Xargoth sollevò lo scettro d’avorio al cielo e rise: tutto ciò per cui aveva lavorato negli ultimi decenni si stava realizzando!
Un fulmine squarciò la scura coltre delle nubi tempestose. I sigilli di cui era disseminata la radura si illuminarono, uno dopo l’altro, di una luce dorata mentre il sangue delle vittime sacrificali vi scorreva sopra a fiumi. Le anime dei presenti, compresi i suoi sgherri e coloro che aveva circuito con vuote promesse di ricchezza, vennero strappate ai loro corpi e presero a vorticargli intorno come fossero nell’Ade.
«Potere!», urlò Xargoth in preda all’estasi. «Illimitato potere!».
La terra iniziò a tremare, gli alberi avvizzirono. Tutto nel raggio di miglia e miglia perì in pochi istanti mentre l’energia imbrigliata dall’incantesimo rituale veniva convogliata in lui. A un tratto, poco distante, si aprì un cerchio di teletrasporto da cui uscirono tre figure ammantate: il Magister e i suoi apprendisti. Xargoth rise, non potevano nulla contro di lui.
«Stolti!», li apostrofò. «Ormai è troppo tardi! Sono immortale!».
Tuttavia, essi fecero qualcosa che non si era aspettato: si conficcarono un pugnale dritto nel cuore. Le anime dei tre maghi lasciarono le loro spoglie mortali e si unirono al tornado insieme alle altre.
«No!», urlò Xargoth.
«NOOOOoooooo…».
Si svegliò di soprassalto, agitando le coperte come un matto. Si guardò intorno spaesato, si trovava nella camera di una locanda, calda e accogliente con lenzuola appena lavate che profumavano di lavanda. La luce del sole filtrava dalla finestra assieme al cinguettare dei passeri.
~ Ah! Ben svegliato, Stellina ~, disse una voce nella sua testa.
Xargoth sbuffò. Erano passati quasi dieci anni da quella fatidica notte quando era riuscito a completare il rituale dell’immortalità. Centinaia di persone erano dovute morire per attivare le rune ma il Magister Egon e i suoi due apprendisti avevano rovinato tutto nell’unico modo che non era riuscito a prevedere: si erano suicidati e le loro menti si erano fuse alla sua.
Da allora non facevano che tormentarlo.
“Forza! Che ci aspetta il giro”, disse Niklas strappandolo ai suoi pensieri.
Xargoth sospirò.
<< È davvero necessario? >>, proiettò mentalmente.
– Indispensabile! –, sentenziò Egon. – Oggi è il turno del mercante di aringhe, al quale hai rovinato gli affari quando hai attaccato la città facendo esplodere il vulcano –.
<< Ma come fai a saperlo? >>, protestò Xargoth. << Secondo me te le inventi queste vaccate… >>.
~ Come ti permetti di parlare così al Magister?! ~, sbottò Karissa.
La mano destra scattò in aria tirandogli un pugno sul naso.
<< Ma sei impazzita? >>, urlò Xargoth. << Che cazzo… >>.
Condividevano lo stesso corpo, certo, ma lui era l’unico a provare dolore.
“Io gliene mollerei un altro…”, disse Niklas.
<< Ok, ok… andiamo… come se avessi voce in capitolo… >>, borbottò Xargoth.
Ciò che faceva o diceva il suo corpo veniva deciso in maniera democratica dalle quattro menti che lo popolavano ma, essendo uno contro tre, Xargoth era sempre in minoranza. Non avere controllo sulle proprie azioni era snervante e ormai la storia andava avanti da dieci anni! La cosa peggiore era l’uso che i tre maghi avevano fatto di questo potere: lo stavano facendo passare per una persona gentile!
Xargoth era furioso!
Quei maledetti!
Aveva passato la vita ad appropriarsi di tutto ciò su cui riusciva a mettere le mani, era diventato un tiranno temuto in tutto il mondo e ora… gli sembrava di essersi trasformato in un paladino!
Una reputazione completamente rovinata…
Si alzò e iniziò a vestirsi. Ovviamente non con la sua vecchia tunica nera dallo stiloso colletto alto e nemmeno indossò il copricapo a forma di serpente e gli stivali in pelle umana tinti col pigmento più nero che si poteva trovare… sospirò sconsolato… almeno gli avevano permesso di tenere il pizzetto, anche se ogni tanto minacciavano di farglielo tingere di rosa. L’unico degli artefatti di cui andava fiero che gli permisero di prendere era lo sfarzoso scettro d’avorio impreziosito con oro, rubini e un diamante grosso come un pugno posizionato sull’estremità superiore.
Uscì dalla camera che aveva prenotato cercando di non pensare a quante monete gli avevano fatto lasciare come mancia al locandiere. Non si lasciava la mancia per aver prenotato una camera! Ma i tre non avevano voluto sentir ragioni e rimanere imbambolato come un idiota davanti a quel ciccione del locandiere mentre discutevano mentalmente gli aveva dato ancora più fastidio della cifra spesa.
«Buona giornata signor Xargoth», lo salutò la moglie del locandiere che portava un cesto di vimini con le lenzuola da lavare.
Xargoth sorrise e si prodigò in un inchino elaborato.
«Anche a voi», disse la sua bocca.
<< Muori vecchia megera! >>, urlò la sua mente.
“Suvvia, sii gentile con quella povera donna”, lo rimproverò Niklas forzandolo arendere l’inchino ancora più profondo.
Xargoth imprecò e sentire Karissa che se la sghignazzava lo fece incazzare ancora di più!
La città era già sveglia, i negozi avevano aperto e la gente camminava per le strade. La bruma del mattino si stava diradando al soffio della leggera brezza che spirava dal mare, portando con sé l’odore della salsedine e il garrire dei gabbiani. Il vociare dei marinai, intenti a caricare le navi, era a malapena udibile a questa distanza, così come il suono delle onde che accarezzavano i moli.
Il negozio del mercante di aringhe non era lontano: si trovava lungo un vicolo perpendicolare al porto. Quando Xargoth vi arrivò, scoprì come mai quel quartiere aveva una brutta fama: c’erano oggetti rotti abbandonati negli angoli, era pieno di sudiciume tra le pietre dell’acciottolato e c’erano pozze giallastre lungo i muri.
L’odore di piscio era penetrante.
<< Non poteva aprire il negozio in un posto meno schifoso? >>, si lamentò Xargoth calciando un mucchio di alghe putrescenti.
– L’aveva fatto –, disse Egon con una sfumatura di rimprovero nella voce.
~ Ma poi qualcuno l’ha fatto bruciare… ~, commentò Karissa.
“Insieme alla sua casa…”, rincarò la dose Niklas.
~ E fatto saltare il carico di aringhe che aveva pagato in anticipo… ~.
“E distrutto la barca…”.
~ E azzoppato… ~.
<< Va bene, va bene… >>, disse Xargoth. << Ho capito l’antifona… >>.
~ Poi nell’incendio si è fusa la sua collezione di monete antiche… ~, riprese Karissa senza darsi per vinta.
“E bruciata quella di francobolli…”
<< Ho detto che ho capito! >>, urlò Xargoth esasperato. << Per gli dei… che ho fatto di male? >>.
– Lo chiedi seriamente?! –, sbottò esterrefatto il Magister. – Perché l’elenco è lungo… –.
<< Risparmiamelo, ti prego! >>.
Aprendosi, la porta colpì un campanello il cui tintinnio risuonò in tutto il piccolo negozio, stipato di aringhe, sia fresche che non.
«Signor Xargoth!», disse un omino raggrinzito che spuntava appena da dietro il bancone. «È davvero ehm… un piacere vederla».
«Caro venditore d’acciughe!», lo salutò Xargoth.
<< Vi ricordate per filo e per segno i danni che gli ho arrecato e non sapete il suo stupido nome?! >>, sbottò Xargoth. << Avete anche sbagliato il nome del pesce che vende! >>.
«Sono venuto per chiedere umilmente scusa per i danni che ti ho arrecato», continuò la bocca di Xargoth mentre le mani iniziarono ad accarezzare il pescato non esattamente fresco di giornata.
<< Ma basta! >>, esclamò Xargoth. << Mi rimarrà addosso il puzzo di acciughe per una settimana! >>.
~ Sardine ~.
– Aringhe –, li corresse Egon.
<< Quel che sono… >>.
«Ah… le vostre scuse sono ben accette», disse l’omino. «Certo, il mio giro d’affari non è più stato lo stesso da quando…».
«Ed è per questo mio caro mercante d’aringhe che allego alle scuse il pagamento dei danni con gli interessi in sonanti monete d’oro!», disse Xargoth.
<< Ma siete pazzi?! >> protestò Xargoth. << Non vi basta aver dato via metà del mio tesoro per ricostruire questa stramaledetta città?! >>.
– Chi rompe paga –, sentenziò il Magister.
<< Tieniti per te la tua saggezza, vecchio! Sembri un biscotto della fortuna… >>.
Quando uscì dal negozio, Xargoth aveva le tasche più leggere di quando era entrato ma aveva guadagnato qualcosa: un acre odore di pesce.
Xargoth era intento a cercare un modo di liberarsi da quel tanfo e a maledire i tre maghi per averlo portato in quel vicolo maleodorante quando una figura alta la metà di lui gli si parò davanti.
«Gentile Xargoth», disse la vecchietta appoggiandosi al bastone.
Gentile Xargoth…
Gentile… Xargoth…
Xargoth era furioso!
C’era un tempo in cui le persone fuggivano al solo sentir pronunciare il suo nome! Ora invece lo salutavano per strada come si fa con un vicino di casa…
<< Che diavolo vuoi vecchia strega?! >>, sbottò.
Ma dalla sua bocca uscirono parole diverse.
«Cosa posso fare per te gentile signora?».
«Il mio gattino, Fufù…», iniziò la vecchia girandosi a indicare la cima di un albero. «Si è arrampicato fin là e adesso non riesce più a scendere».
<< Per gli Dei… >>, sospirò Xargoth mentre subiva le risate di Karissa e Niklas.
~ Xargoth il Salvatore di Gattini! ~, lo canzonò maga.
“Suona bene!”.
<< Ma non fareste prima a uccidermi? >>, chiese Xargoth in preda allo sconforto.
– Impossibile –, sentenziò il Magister.
~ Sai, qualcuno qui si è reso immortale… ~.
<< Sono sicuro che a impegnarci un modo lo troveremmo… >>.
– Impossibile –, ribadì Egon.
<< Maledizione a me… >>.
“Hai sentito il Magister?”, disse Niklas con tono seccato. “Ora stai zitto e salva Fufù!”
<< Come se avessi scelta… >>.
Xargoth sollevò una mano e schioccò le dita: Fufù iniziò a levitare al che lanciò miagolii allarmati ma pochi secondi dopo si trovava al sicuro con le zampe poggiate a terra.
«Grazie Xargoth, il Salvatore di Gattini!», disse la vecchia cercando di brancare Fufù, il quale dal canto suo non aveva intenzione di farsi catturare.
<< Ci ha letto nel pensiero questa vecchia?! >>.
~ Prenderà piede, me lo sento! ~.
<< Ma che diavolo?! >>, sbottò Xargoth quando il gatto venne da lui a strusciarsi.
Ovviamente lo costrinsero a coccolarlo…
Xargoth era furioso.
Fufù continuava a leccargli le dita e a mordicchiarle. Quando il mago lo lasciò andare per continuare il giro, il gatto cominciò a seguirlo. Divenne impossibile liberarsene e per quanto affrettasse il passo, Fufù era sempre dietro di lui. Miagolava e gli si strusciava sulle gambe rischiando di farlo inciampare.
– Probabilmente sente l’odore delle aringhe –.
~ Aww… possiamo tenerlo?! ~.
<< Nemmeno per sogno! >>, sbottò Xargoth.
~ Non chiedevo a te… ~.
– Quella tenera vecchietta ne sentirebbe la mancanza –.
<< Esatto! >>, esclamò Xargoth intravedendo una via di fuga. << Ascolta il Magister, non possiamo certo far soffrire quella tenera megera… >>.
“Mi fa piacere che finalmente ti stia abituando a questa cosa della bontà”, intervenne Niklas con una risata.
<< Ma per favore… lasciatemi libero e vedrete… >>.
– Non è che dire così possa convincerci a lasciarti libero… –.
Xargoth sbuffò e si rintanò nel profondo della sua mente per trovare un po’ di pace dai tre tormentatori con cui ormai si trovava a dover condividere il corpo.
Per l’eternità…
Quasi gli venne da piangere. Il suo mondo e le sue ambizioni erano crollati così in fretta… un momento prima era Xargoth il Dominatore, signore e padrone di mezzo mondo, generale delle armate dell’ovest, colui al quale era rimasta una sola cosa da temere: la morte. Un momento dopo era Xargoth lo Schiavo, intrappolato all’interno del suo stesso corpo e, oltre al danno la beffa, per colpa sua lo sarebbe stato per il resto dei tempi. Terminato il suo attimo di autocommiserazione rivolse di nuovo lo sguardo verso l’esterno e vide…
Il tempio del dio del sole.
<< Che cazzo ci facciamo qui?! >>.
~ Ma non puoi smetterla di essere così scurrile? ~.
“Poi davanti al grande tempio…”.
– È la giornata della donazione –.
<< La giornata della donazione? >>, gli fece eco Xargoth. << È forse la vaccata più grande che vi siete inventati finora >>.
Ma il suo corpo mosse le gambe ed entrò lo stesso.
<< Aspettate! >>, esclamò appena messo un piede oltre la soglia. << È per questo che uscendo mi avete fatto prendere lo scettro d’avorio?! >>.
~ Ehm… ~, Karissa si scandì la voce. ~ No ~.
“Ma cosa ti viene in mente?”.
Xargoth si tranquillizzò.
– Abbiamo pensato che non riuscirai mai a redimerti finché resterai attaccato al passato –.
Xargoth lanciò un urlo a metà tra la rabbia e la frustrazione. Fu sul punto di riempirli di insulti ma poi la tristezza ebbe il sopravento. Non sarebbe servito a nulla discutere… Quando il suo scettro d’avorio impreziosito con oro, rubini e con la testa di diamante finì nel cesto delle offerte ebbe un colpo al cuore. Guardò l’affresco sul soffitto: raffigurava il dio del sole nell’atto di portare la luce sul mondo, come faceva ogni mattina. Aveva vinto lui, il suo vecchio nemico. Xargoth aveva sempre pensato che solo la morte avrebbe potuto impedirgli di raggiungerlo, anche per questo motivo aveva ricercato l’immortalità: voleva conquistare il potere degli dei. Diventare il Dominatore del Cielo. Ma ormai, non aveva più importanza…
«Arrivano!», l’urlo dell’uomo che irruppe nel tempio attirò l’attenzione di tutti. «L’orda sta attaccando!».
<< Bravi ragazzi >>, ridacchiò Xargoth. Erano un branco di idioti, più stupidi delle capre, ma non si poteva dire che si perdessero d’animo. Purtroppo per quegli stolti, dopo dieci anni e ben cinque assalti, non avevano ancora capito che il loro vecchio condottiero era, suo malgrado, passato dalla parte del nemico. Gli era spiaciuto massacrare i suoi sottoposti la prima volta che si era trovato costretto a difendere la città ma doveva essere sincero con sé stesso: in fondo si era divertito. Di volta in volta aveva capito che quegli attacchi erano ormai l’unica cosa che per lui significasse ancora divertimento. Gli unici momenti in cui poteva rispolverare la sua vecchia natura.
– Dobbiamo andare –, disse Egon.
Spiccò il volo all’istante e quando arrivò ai bastioni li vide. Correvano disorganizzati, come se essere i primi a morire fosse un vanto. Orchi, troll, goblin, ogre e chi più ne ha più ne metta, l’orda che aveva costituito decenni or sono era composta da un gran numero di specie diverse di creature mostruose, c’erano anche alcune tribù di giganti e qualche demone. Tutti avevano qualcosa in comune: uno scarso intelletto facile da plagiare. Forse anche per questo, nonostante non ci fosse più lui a guidarli, continuavano a reclutare nuovi membri e perseverare l’ultimo ordine che avevano ricevuto: radere al suolo la capitale. Xargoth sorrise tra sé e sé, forse aveva esagerato nel plagiare la mente di quelle creature, continuavano a lanciarsi al massacro senza più conoscerne la ragione. Per tre volte aveva assediato la città ai suoi tempi d’oro senza riuscire a conquistarla e adesso avrebbe dovuto sventare il loro assalto per la sesta volta.
“È un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo”, disse Niklas.
– Mettiamoci all’opera –.
Per una volta, Xargoth non vedeva l’ora di eseguire quanto gli veniva imposto dai suoi carcerieri. Erano le sue vecchie truppe ma dopotutto, gli era sempre piaciuto sterminare. Sollevò le braccia all’altezza delle spalle e si librò nell’aria in alto sopra alle mura, in modo da avere una visuale perfetta sul campo di battaglia. Sotto di lui, i soldati si preparavano a difendere i bastioni, caricavano catapulte e balestre e le puntavano contro il nemico. Xargoth rise osservando i loro sforzi: non sarebbero serviti. Grazie al potere congiunto con quello del Magister e dei suoi apprendisti era diventato la creatura più potente dell’intero universo, probabilmente avrebbe potuto rivaleggiare con gli Dei.
Fece un rapido gesto, come a scacciare una mosca fastidiosa, e l’aria di fronte alle mura tremò tanto da incendiarsi. La vampata di fiamme si propagò in avanti mietendo centinaia di vittime. L’atmosfera si riempì dell’odore pungente di carne bruciata e mentre gli occhi dei malcapitati si scioglievano colando dalle orbite e le ossa esplodevano dall’interno per il troppo calore, Xargoth rideva a crepapelle. Prima ancora che i mostri cadessero a terra, il mago sollevò le braccia al cielo urlando parole arcane in una lingua ormai dimenticata e lungo le retrovie nemiche la terra esplose e si fessurò, come se un terremoto avesse incontrato la camera magmatica di un vulcano. Immense zolle di terra e macigni vennero scagliati a centinaia di metri d’altezza prima di ricadere sulle sfortunate creature spiaccicandole al suolo. Poi la terra iniziò a rivoltarsi su sé stessa in un moto circolare e, con le pietre che sembravano immensi denti, macinava, sminuzzava e trascinava nel sottosuolo tutto ciò che riusciva a ingurgitare. I nemici rimanenti, presi tra la linea dei denti della montagna alle loro spalle e una barriera di fuoco davanti, tentennarono.
«Morite!», urlò Xargoth.
Iniziò a scagliare fulmini dalle mani in ogni dove e, per un momento, gli sembrò di aver riottenuto il controllo del proprio corpo come ai vecchi tempi. Decise di osare: in maniera casuale spostò il braccio un filo troppo a destra mirando ai soldati sulle mura.
Tuttavia l’arto si rifiutò di superare un determinato angolo.
– Non fare il furbo –.
<< Ah! Tu sia maledetto! >>.
Quando sul campo di battaglia non furono rimasti che cadaveri carbonizzati che pian piano venivano inghiottiti dai denti rocciosi, Xargoth tornò a terra. Una folla festante di cittadini sciamò fuori dalle case inneggiando al loro salvatore.
Xargoth il Salvatore.
Se solo avessero saputo la verità ci avrebbero pensato due volte prima di avvicinarsi. Tuttavia, nessuno era a conoscenza del reale motivo del suo repentino cambio di comportamento. I tre maghi avevano ritenuto più divertente rovinargli la reputazione piuttosto che rivelare il loro sacrificio, era stata una forma di vendetta nei suoi confronti. Nemmeno il Re ne era a conoscenza e infatti quella sera Xargoth si ritrovò seduto al desco reale durante un banchetto in onore del salvatore del regno organizzato nella piazza principale, dinnanzi a tutto il popolo. Quando il Re prese la parola, Xargoth sperava solo che il discorso durasse poco: odiava trovarsi al centro dell’attenzione se non stava massacrando nessuno.
«Cittadini!», iniziò spalancando le braccia. «Mi compiaccio di offrire la chiave della città in dono al nostro salvatore!».
Uno scroscio ruggente di applausi li sommerse mentre il Re si faceva consegnare un cofanetto blu decorato con motivi floreali argentati.
<< Oh Dei… >>.
~ Uhhhh ~.
“Quale onore!”.
~ Congratulazioni Xargoth! ~.
– Te la sei meritata! –.
<< Ma andate a cagare… >>.
“Eh magari, non ci vado da dieci anni!”, disse Niklas. “Inoltre sono costretto ad assistere tutte le volte che ci vai tu…”.
Il Re alzò una mano per fermare gli applausi e riprese la parola.
«Per tre volte hai cercato di distruggerci».
<< Ah bei tempi quelli! >>.
«Ma negli ultimi dieci anni ci hai sempre protetti e ci hai soccorsi il doppio di quelle volte!», disse schiudendo il cofanetto che celava una chiave d’argento con uno zaffiro incastonato nel pomo. «Sei la prova vivente che la redenzione è possibile per chiunque! Dunque, sono onorato di consegnarti questa chiave che simboleggia l’amicizia del nostro regno!».
Le mani di Xargoth presero la chiave e la sollevarono in alto. Il mago avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il suo odio e coprirlo di insulti, ma al contrario fece un profondo inchino, si girò verso il popolo e dalla sua bocca uscirono parole ben diverse.
«Grazie amici!».
Xargoth era più furioso di quanto non lo fosse mai stato.
Poteva sentire gli apprendisti deriderlo, addirittura il Magister si lasciò sfuggire una risatina. Tuttavia, pensò Xargoth, nessuno conosceva gli effetti a lungo termine dell’incantesimo che li aveva legati l’uno all’altro. Il vincolo avrebbe potuto indebolirsi, fino rompersi forse. E lui aveva tutto il tempo del mondo per aspettare che ciò accadesse.
Sapeva essere paziente.
Un fulmine squarciò la scura coltre delle nubi tempestose. I sigilli di cui era disseminata la radura si illuminarono, uno dopo l’altro, di una luce dorata mentre il sangue delle vittime sacrificali vi scorreva sopra a fiumi. Le anime dei presenti, compresi i suoi sgherri e coloro che aveva circuito con vuote promesse di ricchezza, vennero strappate ai loro corpi e presero a vorticargli intorno come fossero nell’Ade.
«Potere!», urlò Xargoth in preda all’estasi. «Illimitato potere!».
La terra iniziò a tremare, gli alberi avvizzirono. Tutto nel raggio di miglia e miglia perì in pochi istanti mentre l’energia imbrigliata dall’incantesimo rituale veniva convogliata in lui. A un tratto, poco distante, si aprì un cerchio di teletrasporto da cui uscirono tre figure ammantate: il Magister e i suoi apprendisti. Xargoth rise, non potevano nulla contro di lui.
«Stolti!», li apostrofò. «Ormai è troppo tardi! Sono immortale!».
Tuttavia, essi fecero qualcosa che non si era aspettato: si conficcarono un pugnale dritto nel cuore. Le anime dei tre maghi lasciarono le loro spoglie mortali e si unirono al tornado insieme alle altre.
«No!», urlò Xargoth.
«NOOOOoooooo…».
Si svegliò di soprassalto, agitando le coperte come un matto. Si guardò intorno spaesato, si trovava nella camera di una locanda, calda e accogliente con lenzuola appena lavate che profumavano di lavanda. La luce del sole filtrava dalla finestra assieme al cinguettare dei passeri.
~ Ah! Ben svegliato, Stellina ~, disse una voce nella sua testa.
Xargoth sbuffò. Erano passati quasi dieci anni da quella fatidica notte quando era riuscito a completare il rituale dell’immortalità. Centinaia di persone erano dovute morire per attivare le rune ma il Magister Egon e i suoi due apprendisti avevano rovinato tutto nell’unico modo che non era riuscito a prevedere: si erano suicidati e le loro menti si erano fuse alla sua.
Da allora non facevano che tormentarlo.
“Forza! Che ci aspetta il giro”, disse Niklas strappandolo ai suoi pensieri.
Xargoth sospirò.
<< È davvero necessario? >>, proiettò mentalmente.
– Indispensabile! –, sentenziò Egon. – Oggi è il turno del mercante di aringhe, al quale hai rovinato gli affari quando hai attaccato la città facendo esplodere il vulcano –.
<< Ma come fai a saperlo? >>, protestò Xargoth. << Secondo me te le inventi queste vaccate… >>.
~ Come ti permetti di parlare così al Magister?! ~, sbottò Karissa.
La mano destra scattò in aria tirandogli un pugno sul naso.
<< Ma sei impazzita? >>, urlò Xargoth. << Che cazzo… >>.
Condividevano lo stesso corpo, certo, ma lui era l’unico a provare dolore.
“Io gliene mollerei un altro…”, disse Niklas.
<< Ok, ok… andiamo… come se avessi voce in capitolo… >>, borbottò Xargoth.
Ciò che faceva o diceva il suo corpo veniva deciso in maniera democratica dalle quattro menti che lo popolavano ma, essendo uno contro tre, Xargoth era sempre in minoranza. Non avere controllo sulle proprie azioni era snervante e ormai la storia andava avanti da dieci anni! La cosa peggiore era l’uso che i tre maghi avevano fatto di questo potere: lo stavano facendo passare per una persona gentile!
Xargoth era furioso!
Quei maledetti!
Aveva passato la vita ad appropriarsi di tutto ciò su cui riusciva a mettere le mani, era diventato un tiranno temuto in tutto il mondo e ora… gli sembrava di essersi trasformato in un paladino!
Una reputazione completamente rovinata…
Si alzò e iniziò a vestirsi. Ovviamente non con la sua vecchia tunica nera dallo stiloso colletto alto e nemmeno indossò il copricapo a forma di serpente e gli stivali in pelle umana tinti col pigmento più nero che si poteva trovare… sospirò sconsolato… almeno gli avevano permesso di tenere il pizzetto, anche se ogni tanto minacciavano di farglielo tingere di rosa. L’unico degli artefatti di cui andava fiero che gli permisero di prendere era lo sfarzoso scettro d’avorio impreziosito con oro, rubini e un diamante grosso come un pugno posizionato sull’estremità superiore.
Uscì dalla camera che aveva prenotato cercando di non pensare a quante monete gli avevano fatto lasciare come mancia al locandiere. Non si lasciava la mancia per aver prenotato una camera! Ma i tre non avevano voluto sentir ragioni e rimanere imbambolato come un idiota davanti a quel ciccione del locandiere mentre discutevano mentalmente gli aveva dato ancora più fastidio della cifra spesa.
«Buona giornata signor Xargoth», lo salutò la moglie del locandiere che portava un cesto di vimini con le lenzuola da lavare.
Xargoth sorrise e si prodigò in un inchino elaborato.
«Anche a voi», disse la sua bocca.
<< Muori vecchia megera! >>, urlò la sua mente.
“Suvvia, sii gentile con quella povera donna”, lo rimproverò Niklas forzandolo arendere l’inchino ancora più profondo.
Xargoth imprecò e sentire Karissa che se la sghignazzava lo fece incazzare ancora di più!
La città era già sveglia, i negozi avevano aperto e la gente camminava per le strade. La bruma del mattino si stava diradando al soffio della leggera brezza che spirava dal mare, portando con sé l’odore della salsedine e il garrire dei gabbiani. Il vociare dei marinai, intenti a caricare le navi, era a malapena udibile a questa distanza, così come il suono delle onde che accarezzavano i moli.
Il negozio del mercante di aringhe non era lontano: si trovava lungo un vicolo perpendicolare al porto. Quando Xargoth vi arrivò, scoprì come mai quel quartiere aveva una brutta fama: c’erano oggetti rotti abbandonati negli angoli, era pieno di sudiciume tra le pietre dell’acciottolato e c’erano pozze giallastre lungo i muri.
L’odore di piscio era penetrante.
<< Non poteva aprire il negozio in un posto meno schifoso? >>, si lamentò Xargoth calciando un mucchio di alghe putrescenti.
– L’aveva fatto –, disse Egon con una sfumatura di rimprovero nella voce.
~ Ma poi qualcuno l’ha fatto bruciare… ~, commentò Karissa.
“Insieme alla sua casa…”, rincarò la dose Niklas.
~ E fatto saltare il carico di aringhe che aveva pagato in anticipo… ~.
“E distrutto la barca…”.
~ E azzoppato… ~.
<< Va bene, va bene… >>, disse Xargoth. << Ho capito l’antifona… >>.
~ Poi nell’incendio si è fusa la sua collezione di monete antiche… ~, riprese Karissa senza darsi per vinta.
“E bruciata quella di francobolli…”
<< Ho detto che ho capito! >>, urlò Xargoth esasperato. << Per gli dei… che ho fatto di male? >>.
– Lo chiedi seriamente?! –, sbottò esterrefatto il Magister. – Perché l’elenco è lungo… –.
<< Risparmiamelo, ti prego! >>.
Aprendosi, la porta colpì un campanello il cui tintinnio risuonò in tutto il piccolo negozio, stipato di aringhe, sia fresche che non.
«Signor Xargoth!», disse un omino raggrinzito che spuntava appena da dietro il bancone. «È davvero ehm… un piacere vederla».
«Caro venditore d’acciughe!», lo salutò Xargoth.
<< Vi ricordate per filo e per segno i danni che gli ho arrecato e non sapete il suo stupido nome?! >>, sbottò Xargoth. << Avete anche sbagliato il nome del pesce che vende! >>.
«Sono venuto per chiedere umilmente scusa per i danni che ti ho arrecato», continuò la bocca di Xargoth mentre le mani iniziarono ad accarezzare il pescato non esattamente fresco di giornata.
<< Ma basta! >>, esclamò Xargoth. << Mi rimarrà addosso il puzzo di acciughe per una settimana! >>.
~ Sardine ~.
– Aringhe –, li corresse Egon.
<< Quel che sono… >>.
«Ah… le vostre scuse sono ben accette», disse l’omino. «Certo, il mio giro d’affari non è più stato lo stesso da quando…».
«Ed è per questo mio caro mercante d’aringhe che allego alle scuse il pagamento dei danni con gli interessi in sonanti monete d’oro!», disse Xargoth.
<< Ma siete pazzi?! >> protestò Xargoth. << Non vi basta aver dato via metà del mio tesoro per ricostruire questa stramaledetta città?! >>.
– Chi rompe paga –, sentenziò il Magister.
<< Tieniti per te la tua saggezza, vecchio! Sembri un biscotto della fortuna… >>.
Quando uscì dal negozio, Xargoth aveva le tasche più leggere di quando era entrato ma aveva guadagnato qualcosa: un acre odore di pesce.
Xargoth era intento a cercare un modo di liberarsi da quel tanfo e a maledire i tre maghi per averlo portato in quel vicolo maleodorante quando una figura alta la metà di lui gli si parò davanti.
«Gentile Xargoth», disse la vecchietta appoggiandosi al bastone.
Gentile Xargoth…
Gentile… Xargoth…
Xargoth era furioso!
C’era un tempo in cui le persone fuggivano al solo sentir pronunciare il suo nome! Ora invece lo salutavano per strada come si fa con un vicino di casa…
<< Che diavolo vuoi vecchia strega?! >>, sbottò.
Ma dalla sua bocca uscirono parole diverse.
«Cosa posso fare per te gentile signora?».
«Il mio gattino, Fufù…», iniziò la vecchia girandosi a indicare la cima di un albero. «Si è arrampicato fin là e adesso non riesce più a scendere».
<< Per gli Dei… >>, sospirò Xargoth mentre subiva le risate di Karissa e Niklas.
~ Xargoth il Salvatore di Gattini! ~, lo canzonò maga.
“Suona bene!”.
<< Ma non fareste prima a uccidermi? >>, chiese Xargoth in preda allo sconforto.
– Impossibile –, sentenziò il Magister.
~ Sai, qualcuno qui si è reso immortale… ~.
<< Sono sicuro che a impegnarci un modo lo troveremmo… >>.
– Impossibile –, ribadì Egon.
<< Maledizione a me… >>.
“Hai sentito il Magister?”, disse Niklas con tono seccato. “Ora stai zitto e salva Fufù!”
<< Come se avessi scelta… >>.
Xargoth sollevò una mano e schioccò le dita: Fufù iniziò a levitare al che lanciò miagolii allarmati ma pochi secondi dopo si trovava al sicuro con le zampe poggiate a terra.
«Grazie Xargoth, il Salvatore di Gattini!», disse la vecchia cercando di brancare Fufù, il quale dal canto suo non aveva intenzione di farsi catturare.
<< Ci ha letto nel pensiero questa vecchia?! >>.
~ Prenderà piede, me lo sento! ~.
<< Ma che diavolo?! >>, sbottò Xargoth quando il gatto venne da lui a strusciarsi.
Ovviamente lo costrinsero a coccolarlo…
Xargoth era furioso.
Fufù continuava a leccargli le dita e a mordicchiarle. Quando il mago lo lasciò andare per continuare il giro, il gatto cominciò a seguirlo. Divenne impossibile liberarsene e per quanto affrettasse il passo, Fufù era sempre dietro di lui. Miagolava e gli si strusciava sulle gambe rischiando di farlo inciampare.
– Probabilmente sente l’odore delle aringhe –.
~ Aww… possiamo tenerlo?! ~.
<< Nemmeno per sogno! >>, sbottò Xargoth.
~ Non chiedevo a te… ~.
– Quella tenera vecchietta ne sentirebbe la mancanza –.
<< Esatto! >>, esclamò Xargoth intravedendo una via di fuga. << Ascolta il Magister, non possiamo certo far soffrire quella tenera megera… >>.
“Mi fa piacere che finalmente ti stia abituando a questa cosa della bontà”, intervenne Niklas con una risata.
<< Ma per favore… lasciatemi libero e vedrete… >>.
– Non è che dire così possa convincerci a lasciarti libero… –.
Xargoth sbuffò e si rintanò nel profondo della sua mente per trovare un po’ di pace dai tre tormentatori con cui ormai si trovava a dover condividere il corpo.
Per l’eternità…
Quasi gli venne da piangere. Il suo mondo e le sue ambizioni erano crollati così in fretta… un momento prima era Xargoth il Dominatore, signore e padrone di mezzo mondo, generale delle armate dell’ovest, colui al quale era rimasta una sola cosa da temere: la morte. Un momento dopo era Xargoth lo Schiavo, intrappolato all’interno del suo stesso corpo e, oltre al danno la beffa, per colpa sua lo sarebbe stato per il resto dei tempi. Terminato il suo attimo di autocommiserazione rivolse di nuovo lo sguardo verso l’esterno e vide…
Il tempio del dio del sole.
<< Che cazzo ci facciamo qui?! >>.
~ Ma non puoi smetterla di essere così scurrile? ~.
“Poi davanti al grande tempio…”.
– È la giornata della donazione –.
<< La giornata della donazione? >>, gli fece eco Xargoth. << È forse la vaccata più grande che vi siete inventati finora >>.
Ma il suo corpo mosse le gambe ed entrò lo stesso.
<< Aspettate! >>, esclamò appena messo un piede oltre la soglia. << È per questo che uscendo mi avete fatto prendere lo scettro d’avorio?! >>.
~ Ehm… ~, Karissa si scandì la voce. ~ No ~.
“Ma cosa ti viene in mente?”.
Xargoth si tranquillizzò.
– Abbiamo pensato che non riuscirai mai a redimerti finché resterai attaccato al passato –.
Xargoth lanciò un urlo a metà tra la rabbia e la frustrazione. Fu sul punto di riempirli di insulti ma poi la tristezza ebbe il sopravento. Non sarebbe servito a nulla discutere… Quando il suo scettro d’avorio impreziosito con oro, rubini e con la testa di diamante finì nel cesto delle offerte ebbe un colpo al cuore. Guardò l’affresco sul soffitto: raffigurava il dio del sole nell’atto di portare la luce sul mondo, come faceva ogni mattina. Aveva vinto lui, il suo vecchio nemico. Xargoth aveva sempre pensato che solo la morte avrebbe potuto impedirgli di raggiungerlo, anche per questo motivo aveva ricercato l’immortalità: voleva conquistare il potere degli dei. Diventare il Dominatore del Cielo. Ma ormai, non aveva più importanza…
«Arrivano!», l’urlo dell’uomo che irruppe nel tempio attirò l’attenzione di tutti. «L’orda sta attaccando!».
<< Bravi ragazzi >>, ridacchiò Xargoth. Erano un branco di idioti, più stupidi delle capre, ma non si poteva dire che si perdessero d’animo. Purtroppo per quegli stolti, dopo dieci anni e ben cinque assalti, non avevano ancora capito che il loro vecchio condottiero era, suo malgrado, passato dalla parte del nemico. Gli era spiaciuto massacrare i suoi sottoposti la prima volta che si era trovato costretto a difendere la città ma doveva essere sincero con sé stesso: in fondo si era divertito. Di volta in volta aveva capito che quegli attacchi erano ormai l’unica cosa che per lui significasse ancora divertimento. Gli unici momenti in cui poteva rispolverare la sua vecchia natura.
– Dobbiamo andare –, disse Egon.
Spiccò il volo all’istante e quando arrivò ai bastioni li vide. Correvano disorganizzati, come se essere i primi a morire fosse un vanto. Orchi, troll, goblin, ogre e chi più ne ha più ne metta, l’orda che aveva costituito decenni or sono era composta da un gran numero di specie diverse di creature mostruose, c’erano anche alcune tribù di giganti e qualche demone. Tutti avevano qualcosa in comune: uno scarso intelletto facile da plagiare. Forse anche per questo, nonostante non ci fosse più lui a guidarli, continuavano a reclutare nuovi membri e perseverare l’ultimo ordine che avevano ricevuto: radere al suolo la capitale. Xargoth sorrise tra sé e sé, forse aveva esagerato nel plagiare la mente di quelle creature, continuavano a lanciarsi al massacro senza più conoscerne la ragione. Per tre volte aveva assediato la città ai suoi tempi d’oro senza riuscire a conquistarla e adesso avrebbe dovuto sventare il loro assalto per la sesta volta.
“È un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo”, disse Niklas.
– Mettiamoci all’opera –.
Per una volta, Xargoth non vedeva l’ora di eseguire quanto gli veniva imposto dai suoi carcerieri. Erano le sue vecchie truppe ma dopotutto, gli era sempre piaciuto sterminare. Sollevò le braccia all’altezza delle spalle e si librò nell’aria in alto sopra alle mura, in modo da avere una visuale perfetta sul campo di battaglia. Sotto di lui, i soldati si preparavano a difendere i bastioni, caricavano catapulte e balestre e le puntavano contro il nemico. Xargoth rise osservando i loro sforzi: non sarebbero serviti. Grazie al potere congiunto con quello del Magister e dei suoi apprendisti era diventato la creatura più potente dell’intero universo, probabilmente avrebbe potuto rivaleggiare con gli Dei.
Fece un rapido gesto, come a scacciare una mosca fastidiosa, e l’aria di fronte alle mura tremò tanto da incendiarsi. La vampata di fiamme si propagò in avanti mietendo centinaia di vittime. L’atmosfera si riempì dell’odore pungente di carne bruciata e mentre gli occhi dei malcapitati si scioglievano colando dalle orbite e le ossa esplodevano dall’interno per il troppo calore, Xargoth rideva a crepapelle. Prima ancora che i mostri cadessero a terra, il mago sollevò le braccia al cielo urlando parole arcane in una lingua ormai dimenticata e lungo le retrovie nemiche la terra esplose e si fessurò, come se un terremoto avesse incontrato la camera magmatica di un vulcano. Immense zolle di terra e macigni vennero scagliati a centinaia di metri d’altezza prima di ricadere sulle sfortunate creature spiaccicandole al suolo. Poi la terra iniziò a rivoltarsi su sé stessa in un moto circolare e, con le pietre che sembravano immensi denti, macinava, sminuzzava e trascinava nel sottosuolo tutto ciò che riusciva a ingurgitare. I nemici rimanenti, presi tra la linea dei denti della montagna alle loro spalle e una barriera di fuoco davanti, tentennarono.
«Morite!», urlò Xargoth.
Iniziò a scagliare fulmini dalle mani in ogni dove e, per un momento, gli sembrò di aver riottenuto il controllo del proprio corpo come ai vecchi tempi. Decise di osare: in maniera casuale spostò il braccio un filo troppo a destra mirando ai soldati sulle mura.
Tuttavia l’arto si rifiutò di superare un determinato angolo.
– Non fare il furbo –.
<< Ah! Tu sia maledetto! >>.
Quando sul campo di battaglia non furono rimasti che cadaveri carbonizzati che pian piano venivano inghiottiti dai denti rocciosi, Xargoth tornò a terra. Una folla festante di cittadini sciamò fuori dalle case inneggiando al loro salvatore.
Xargoth il Salvatore.
Se solo avessero saputo la verità ci avrebbero pensato due volte prima di avvicinarsi. Tuttavia, nessuno era a conoscenza del reale motivo del suo repentino cambio di comportamento. I tre maghi avevano ritenuto più divertente rovinargli la reputazione piuttosto che rivelare il loro sacrificio, era stata una forma di vendetta nei suoi confronti. Nemmeno il Re ne era a conoscenza e infatti quella sera Xargoth si ritrovò seduto al desco reale durante un banchetto in onore del salvatore del regno organizzato nella piazza principale, dinnanzi a tutto il popolo. Quando il Re prese la parola, Xargoth sperava solo che il discorso durasse poco: odiava trovarsi al centro dell’attenzione se non stava massacrando nessuno.
«Cittadini!», iniziò spalancando le braccia. «Mi compiaccio di offrire la chiave della città in dono al nostro salvatore!».
Uno scroscio ruggente di applausi li sommerse mentre il Re si faceva consegnare un cofanetto blu decorato con motivi floreali argentati.
<< Oh Dei… >>.
~ Uhhhh ~.
“Quale onore!”.
~ Congratulazioni Xargoth! ~.
– Te la sei meritata! –.
<< Ma andate a cagare… >>.
“Eh magari, non ci vado da dieci anni!”, disse Niklas. “Inoltre sono costretto ad assistere tutte le volte che ci vai tu…”.
Il Re alzò una mano per fermare gli applausi e riprese la parola.
«Per tre volte hai cercato di distruggerci».
<< Ah bei tempi quelli! >>.
«Ma negli ultimi dieci anni ci hai sempre protetti e ci hai soccorsi il doppio di quelle volte!», disse schiudendo il cofanetto che celava una chiave d’argento con uno zaffiro incastonato nel pomo. «Sei la prova vivente che la redenzione è possibile per chiunque! Dunque, sono onorato di consegnarti questa chiave che simboleggia l’amicizia del nostro regno!».
Le mani di Xargoth presero la chiave e la sollevarono in alto. Il mago avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il suo odio e coprirlo di insulti, ma al contrario fece un profondo inchino, si girò verso il popolo e dalla sua bocca uscirono parole ben diverse.
«Grazie amici!».
Xargoth era più furioso di quanto non lo fosse mai stato.
Poteva sentire gli apprendisti deriderlo, addirittura il Magister si lasciò sfuggire una risatina. Tuttavia, pensò Xargoth, nessuno conosceva gli effetti a lungo termine dell’incantesimo che li aveva legati l’uno all’altro. Il vincolo avrebbe potuto indebolirsi, fino rompersi forse. E lui aveva tutto il tempo del mondo per aspettare che ciò accadesse.
Sapeva essere paziente.