prese le tinture, si sedette al tavolo da lavoro con gli emisferi dinnanzi a sé e iniziò a mescere i colori sulla tavolozza creando ogni tonalità di blu, verde e marrone. Solitamente era parsimonioso con il ciano, perché dipingere il mare era più noioso rispetto alla terraferma, ma questa volta aveva inavvertitamente premuto il tubetto con forza eccessiva e il colore dominava la tavolozza. L’artigiano rimase a osservare gli accostamenti per qualche secondo, poi sorrise.
«Ma si…», disse a sé stesso.
Avrebbe creato un mondo ricco d’acqua, gli capitava raramente e sarebbe stata una variante curiosa. Intinse il pennello e stava per poggiarlo sulla cellulosa quando si bloccò. Si rese conto che non sapeva come distribuire la terra, ne aveva poca da disegnare… che forma avrebbe potuto dargli?
Prese dei pezzi di cellulosa che aveva scartato durante la lavorazione degli emisferi e li dispose uno vicino all’altro, non si toccavano e stretti lembi d’acqua intercorrevano tra essi. Ne osservò la forma ma non gli piacque. Li compattò a formare un unico grande continente, però pensò che quasi tutti i mondi che disegnava avevano la terra tutta unita, questa volta che avrebbe dovuto dare molto spazio agli oceani avrebbe potuto fare qualcosa di diverso. Con una mano trascinò metà dei pezzi di cellulosa separandoli dagli altri e creando due grossi continenti, uno settentrionale e l’altro meridionale, poi sorrise.
«Ma si…», disse a sé stesso.
Questa volta avrebbe fatto qualcosa di completamente diverso. Spostò ogni singolo pezzo di cellulosa in una direzione diversa, spezzettandoli nel mentre. Osservò quindi i continenti dalle coste frastagliate che aveva creato e se ne compiacque. Iniziò a dipingere, abbondando con il pigmento per dare spessore alle montagne e stendendolo sottile sui mari.
Quando il colore fu asciutto, incollò i due emisferi e posizionò il manufatto sulla struttura in legno di faggio. Lo fece ruotare, poi lo portò nell’immenso magazzino e lo appoggiò tra Marte e Venere, sullo scaffale del sistema solare. Avrebbe deciso più tardi come chiamare quel mondo con così poca terra. Forse, pensò in un moto d’ironia, l’avrebbe chiamato proprio Terra.
Era così che il magazzino si era riempito di mappamondi delle dimensioni più disparate. Alcuni erano enormi, la sfera poteva arrivare fino a due metri di diametro, mentre altri erano così piccoli da poter essere tenuti sul palmo di una mano. Ce n’erano di tutti i colori, alcuni erano composti completamente da rocce scure mentre altri mostravano linee rosse in corrispondenza delle vene d’arenaria. Altri ancora erano coperti da foreste e il verde era il colore dominante, poi ce n’erano diversi di sfumature rosso-arancioni. Ognuno ruotava placidamente sul proprio asse con un’inclinazione diversa.
L’artigiano stava lavorando su un nuovo manufatto e aveva appena incollato i pezzi in legno di faggio che componevano la struttura di supporto, aveva deciso che questo sarebbe stato relativamente piccolo e avrebbe ruotato sul proprio asse con un’inclinazione di ventitre gradi e ventisette primi rispetto alla perpendicolare al piano dell’ellittica.
La parte del lavoro che preferiva si attuava subito dopo aver prodotto i due emisferi in cellulosa. Amava dipingere, lo vedeva come un puro atto di creazione, come se trasferisse i suoi pensieri sulla cellulosa tramite colori e pennelli. Prese le tinture, si sedette al tavolo da lavoro con gli emisferi dinnanzi a sé e iniziò a mescere i colori sulla tavolozza creando ogni tonalità di blu, verde e marrone. Solitamente era parsimonioso con il ciano, perché dipingere il mare era più noioso rispetto alla terraferma, ma questa volta aveva inavvertitamente premuto il tubetto con forza eccessiva e il colore dominava la tavolozza. L’artigiano rimase a osservare gli accostamenti per qualche secondo, poi sorrise.
«Ma si…», disse a sé stesso.
Avrebbe creato un mondo ricco d’acqua, gli capitava raramente e sarebbe stata una variante curiosa. Intinse il pennello e stava per poggiarlo sulla cellulosa quando si bloccò. Si rese conto che non sapeva come distribuire la terra, ne aveva poca da disegnare… che forma avrebbe potuto dargli?
Prese dei pezzi di cellulosa che aveva scartato durante la lavorazione degli emisferi e li dispose uno vicino all’altro, non si toccavano e stretti lembi d’acqua intercorrevano tra essi. Ne osservò la forma ma non gli piacque. Li compattò a formare un unico grande continente, però pensò che quasi tutti i mondi che disegnava avevano la terra tutta unita, questa volta che avrebbe dovuto dare molto spazio agli oceani avrebbe potuto fare qualcosa di diverso. Con una mano trascinò metà dei pezzi di cellulosa separandoli dagli altri e creando due grossi continenti, uno settentrionale e l’altro meridionale, poi sorrise.
«Ma si…», disse a sé stesso.
Questa volta avrebbe fatto qualcosa di completamente diverso. Spostò ogni singolo pezzo di cellulosa in una direzione diversa, spezzettandoli nel mentre. Osservò quindi i continenti dalle coste frastagliate che aveva creato e se ne compiacque. Iniziò a dipingere, abbondando con il pigmento per dare spessore alle montagne e stendendolo sottile sui mari.
Quando il colore fu asciutto, incollò i due emisferi e posizionò il manufatto sulla struttura in legno di faggio. Lo fece ruotare, poi lo portò nell’immenso magazzino e lo appoggiò tra Marte e Venere, sullo scaffale del sistema solare. Avrebbe deciso più tardi come chiamare quel mondo con così poca terra. Forse, pensò in un moto d’ironia, l’avrebbe chiamato proprio Terra.