FRANCESCO GOZZO
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L'attacco del mastodonte

Genere:   fantasy,   azione,   primitivo,   comico.

2° racconto della serie La Tribù del Falco (il 1° è La Tribù del Falco, il 3° è Faida nel Deserto)
Questo è un video di approfondimento sulla razza che ho creato per scrivere questo racconto.
​Se avete voglia di darci un occhio potete guardarlo sia prima che dopo averlo letto.
La bufera imperversava nel cielo già scuro della notte, la pioggia cadeva come vi fosse un’immensa cascata a sovrastare il mondo e il vento spazzava la foresta piegandone gli alberi.

Korm si ergeva sulla cima di Rocca del Falco senza protezione alcuna e scrutava l’orizzonte dove di tanto in tanto il guizzare di un fulmine lasciava intravedere due figure immense. I mastodonti sovrastavano le vette distanti azzuffarsi in una lotta all’ultimo sangue, Korm non avrebbe saputo dire se i rombi che sentiva fossero dovuti al tuonare della volta celeste o ai loro corpi che si schiantavano contro le montagne.

Quando il terk tornò al suo giaciglio, i mastodonti erano ancora impegnati nel loro duello, facendo oscillare la terra conciliandogli il sonno.

La mattina successiva, Korm si alzò all’alba. La tempesta era passata come scacciata dai tiepidi raggi e il sole si alzava su un mondo bagnato ma lussureggiante. Korm indossò l’armatura in listelli d’osso, allacciò le cinghie di cuoio e prese la lancia. Senza perdere tempo radunò non solo i cacciatori ma anche tutti i terk adulti che potessero trasportare materiali pesanti e si presentò all’ingresso del giardino di Otrok.

«Uno ha prevalso e si nutre dello sconfitto», disse il vecchio sciamano indicando nella direzione delle montagne, oltre alla foresta, dove s’intravedeva l’ombra dei mastodonti.

«Conduco la tribù per recuperare minerali ferrosi», disse Korm. «Chiedo la benedizione del Falco».

«Come il mastodonte assume la forza del suo nemico», disse Otrok tornando al gazebo. «Attraverso la terra assumerai la forza del Falco».

Prese tre ghiande essiccate e le buttò nel mortaio, poi aggiunse una sottile scaglia di legno carbonizzato, dei fiori appena colti di un colore rosa intenso e iniziò a tritare il tutto col pestello fino a ridurre gli ingredienti a una polverina sottile. Quando si ritenne soddisfatto prese uno dei piccoli roditori che teneva in gabbia e lo portò vicino al volto, soffiò sull’animale e un momento dopo lo sgozzò con un pugnale cerimoniale dalla lama ricurva.

Spremette il cadavere nel mortaio raccogliendone il sangue e mescolò ottenendo una morbida pasta dal colore marrone scuro. Mormorò alcune parole nella lingua spiritica, ne prese un po’ con un dito e si avvicinò a Korm. Disegnò delle strisce sul suo volto partendo dalla fronte e arrivando fino al mento, poi fece la stessa cosa lungo tutto il corpo fino alla punta della coda, tracciando strisce dal dorso al ventre.

«Il Falco ti proteggerà dal mastodonte», disse, poi prese una fiasca e ne tolse il tappo.

Un forte odore di spezie miste pervase l’aria, troppo complesso per distinguerne una in particolare. Spillò la linfa in una ciotola facendola colare in un lieve filo, poi vi sbriciolò dentro una libellula, mescolò con la punta di un artiglio e gliela porse.

«L’energia della terra», disse.

Korm bevve l’intero contenuto e sentì un brivido percorrergli le spalle e il torace.

«Fa buon viaggio nobile figlio del Falco».

Korm lasciò Rocca del Falco alla testa di due dozzine di cacciatori e altrettanti membri della tribù. S’inoltrarono nella foresta procedendo in fila indiana. Li guidò su un sentiero sicuro attraverso le insidie, si tenne sottovento rispetto ai grossi predatori, girò al largo delle piante carnivore ed evitò sabbie mobili e nidi di insetti.

Giunsero infine sul luogo dove era avvenuto lo scontro e oltre la volta degli alberi videro il cadavere del mastodonte e il muso dell’altro che ne faceva a brandelli la carne con denti del diametro di un albero. Erano distanti ancora parecchie decine di metri ma il sangue già impregnava il terreno ancora umido per la pioggia.

L’intera foresta oltre quel punto era stata rasa al suolo, solo radi alberi erano rimasti in piedi, solitari e fortunati in mezzo alla devastazione. La terra stessa era stata rivoltata, la roccia spaccata, il fianco della montagna sgretolato e franato a valle.

«Raccogliete più minerali ferrosi possibile», disse Korm uscendo dalla boscaglia e oltrepassando l’immensa testa del mastodonte intento a nutrirsi. «Riempite cesti e sacchi».

Procedettero rastrellando la terra, sovrastati dal corpo del mastodonte che si perdeva nella nebbia, fino a giungere il punto in cui appoggiava una delle zampe possenti, spessa quanto cento tronchi.

Un fruscio giunse dalla direzione opposta.

Korm fece segno agli altri di aspettare e pochi secondi dopo dei terk uscirono dalla nebbia adorni di lunghe piume gialle, rosse, blu e verdi, sembrava fossero vestiti di un arcobaleno.

«La Tribù delle Lunghe Piume…», grugnì Korm.

Un Terk dal copricapo contorniato di penne bianche lasciò cadere il sacco pieno di minerali ferrosi e impugnò la lancia.

«Korm!», sbottò. «Porta i tuoi falchi via da qui!».

«Fai silenzio, stolto! Vuoi forse incorrere nell’ira del mastodonte?».

«Porta i tuoi falchi via da qui», sibilò lui. «Questo è il nostro giacimento».

«C’è minerale ferroso per tutti», sussurrò Korm. «Riempite le vostre borse e noi riempiremo le nostre».

«Ogni borsa che riempite è una borsa rubata!».

«Allora siano gli spiriti a decidere!».

«E rischiare che l’ira del mastodonte ci spazzi tutti via?».

«Propongo un combattimento uno contro uno».

«Interessante…», il terk si lisciò una piuma. «E immagino che vorrai prendervi parte in prima persona».

«Tu puoi scegliere un tuo campione, se preferisci…».

«L’Arcobaleno di Fontechiara non si tira indietro!», urlò lui. «Come osi insinuare…».

«Silenzio!», sibilò Korm tra i denti.

«Come osi insinuare codardia?», sibilò lui.

«Dunque sei Tikke, ho sentito storie su di te», disse Korm portando in posizione la lancia.

«Dopo averti ucciso mi prenderò Rocca del Falco».

«Parli troppo…».

Korm scattò in avanti compiendo un affondo per testare i riflessi del suo avversario e la punta venne deviata.

«Sono il prescelto dell’Ara Multicolore, impegnati di più o lo considererò un affronto», disse lui saltando tutto intorno alla ricerca di un’apertura, poi iniziò a far ruotare l’asta della lancia in un turbinio di penne.

Korm per un momento perse di vista la punta nelle scie di piumaggio colorato e d’un tratto la trovò a saettare verso di sé scalfendo l’armatura di listelli d’osso.

Scattò in avanti lasciandosi cadere su un ginocchio all’ultimo momento per oltrepassare la guardia dell’avversario riuscendo ad assestare un colpo alla testa con l’estremità dell’impugnatura.

Il copricapo piumato volò nell’aria e rotolò sul terreno.

Korm approfittò del tentennamento dell’avversario per gettarglisi addosso, disamarlo e mordergli una spalla penetrando in profondità con i canini.

Per tutta risposta Tikke affondò gli artigli nella carne sollevando quanto bastava una zampa da infliggergli una lunga ferita sulla coscia con l’unghione retrattile.

Korm cercò di far leva per abbattere il suo avversario ma riuscì solo a spingerlo all’indietro verso l’immensa zampa del mastodonte.

Tikke si lasciò cadere appoggiandosi alla coda e sfruttò il moto per scagliarlo lontano.

«Forse te la cavavi meglio con la lancia», disse.

Korm si rialzò e sputò brandelli di carne e piume.

Le rispettive tribù li seguivano a distanza mormorando, di tanto in tanto guardavano sopra alle loro teste dove il corpo del mastodonte si perdeva nella nebbia.

Tikke gli si scagliò addosso e Korm schivò di lato evitando l’unghione della zampa, afferrò il braccio scivoloso per il sangue che colava dalla spalla e cercò di torcerlo dietro alla schiena ma la gamba ferita non gli permise di imprimere forza sufficiente.

Il piumaggio di cui Tikke era adorno si mosse avanti e indietro mentre i due lottavano, lambendo la pelle del mastodonte che, infastidito, scacciò la fonte del solletico con un colpo che frantumò tutte le ossa dell’Arcobaleno di Fontechiara. Andò a schiantarsi a una ventina di passi di distanza in un turbinio di piume colorate.

Korm si allontanò dal mastodonte e osservò l’avversario fatto in poltiglia con occhi sgranati.

«Beh… mi sembra chiaro chi sia lo sconfitto», disse alla tribù delle Lunghe Piume. «Levatevi di torno!».

​Scacciati i rivali, raccolsero tutto il minerale ferroso che riuscirono a trasportare e fecero ritorno a Rocca del Falco. Korm era coperto di sangue ma sfoggiava un sorriso ferale da sotto un copricapo di penne bianche.

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